domenica, novembre 30, 2008

Que pasò hoy?


Varese: Quel calamaro – senza offesa per il gustoso mollusco cefalopode – del figlio del Bossi è stato bocciato per la terza volta. Ehi, vecchio mio, svegliati! Ricordati che devi fare il ministro, quindi, dico, almeno il diploma. Vero è che basterebbe anche una condanna in primo grado da un tribunale della Repubblica ma la cultura è la cultura. Ma non ti ha insegnato niente la Gelmini? Posso darti un consiglio, vecchio mio? Fa’ come lei, vieni giù a Reggio Calabria o a Caltanissetta, o magari a Favara, il paese della tua padanissima mamma, e fatti confezionare un bel diplomino di liceo scientifico o classico o tecnico commerciale, che vuoi che sia?

Roma: Mi contestano la Badescu. Ma allora lo fate apposta. No, mi riferisco a quegli ingrati di romeni che stamattina hanno contestato la loro rappresentante al Comune di Roma. “Hai fatto solo calendari, non sai nulla”, le hanno detto. E poi: “La Badescu non ci rappresenta, vorremmo sapere per quale motivo Alemanno l'ha scelta, non ha nessuna competenza oltre a quella di essere, come dice lei, miss Romania”. Picciò, aver fatto calendari ed essere Miss Romania, secondo voi non dà il diritto a essere rappresentanti di un’intera comunità? Qua per aver fatto calendari – e qualcos’altro – si diventa ministro, altrochè. Ma dove credete di essere, in Romania?
(Nella foto la rappresentante della comunità romena presso il Comune di Roma)

Potenza: 1500 eurini di bonus a chi appioppa al proprio figlio il graziosissimo nome di Benito. No, perché, cosa c’ha quel nome che non va? E per le femminucce c’è sempre Rachele. Chi ha fatto questa intelligente proposta? Ma chi, se non il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore della Basilicata? Aggiungendo peraltro che la scelta dei due nomi è casuale. Ma era superfluo specificarlo, nessuno pensava che il primo nome si riferisse a quel farabutto senza capelli che ha governato l’Italia per vent’anni nel secolo scorso e il secondo alla di lui moglie. E poi, buttali via 1500 euri! Inoltre io trovo che sia un bel nome, magari non bellissimo, ma è sempre meglio che chiamare il proprio figlio Kevin o Jonathan, come usa di ‘sti tempi (e per di più a gratis).

sabato, novembre 29, 2008

MAZZARISI


Lampedusa vive di pesca e di turismo. Di turismo per quattro mesi l’anno, di pesca sempre. Sul molo del porto dell’isola, uno di fianco all’altro i pescherecci occupano ogni centimetro disponibile. Sono parcheggiati anche in seconda e in terza fila, vista la scarsità di spazio disponibile. I pescherecci più grandi, non c’è dubbio, sono quelli provenienti da Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, con San Benedetto del Tronto e Chioggia, uno dei principali porti pescherecci d’Italia. Sono bestioni che non finiscono mai, al confronto con i pur notevoli motopesca lampedusani. E i mazaresi, o mazzarisi, come li chiamano i lampedusani, lavorano molto a Lampedusa, sopportati non sempre di buon grado dai locali. Ma tant’è. La pesca di solito è buona, il pesce c’è, anche se i lampedusani spesso si lamentano ma certamente è un lavoro molto duro e sacrificato. Ieri c’era maltempo e non si pescava. I pescherecci stavano ormeggiati al porto e i pescatori guardavano da lontano quel mare che li costringe ad un lavoro pesante – giorni e giorni al largo a vedere solo cielo e mare – ma che consente loro di portare il pane a casa. I mazzarisi se ne sarebbero tornati volentieri a casa ma stavano bloccati lì, a Lampedusa, ad aspettare che il vento si calmasse e si potesse uscire di nuovo. A Lampedusa, quando soffia il vento forte si blocca tutta l’isola. Io ci ho vissuto per tre anni e ricordo le giornate col cielo basso e grigio, il vento che sferzava la faccia e il disagio di un’isola che, a volte per intere settimane, vede scarseggiare i viveri, la benzina, l’acqua e vede aumentare così il suo distacco dal resto dell’Italia, dalla terraferma, come la chiamano loro. La nave da Porto Empedocle non arriva e non parte, a volte anche l’aereo non riesce a decollare e ad atterrare. E i pescherecci stanno fermi al molo.
Ieri niente pesca, quindi. Niente pesca finché non squilla il telefono e il comandante della Capitaneria di Porto convoca i mazzarisi. Due “carrette del mare” piene di immigrati africani sono in balia delle onde e hanno lanciato l’SOS. Con quel tempo non ce la possono fare. E per di più le condizioni del mare non permettono alle motovedette di lasciare gli ormeggi. Solo i pescherecci dei mazzarisi possono affrontare quel mare. Ecco perché il tenente di vascello Achille Selleri, il comandante, li chiama nel suo ufficio, prospetta loro la situazione e alla fine dice: "Ho bisogno di voi e delle vostre barche. Li salviamo?". I mazzarisi non esitano un attimo: "Siamo pronti. Andiamo". E li salvano. I cinque pescherecci riescono a portare in salvo 603 immigrati, strappandoli al naufragio.
Dio vi strabenedica, cari mazzarisi e caro comandante. Spero solo che non ci sia nessuna gaia testa di cazzo che vi accusi di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. No, lo dico perché è già successo e questo non mi pare un buon momento perché prevalga la pietà e la solidarietà che voi avete dimostrato.

DIO


Conobbi Dio quand’ero molto piccolo, un po’ come tutti. Con noi viveva la nostra nonna materna, nonna Maria, una donna mitica. Stava sempre seduta su una poltrona a causa di una semiparalisi o emiparesi, o non so cosa, che l’aveva colpita molto tempo prima e c’ha lasciati tanti anni fa, nel ‘74, per cui ne abbiamo dei ricordi piuttosto vaghi. Aveva capelli bianchissimi e per me è sempre stata il prototipo della donna anziana. Stava a casa nostra, aveva un grande letto con le trabbacche di legno e ci raccontava sempre delle storie tipo quelle di Giufà; oppure ci raccontava la filastrocca siciliana del re befé biscotto e miné.
La nonna però ci raccontava anche le storie della Bibbia, e fu così che seppi di Adamo ed Eva e di tutta la storia della mela e del serpente e dell’angelo con la spada di fuoco, di Caino che era una schifezza e Abele un galantuomo e sappiamo com’è andata a finire; di Sansone che aveva la forza nei capelli e per questo gli fecero un taglio tattico da marines e perse la forza ma quando la riacquistò, allora gliela fece vedere lui e abbatté il tempio gridando: muoia Sansone con tutti i Filistei! Mi piaceva la parola filistei di cui ovviamente sconoscevo il significato. E poi la storia di Davide e Golia, Giona nel ventre della balena, Daniele nella fossa dei leoni e qualche altra che non ricordo. E sullo sfondo di ognuna si stagliava la figura di questo Dio grande e potente ma ovviamente inafferrabile.
Poi fu la volta dell’asilo all’Istituto Granata dalle suore che si chiamavano Figlie di Sant’Anna. Ci andavamo col pulmino che passava sotto casa e una volta da ‘sto pulmino sono caduto a testa in giù sulla strada e sono vivo per miracolo. Di Sant’Anna, probabilmente. E allora dicevo che passava il pulmino e noi scendevamo giù col panierino arancione con dentro il panino con la frittata o con la cotoletta e il mattoncino di cotognata Elah. Le carissime (anche come prezzo) Figlie di Sant’Anna ci facevano giocare, disegnare, mangiare, andare in bagno, cantare, che fra parentesi in testa alla hit-parade delle canzoncine c’era “Buongiorno mamma, te lo voglio dire con un fiore” (che se poi qualcuno la vuole sentire sono sempre a disposizione). E ogni tanto ci portavano anche in cappella e lì, indicando il tabernacolo, ci dicevano: “Lì c’è Gesù”. E noi pensavamo, io almeno, che Gesù fosse una specie di contorsionista cinese per poter stare in uno spazio così piccolo e angusto dentro il tabernacolo. Tuttavia non potevamo dubitare di quello che ci dicevano le suore, soprattutto la mia suora, suor Anna Giuseppina che era una suorona grassa e buona. Allora, tutte le volte che ci portavano in cappella, quando scostavano la tendina e aprivano il tabernacolo cercavamo di vedere Gesù. Ovviamente non vedevamo nessuno ma ce lo chiedevamo a vicenda: “Tu l’hai visto?” E noi onestamente rispondevamo che no, non l’avevamo visto. Finché un giorno un nostro compagnetto piccolo bastardello (lo stesso che una volta in bagno mangiò del sapone, e ho detto tutto), proclamò a gran voce: “L’ho visto, guardate dov’è”, e indicando il tabernacolo ci spiegò la posizione in cui stava ecc… A quel punto la giovanissima assemblea di fedeli si spaccò in due, chi diceva di averlo visto e chi no: io ero tra quelli che l’avevano visto!
Poi dopo qualche annetto fu la volta della messa e del catechismo. La messa era piuttosto divertente, con tutti gli altri bambini, il parrino che faceva domande alle quali rispondevamo facendo una confusione totale, etc… Anzi, lui ogni domenica chiamava un bambino all’altare e gli faceva delle domande al microfono e una volta chiamò anche me e feci una gran bella figura di merda ignorante. C’era l’offertorio, che se avevamo culo ma soprattutto conoscenze tra i liturgisti ci facevano portare il calice o le ampolline all’altare. I canti mi piacevano assai soprattutto quello che diceva: “È la mia strada, Signor, che porta a te”; poi diceva “e mio fratello viene con me”, poi “e mia sorella viene con me” e alla fine del canto si era già raccolto un discreto numero di gente che veniva con me “lungo la strada, Signor, che porta a te”. Con un po’ di intraprendenza ma soprattutto a una certa età riuscivi anche a fare il chierichetto, a servire la messa con la tonaca rossa e la cotta bianca che alcune erano nuove e proprio belle col merletto o con la greca e tutto il resto mentre altre erano un po’ più malandate quando non sdrucite o rotte. Quindi toccava andarci per tempo a scegliersi i paramenti migliori. Poi si facevano della gran sciarre per chi dovesse suonare la campanella alla consacrazione e chi la suonava lo faceva con grinta non comune, e anche per un tempo non comune, suscitando le rimostranze del prete e quando ci inginocchiavamo dietro l’altare ci guardavamo e ci ammazzavamo di risate.
Quindi, dietro, al di sopra e al di là di tutto questo si ergeva inaccessibile la figura di Dio. Che in quella fase cominciava anche ad avere una fisionomia bella marcata: uomo non più giovanissimo, anzi diciamo piuttosto anziano, corpulento, con barba e capelli lunghi; in seguito ne avremmo evidenziato la somiglianza con Gesù Cristo, suo figlio e perciò a lui somigliante. Poi c’era il catechismo dove sciamando rumorosamente, correndo e spintonandoci (una volta, nella calca sono atterrato col ginocchio destro sui dei pezzi di vetro che… lasciamo perdere!), ci recavamo dopo la messa, muniti di libro, quaderno e penna e lì ci insegnavano un sacco di belle cose su Dio, molte delle quali false. Cose cioè che lo presentavano come il peggio di tutti, suscettibile e irascibile come nessuno; s’incavolava tipo se uno veniva con un due minuti di ritardo, se masticava chewing-gum, se parlava o peggio ancora scherzava col compagno, insomma qualunque cosa succedesse Dio si arrabbiava – almeno, così ci dicevano. La Madonna invece era piagnucolosissima; per ogni cosa, secondo quelli del catechismo, si offendeva e attaccava a piangere. “La Madonna piange!” Ti facevano sentire una merda, che ogni cosa che facevi la sbagliavi e causavi il pianto della Madonna. Di Gesù invece dicevano che era uomo serissimo, tristissimo, mai un sorriso, mai uno scherzo coi discepoli, mai una fesseria qualunque, che ne so, una barzelletta. Mai niente di niente: Gesù non rideva mai, e così dovevamo diventare anche noi. Però è anche vero che faceva un sacco di cose interessanti: moltiplicava la cibaria, camminava sull’acqua, guariva e risuscitava la gente, trasformava liquidi, ecc…, tutta roba affascinantissima. Lo Spirito Santo era totalmente sconosciuto, latitava da qualche parte del Paradiso, si sapeva che c’era ma nessuno lo nominava mai, nessuno ne sapeva parlare. Ora, con questa compagnia tutt’altro che piacevole non mi meraviglio che molti promettenti fedeli di allora abbiano in seguito abbandonato Dio & Co., e in generale non mi sembra che le chiese, almeno quelle cattoliche, siano posti dove spiri il vento della gioia.
Come se non bastasse, in questa fase storica, quella del catechismo voglio dire, ci fu la scoperta del peccato, o per meglio dire l’ossessione del peccato. Era già l’ora di fare la prima comunione e i parrini pertanto ci massacravano col discorso del peccato e l’atto di dolore era diventato più importante dello stesso Padre Nostro. Ora, qual era il peccato più grave? L’omicidio? No. Allora rubare. No. Allora mancare di carità verso il prossimo. Manco per niente. Il peccato più grave in assoluto e con gran distacco sugli altri era la masturbazione, per cui in confessione ci chiedevano se l’avevamo fatto, quante volte, da soli o in compagnia ecc… Ma in compagnia di chi se eravamo dei picciliddi? Questa della masturbazione era una vera ossessione, tanto che quando qualche anno fa uscì il nuovo catechismo della chiesa cattolica, questi qua dissero che la masturbazione non è un peccato ma un atto di debolezza o qualcosa del genere. Allora io m’incazzai come un tartaro, a pensare a quanto ci avevano rotto le scatole. Poi qualcuno mi disse che aveva effetto retroattivo per cui mi tranquillizzai e non ci pensai più. Però la verità è che non puoi intossicare la vita di giovanissime persone umane con una stronzata del genere. Ma in generale c’era la tendenza a considerare ogni cosa come peccato, e credo sia ancora così. Una volta una maestra di catechismo, signorina attempata, assolutamente magra e urlatrice, durante una lezione di catechismo ci disse che per ogni messa che si perdeva alla domenica si dovevano scontare sette – dico sette – anni di purgatorio. Che sette anni te li danno per rapina a mano armata, violenza sessuale, peculato, ammesso che esista ancora. Comunque sia, a quel punto mi distrassi completamente dalla lezione di catechismo intento a fare sforzi di memoria per ricordare quante messe avevo perduto (una volta eravamo andati in campagna da mio zio, un’altra volta ero malato, un’altra volta ancora il giorno prima eravamo stati a una gita e ci siamo svegliati tardi, ecc…) e contemporaneamente cercavo di calcolare quanti anni di purgatorio dovevo farmi. Ed erano bruscolini rispetto a un compagno che veniva a messa ogni morte di papa e quel giorno, presente alla lezione, stava per sentirsi male per quanti anni di purgatorio gli toccavano.

giovedì, novembre 27, 2008

PICCOLE STORIE AFRICANE


Oggi inauguro questa nuova rubrica: Piccole storie africane. Non si tratta di racconti o favole dal continente nero (vi ho sentito, avete detto paraponzi-ponzi-pò) ma di brevi reportage da chi ogni tanto in Africa ci ha bazzicato. Non a Malindi o a Zanzibar ma a Ismani, lavorando in una missione nel cuore della Tanzania, dove i bambini vanno scalzi, si mangia solo riso o polenta di mais e l’AIDS se li sta mangiando vivi. Dove le famiglie vivono in case di fango e paglia senza luce, senza acqua, senza niente; dove non ci sono strade asfaltate, solo sentieri battuti, e andare da un posto a un altro è estremamente problematico. A Ismani le condizioni igienico-sanitarie sono precarie e l'alimentazione insufficiente, a causa dei frequenti periodi di siccità, la qual cosa rende la popolazione particolarmente soggetta alle più gravi malattie tipiche dell'Africa tropicale. La Tanzania, infatti, è la nazione con il più alto numero di morti di malaria. Metteteci pure la carenza di strutture ospedaliere, di personale medico, di medicine e vaccini, ed ecco spiegato l'altissimo tasso di mortalità infantile. Meno male che adesso fanno un bel G8 per discutere dei problemi del terzo mondo, quindi per la Tanzania la sofferenza è pressoché finita.
Vorrei raccontare di fatti, cose, persone che fanno parte del quotidiano di quel posto e per un breve periodo, quale può essere un mese, anche del mio e di coloro che sono con me. Un quotidiano e un posto certamente molto diversi dai nostri e che spesso stentiamo a credere e a capire. Anche a trovarsi lì, fianco a fianco con chi a Ismani ci vive 365 giorni l’anno, non è semplice capire come si possa vivere in certe condizioni. Io non so di chi siano le colpe, ammesso che ce ne siano, fatto sta che tutta questa differenza di vita mi fa male. Ogni volta che vado in Africa, e dall’Africa ritorno, mi assale un gran senso di frustrazione. Di forte impotenza. Sembra che il lavoro di un mese, lavoro duro, pesante, sia completamente inutile. Mi volto indietro e vedo le cose esattamente come le avevamo trovate quando siamo arrivati. C’è talmente tanto da fare che quello che si fa è nulla. La miseria, il bisogno, le malattie, i fastidi, la morte sono cose che noi non riusciamo nemmeno a scalfire. Nonostante tutta la buona volontà. Ma l’Africa è sola e la buona volontà dei pochi singoli è veramente poca cosa. Non so se ci siano colpe, dicevo, e chi le abbia. Forse in Africa ho imparato questa cosa: il fatalismo. Quello che ti fa credere che le cose sono sempre state così e che le differenze ci sono sempre state e sempre ci saranno. Sebbene io sappia in cuor mio che non è questa la verità. Ma almeno che non se ne parli. Che si taccia sull’Africa. Che non si sprechino fiumi di inchiostro e di parole quando si sa che non si vuole cambiare nulla.

Le gemelline di Usolanga
Usolanga è un villaggio piuttosto lontano da Ismani, attorno al quale gravitano altri cinque-sei villaggi, nella zona cosiddetta malenga makali, l’acqua amara. Vi operano delle missionarie laiche che con grande energia hanno messo su un piccolo ospedale di maternità e pediatria dove le donne vanno a partorire o a curare i bambini malati. Quando siamo andati giù nel 2004, tra le pazienti c’era anche una giovane donna masai con due gemelline nate di sette mesi, minuscole, pelle e ossa. In Tanzania i gemelli, al momento della nascita, vengono tutti chiamati Kulwa e Doto. La simpatica Rita, una delle volontarie – donnetta piemontese canuta e arzilla, che porta avanti anche un progetto di microcredito per le donne del luogo – era pessimista sulla loro sopravvivenza. Ma Ismani o Usolanga non sono posti dove possa abitare il pessimismo. Delle bottiglie riempite di acqua calda, avvolte in una kanga (la veste coloratissima delle donne africane), sono diventate una piccola incubatrice e hanno fatto sì che le piccole trovassero il calore che serviva loro per vincere la prima sfida della loro vita.
Nell’agosto del 2007, quando siamo tornati a Ismani abbiamo trovato due belle bambine gemelle masai di tre anni (foto), che vivono a Iguluba, nei pressi di Usolanga e le abbiamo riconosciute come Kulwa e Doto, le gemelline neonate di tre anni prima.

Maria Goretti
Nell’estate del 2003, una donna si presenta alla missione. Porta con sé una bambina di un paio d’anni, Sikudhani, in evidente stato di denutrizione. Il padre della piccola era morto qualche tempo prima, a causa dell’AIDS, e anche la mamma era lì lì per raggiungerlo. L’AIDS, che in Tanzania chiamano ukimuy, sta decimando la popolazione. Nelle zone interne del paese raggiunge percentuali impressionanti, l’aspettativa di vita è intorno ai 44 anni e vi è una stretta correlazione fra l'aumento della mortalità dei giovani adulti e il diffondersi della infezione da HIV/AIDS. L’ukimuy sta lasciando soli milioni di bambini. Magari accuditi dalle nonne, anziane e non più nelle condizioni di prendersi cura di loro. A questo scopo sta sorgendo Nyumba Yetu, la Nostra Casa, il villaggetto a ridosso della missione, che ospiterà bambini sieropositivi o affetti da AIDS o orfani di genitori deceduti per AIDS o, ancora, abbandonati. La mamma di Sikudhani lasciò la bambina alle cure delle suore della missione, che la accudirono amorevolmente, la fecero battezzare e le diedero il nome, invero orrendo, di Maria Goretti. In Africa sta un po’ accadendo come qui da noi quando chiamiamo i nostri figli Kevin o Sharon. Per noi c’è l’universo di Hollywood, per loro quello meno patinato dei santi cattolici. Nel 2004, scoprimmo che la bimba era sieropositiva e cercammo di portarla in Italia per farla curare. Ma le restrizioni delle leggi tanzaniane e italiane non permisero che ciò si realizzasse. Adesso Maria Goretti è ospite di Nyumba Yetu, dove vive serenamente la sua vita di bambina.

martedì, novembre 25, 2008

CLASSI PONTE


Sì alle classi ghett… ups… ponte. Sì alle classi ponte. Lo dice Silvio Berlusconi, e chi se no?, difendendo la proposta della Lega di ammucchiare in classi differenziali gli alunni extracomunitari. Il governo, come sempre per il bene della nazione, ha varato questa proposta secondo la quale, per favorire l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri, è meglio metterli in classi speciali in cui possano intanto imparare l’italiano. Poi si vedrà. Io ho sempre saputo che per meglio imparare la lingua di un popolo si deve stare il più possibile a contatto di quel popolo, soprattutto per quel che riguarda le abitudini linguistiche. E invece pare non sia vero: i ragazzini stranieri meglio toglierli dal contatto con gli altri bambini, dicono i nostri governanti, solo così possono imparare meglio la lingua. Sta proprio qui la portata rivoluzionaria della proposta leghista. Solita salva di improperi contro la sinistra becera che non comprende l’enorme rivoluzione di questa proposta e la taccia di razzismo e xenofobia. Intanto, come si può definire razzista una proposta fatta dalla Lega? Non solo, ma poi è ovvio che una proposta di questo genere poggia obbligatoriamente su una ricerca scientifica, di carattere linguistico-cognitivo-pedagogico, che certamente il governo avrà commissionato a qualche società del settore o magari a un’università. La feconda sinergia tra la scienza, la cultura e la politica ha ancora una volta prodotto i suoi frutti a beneficio di questo popolo così fortunato che è quello italiano. Ecco perché sorprende la presa di posizione molto netta di alcune società di studi – la SIG, Società Italiana di Glottologia, la SLI, Società di Linguistica Italiana, l’AItLA, Associazione Italiana di Linguistica Applicata e il GISCEL, Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica – che stroncano decisamente la mozione “Cota ed altri n. 1-00033” definendola “non chiara nelle premesse, poco perspicua nel metodo, inefficace nella soluzione”. In una parola, una cagata. Ho letto la nota delle suddette società, ricca e completa, e l’ho trovata illuminante sotto molti aspetti. Ecco perché invito tutti a leggerla.
Naturalmente questo è un intervento di carattere squisitamente scientifico che non sfiora la cosa dal punto di vista politico. E del resto non era loro compito farlo. Il punto di vista politico è lasciato alla riflessione di ognuno di noi, a seconda della propria sensibilità, politica, umana, etc… Ovviamente, io che non credo né nella preparazione in campo linguistico e pedagogico del leghista Cota e compagnia cantante, né nella loro buona fede, stronco dal canto mio questa proposta definendola razzista, oltre che priva di fondamento scientifico. L’idea base è quella di creare classi ghetto, che tengano separati i nostri figli dai figli di nessuno. È il ritorno dell’apartheid in quest’Italia fascista che giorno per giorno dimentica anche i valori fondanti della sua Costituzione.
Ho solo una domanda: se in una scuola arriva un bambino americano, fai conto il figlio di un funzionario dell’ambasciata, in quanto extracomunitario verrà messo coi piccoli tunisini, pakistani e peruviani oppure guarda caso per lui scatterà la famosa legge non scritta secondo la quale per imparare bene la lingua di un popolo è meglio stare a contatto di quel popolo?

lunedì, novembre 24, 2008

I PROSSIMI SCHERZI DI SILVIO


Ragazzi, tenetevi pronti. Il premier più simpatico della terra ha in serbo altre numerose sorprese per far sganasciare dalle risate i capi di stato e di governo di tutto il mondo e per farci fare delle sonore figure di merda. Dopo il cucù ad Angela Merkel, il giocondo Silvio sta pensando ad altre attrattive per allietare i noiosi incontri al vertice ai quali è costretto, poverino, a partecipare. Intanto c’è da dire che lui al vertice coi tedeschi aveva anche portato il righello per misurarsi i piselli cogli altri – un classico da scuole medie – ma poi si è ricordato che c’era la Merkel e quindi non si poteva fare. È uno col senso della misura, lui.
Intanto ha deciso che da ora in poi andrà alle riunioni internazionali indossando il rodatissimo tris occhiali-nasone-baffi e si presenterà gridando “Sono Groucho Marx, che è sempre meglio di Karl". Poi, ha deciso che metterà il cuscino che scoreggia sotto la sedia di papa Ratzinger, la prossima volta che lo incontra. Da sbellicarsi, già rido. Dice che Benedetto XVI è uno che non se la prende, uno che ha un enorme senso dell’humor per cui, sì, il cuscino è perfetto. Se il papa dovesse arrabbiarsi, tante volte!, c’è sempre pronto un bonus per le scuole cattoliche e vedi se non gli passa la rabbia e non gli viene davvero da ridere.
Ha deciso, Silvio, che quando incontrerà i vertici delle comunità ebraiche, si presenterà con la maschera di Hitler (facendo cucù, naturalmente) e gli canterà una di quelle divertentissime canzoncine che spopolavano su YouTube fino a qualche giorno fa ma che sono state cancellate per una pedante interpretazione di quella becera legge secondo cui l’apologia di fascismo, e di nazismo, in Italia è reato. Eccome se gliela canterà. I rabbini si schianteranno dal ridere. Non ha ancora deciso se gliela farà mimare o magari li coinvolgerà in un trenino ma la canzoncina gliela canta di sicuro.
Quando rivedrà per l’ultima volta il suo amico George W., poi, Silvio verrà fuori con la madre di tutte le sorprese: la puzzolina. Sgancerà fialette a manetta e poi farà finta di essersi lasciato andare. Da smascellarsi. Gli hanno detto che di fronte all’odore di merda che promana dall’ex presidente degli USA, la bombetta puzzolente non può che migliorare la situazione ma questa Silvio non l’ha capita. Che anima bella.
E infine ha in serbo tutto il campionario delle amenità da festa di carnevale. Avrà un fiore con spruzzino all’occhiello e al momento delle firme tirerà fuori la penna con inchiostro simpatico e lo spruzzerà sulla giacca di qualche dignitario; alle giovani e belle interpreti farà vedere il dito col finto chiodo conficcato; e poi sarà un tripudio di polveri pruritine e starnutine, di ferite finte e stelle filanti spray, parrucche, maschere e lingue di menelik. Minchia che ridere.

venerdì, novembre 21, 2008

SALVATE IL SOLDATO VILLARI


Non sono sicurissimo se sia una sceneggiatura di una commedia all’italiana ambientata nel mondo della politica (starring Jerry Calà) o se stia succedendo davvero nell’Italia democratica degli anni 2000. Nel primo caso può essere il film di Natale (e allora ci vuole una spruzzatina di gnocca ma con Berlusconi in giro stiamo tranquilli); se invece è la realtà, allora siamo ancora una volta nella cacca e stavolta tocca comprarsi un bel salvagente perché mi pare che ci stiamo abituando, tanto vale cercare di rimanere a galla.
Allora, vediamo se ho capito bene. Il presidente della commissione di vigilanza sulla RAI “tocca” all’opposizione. Giusto? Bene, quindi doveva essere l’opposizione a sceglierlo, no? Sì. E l’opposizione aveva scelto Leoluca Orlando Cascio da Palermo, dell’Italia dei Valori di Tonino Di Pietro, vero? Verissimo. Ma quelli del Popolo della Libertà (rimane sempre una bellissima parola, nonostante tutto), poiché sono loro che comandano e fanno il cavolo che gli pare, hanno deciso di sparigliare le carte all’opposizione, fregarsene dei patti ed eleggere uno che non c’entrava niente, uno che sembrava passato di lì per caso: Riccardo Villari (foto), membro del Partito Democratico, l’alleanza di centro-sinistra che tanti successi sta mietendo da un po’ di tempo a questa parte. Apriti cielo! Villari no – è il PD che lo dice – non erano questi i patti, il candidato lo scegliamo noi. E inizia così un balletto stucchevole sul nome del buon Villari, il quale, più passa il tempo e meno sembra deciso a lasciare la sua bella poltroncina acquisita senza neanche dover fare chissà quale fatica.
Nel frattempo i due partiti trovano un accordo su un altro nome: Sergio Zavoli, pluriottuagenario senatore del PD, ancorché figura indubitabilmente seria e affidabile, oltre che uomo di televisione.
Tonino intanto si chiama fuori da questi giochini accusando Berlusconi di essere un corruttore della politica (ma vedi che gli viene in mente a quello lì). Silvio lo accusa in TV, dicendogli di denunciarlo sennò lo avrebbe querelato lui (si è capita questa frase?). Ma che denunci a fare Berlusconi? Quello si è fatto fare una legge apposita per la quale anche se lo denuncia il papa in persona, gli fanno un baffo. Comunque.
Dove eravamo arrivati? Allora, va bene Zavoli? Sì? Va bene? Va bene! A chi va bene? Non certo a Villari, che nel frattempo conferma a se stesso e all’Italia intera che il presidente “democraticamente” eletto è lui e lui non ha nessuna intenzione di andarsene. Dagli torto. Riapriti cielo! Il PD minaccia di cacciarlo via dal partito e di fatto lo fa: Villari non è più un piddino (Latorre, quello che passa pizzini in TV agli odiati pidiellini, sì). Anche il PdL, dopo averlo eletto per sfregio comincia a piagnucolargli appresso: “E dai, dimettiti, mi’ però che sei, perché fai così, amunì, finiscila, dimettiti”. Niente da fare. Pare che alla buvette di Montecitorio (sostiene Repubblica), tra un pennette-gorgonzola-e-pistacchio e un vitellino-in-salsa-di-limoncello, due senatori abbiano detto di Villari: "Ricordi che diceva sempre? Nel vocabolario di un democristiano la parola dimissioni non esiste".
Questi sono valori, altro che Tonino.

giovedì, novembre 20, 2008

VIGNETTINE







(Thanks to Mauro Biani and Nico Pillinini)


DOLCE CUOR DEL MIO GESU’


Alla fine ce l’ha fatta, l’ex onorevole dell'UDC Luca Volontè, fondamentalista cattolico, a farsi pubblicare l'imperdibile volume sulle giaculatorie. Egli chiese aiuto a parroci e parrini vari affinché gliene segnalassero alcune. In qusta sua ricerca, a un certo punto, incappò in don Paolo Farinella, prete a Genova. Riporto lo scambio epistolare tra i due. La risposta del nostro parrinazzo è una delle cose più divertenti che abbia letto negli ultimi anni.

***
1) Lettera di Volontè (foto) a don Paolo Farinella

Egregio Signor Parroco,
sono [sic!] a disturbarla per chiederle la cortesia di inviarmi, se possibile con sollecitudine, una giaculatoria, di quelle che insegnavano le nonne ai nipotini. Io le ho imparate così e così le insegno alle mie figlie. Purtroppo vedo che questa sana memoria cristiana, che ci accompagna durante la giornata, và [sic!] scomparendo e rischia così di finire una ricca e proficua “trasmissione di fede”.
Perciò mi sono deciso a chiederle una (o più) “giaculatorie” che insieme a quelle dei suoi confratelli delle altre parrocchie italiane, vorrei raccogliere in un volumetto semplice che penso utile ed edificante. Confido nel potere aver una sua risposta entro il mese di luglio. Spero di averla convinta e non averla disturbata,
Suo in Cristo
Luca Volontè


2) La risposta di don Paolo Farinella (foto)

Sig. Luca Volontà – Camera dei Deputati
Roma
e p.c.
ad una marea di amiche e amici che prego di diffondere ciascuno con i propri mezzi via e-mail

Lei non mi conosce perché se mi conoscesse non mi avrebbe scritto la delirante richiesta, di cui sopra. In quanto cristiano la ritengo responsabile in solido dello sfascio dell'Italia in cui il governo Berlusconi da lei e dal suo partito sostenuto e condiviso anche in appoggio a leggi immorali totalmente in contrasto con la dottrina della Chiesa, quella Chiesa di cui lei ora si fregia per convenienza partitica, raccogliendo “giaculatorie” da pubblicare, mi pare di capire, in un libro, non per le sue figliole (poverette!), ma per inviarlo come propaganda a tutte le parrocchie italiane e istituti religiosi, maschili e femminili, credendo così di millantare un credito che eticamente lei ha perso il giorno in cui ha votato la prima legge ad personam, favorendo gli interessi personali e di casta del deputato Berlusconi e famigli. D'altronde, anche nel suo partito, lo stesso segretario Follini si è dissociato, sebbene in ritardo e per questo lo avete dimissionato. Dal punto di vista della morale cristiana è ladro tanto chi ruba quanto chi para il sacco. Lei di sacchi ne ha parati uno stock intero in cinque anni. Da cattolico?
Ogni volta diceva una “giaculatoria” per non rischiare di fare “finire una ricca e proficua “trasmissione della fede””? Quando ha votato il conflitto d'interessi quale giaculatoria ha detto, potrebbe inviarmela? O per la legge sulle tv del padrone, a chi ha chiesto protezione? A santa Chiara? A santa Scura? O a Santa Opaca?
La “sollecitudine” che lei invoca per inviarle le “giaculatorie”, la impegni più proficuamente a meritarsi il lauto stipendio (12.000?/15.000? euro al mese?) che noi con le nostre tasse le paghiamo perché serva il paese e non perché si preoccupi della “trasmissione della fede”. Lei è stato eletto non per assemblare giaculatorie, ma per servire il popolo sovrano, facendo una opposizione legittima ma proporzionata al dovere della maggioranza di governare il Paese, specialmente nello stato comatoso in cui voi lo avete lasciato.
Se lei ha imparato le giaculatorie da piccolo, le reciti in silenzio e non le sbandieri in piazza perché così fanno anche gli ipocriti e i pagani: per farsi vedere e per averne un utile. Lei vorrebbe farmi credere che è preoccupato per la “trasmissione della fede”? Via, sig. deputato! Lei crede veramente che io sia così stupido da non capire il suo diabolico piano?
Lei ha perso le elezioni e il potere, vuole mantenere i contatti con quel bacino di riferimento cattolico che sono le parrocchie (la maggior parte delle quali sono da lei distanti, tanto per precisare, ovvia!) e accreditarsi come deputato credente e praticante fino al punto da raccogliere “giaculatorie” e pubblicarle con il suo nome e cognome (Andreotti docet!) e fare così propaganda sistematica per i gonzi che possono cascarci.
Vedo anche che lei ha fretta in questa santa fatica editoriale se mi chiede una giaculatoria entro luglio: forse che vanno in scadenza come il tonno e l'insalata?
Io, invece, Paolo Farinella, prete di Genova, elettore e quindi pro quota parte attiva del popolo sovrano di cui lei è dipendente, considerato che ha scritto con la carta intestata della Camera (quindi gratuita), chiedo a lei che ha l'obbligo morale e giuridico di rispondere:
1. Ritiene lei che la raccolta delle giaculatorie, una per parrocchia di tutta Italia (circa 40.000) sia una priorità essenziale ed esiziale per la sopravvivenza del popolo che lo ha eletto al Parlamento? Presenti un disegno di legge, sia discusso in commissione e in Camera e si voti sulla proposta e sulla copertura finanziaria (forse si ridurranno le pensioni minime perché con una giaculatoria al giorno gli anziani riescono a levare il medico di torno?).
2. Se la sua iniziativa è privata, perché usa la carta intestata della Camera che le compete solo nell'esercizio della sua funzione di deputato che nulla a che a fare con questa stupida e ignorante iniziativa? Non è questa la morale cattolica? Lei ha studiato una morale ad elastico?
3. Quante copie intende stamparne dell'eventuale libro di giaculatorie? A spese di chi? Per la spedizione eventuale alle parrocchie e/o ad altri chi paga le spese postali? Il francobollo di posta prioritaria che c'è sulla busta della sua missiva chi lo ha pagato? Lei di tasca sua o noi di tasca nostra per intromissione indebita delle sue mani? Lei ha il pudore ancora di dire che non avete aumentato le tasse e non avete messo le mani in tasca ai cittadini? Cosa sta facendo lei, non sta mettendo le mani nelle mie e altrui tasche?
4. Per preservare la “trasmissione della fede”, sarebbe meglio che non usasse i soldi dei cittadini, come esige la morale cattolica per spedire lettere sue personali o per stampare libri di giaculatorie inutili e fuorvianti. Deputato Volontè, “giaculi” meno e non sperperi i soldi degli Italiani e impegni il suo tempo a servizio del popolo. Per la morale cattolica con o senza giaculatorie, se così fosse, si chiama furto e, se lei persiste, furto aggravato che, secondo san Paolo è sanzionato con l'inferno.
Comunque voglio accontentarla e le mando la seguente giaculatoria che mi insegnò mio nonno oltre cinquant’anni fa: “Dai democratici cristiani che si servono della fede per i loro sporchi affari, liberaci, o Signore”, che io aggiorno per suo diletto e trastullo fideistico: “Dalla peste, dalla fame, dalla lebbra e dall’Udc liberaci, o Signore, ora e sempre. Amen”.
Spero che non ci sia più una prossima volta, ma se dovesse esserci, la prego di non firmarsi più “in Cristo, suo...” perché lei non è “mio”, essendo la schiavitù abolita da qualche secolo e poi perché è meglio non mischiare il suo partito con l'acqua santa in quanto incompatibili ex radice.
Mi saluti le sue figlie e esprima loro tutta la mia umana solidarietà in caso di una loro autonoma e sperabile rivolta filiale.

Paolo Farinella, prete
Genova
PS. Se lei dovesse pubblicare un libro di giaculatorie a spese pubbliche, io citerò in giudizio lei e aventi causa, chiedendo i danni materiali e morali. Un consiglio gratis: impegni il suo tempo libero a studiare la grammatica e la sintassi, sicuramente le sarà più utile.

martedì, novembre 18, 2008

DA QUALE PULPITO


Eccola là! Adesso è chiaro il perché il prof. Renato Brunetta (a destra nella foto) è così accanito contro i fannulloni: perché vuole essere l’unico. L’Espresso del 13 novembre rivela alcuni retroscena sulla vita del ministro gnomo che naturalmente noi non conoscevamo. Immagino che i due giornalisti autori dell’inchiesta non la passeranno liscia, visto l’aria che tira oggigiorno in Italia, ma tant’è. Tra l’altro uno dei due, il Fittipaldi (sarà parente di Emerson?), è quello che tempo fa fece nomi e cognomi e svelò che un sottosegretario del governo in carica – tal Cosentino – aveva strane collusioni con la camorra – mica coi boy scout – sugli appalti della monnezza a Napule. Ovviamente i due reporter, e il loro giornale, ricevettero la visita della Guardia di Finanza, perquisizioni, sequestro di computer, cazzi e mazzi.
Non ripeterò quello che dicono Fittipaldi e Lillo – per cui vi rimando all’indirizzo:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Che-furbetto-quel-Brunetta/2049037&ref=hpsp –, anche perché non sto bene e penso di andarmi a coricare, ma quello che mi viene da dire è che questo giro di vite etico sugli Italiani proviene al governo meno etico che l’Italia repubblicana ricordi. Prendete, fai conto, Craxi, De Lorenzo, Longo, Nicolazzi e i migliori attrezzi della politica italiana, metteteli assieme e fatene un fascio (non di tutte le erbe, solo di quelle cattive); ebbene il nostro premier Berlusconi ne fa un solo boccone quanto a onestà. Manco li vede! No, davvero, leggetevela l’inchiesta dell’Espresso, è un po’ lunghina ma ne vale la pena. Leggetela tutta tutta, la parte delle presenze al Parlamento europeo, alle varie commissioni, al consiglio comunale di Venezia; anche la parte della carriera universitaria e dei vari magheggi in campo immobiliare. Poi magari vi leggete la risposta del ministro e infine anche il comunicato della direzione dell’Espresso. Leggere di un bue che chiama cornuto un asino può avere anche dei risvolti divertenti, no?
Ma tant’è. Berlusconi che pontifica (magari col pontefice) di unità della famiglia, la Carfagna che si occupa di prostitute, il pelandrone Brunetta che perseguita i cosiddetti fannulloni (che in maniera giocosamente manichea sono tutti di sinistra)… Manca solo Cicciolina che invita tutti alla castità e alla continenza.

lunedì, novembre 17, 2008

Que pasò hoy?


Roma: Manager di McDonald’s diventa direttore dei musei statali. Esatto, non un critico o uno storico dell’arte o un archeologo di fama ma Mario Resca, bocconiano di ferro e amministratore delegato di McDonald’s Italia fino al 2007. Per carità, il nostro uomo ha dalla sua parte un curriculum di tutto rispetto che lo ha visto (e lo vede) al vertice di importantissime aziende. Dal punto di vista artistico-museale l’unica nota di merito è la sua amicizia con Silvio Berlusconi.
Resca ha già annunciato importanti eventi artistici nei musei di tutta Italia, a cominciare dalle mostre “Il cheeseburger nell’arte post rinascimentale” alle Scuderie Vaticane e “Il BigMac secondo Lippo Lippi” alla Pinacoteca di Brera, oltre ad una manifestazione sull’evento artistico-culturale dell’anno: il ritrovamento di tracce di Chicken Salad negli scavi di Pompei.

Roma: Il governo Prodi aveva fatto una legge (n. 188 del 17/10/2007) con la quale si impedivano le cosiddette dimissioni in bianco dei lavoratori. In cosa consistevano le dimissioni in bianco? Praticamente il datore di lavoro costringeva il lavoratore, perlopiù la lavoratrice, a firmare, al momento dell’assunzione, anche una lettera di dimissioni. La quale sarebbe stata tirata fuori al momento, per esempio, di un’eventuale gravidanza della lavoratrice. Gravidanza indesiderata, ovviamente, ma dal padrone. Il governo Berlusconi ha fortunatamente abolito quella legge (D.L. 112 del 25 giugno 2008, collegato alla finanziaria 2009), per cui adesso viene reintrodotta con una standing ovation questa pratica di sfruttamento delle lavoratrici e fare figli per loro sarà sempre più difficile. Un colpo alla famiglia e un altro successo del governo in carica. Successo che potrà essere sbandierato al prossimo Family Day, magari dalla sottosegretaria Roccella, che di quella stomachevole manifestazione fu una dei principali animatori.

Milano: A proposito di sfruttamento, un’inchiesta giornalistica di Repubblica rivela che gli stranieri al mercato ortofrutticolo vengono pagati 2-3 euro per lavorare tutta la notte a scaricare cassette di frutta e verdura.
Ah, questi stranieri che ci rubano il lavoro…

sabato, novembre 15, 2008

McDonald’s o McKiller?



Riporto fedelmente, senza toglierci niente, un articolo che mi è capitato di leggere su un quotidiano on-line del fantastico web.

Raccolta fondi nei McDonald's a favore dei bambini
Dal 17 al 23 novembre in tutti i ristoranti McDonald's in Italia saranno raccolti fondi a favore dei bambini destinati alle attività della Fondazione per l'Infanzia Ronald McDonald Italia. La Giornata Mondiale del Bambino è stata istituita dall'Assemblea Generale dell'ONU attraverso l'entrata in vigore della Convenzione Universale dei diritti dell'Infanzia. Si celebra ogni anno il 20 novembre. L'obiettivo di questa giornata è quello di raccogliere fondi a sostegno della locale Fondazione per l'Infanzia Ronald McDonald attraverso una serie di attività, promozioni e iniziative organizzate negli oltre 30.000 ristoranti McDonald's presenti in tutto il mondo. I fondi raccolti in Italia sono destinati all'apertura e alla gestione delle Case Ronald McDonald e delle Family Room Ronald McDonald, che danno alloggio temporaneo a famiglie con bambini gravemente malati e lungodegenti presso i principali centri pediatrici italiani.

Ma quant’è bravo questo Mr McDonald! Sono veramente affascinato da quest’uomo che, oltre ad essere diventato un grande dell’alimentazione a livello planetario, si è inventato il pagliaccio che accoglie tutti i bambini all’ingresso dei ristoranti di tutto il mondo e li porta nel suo rutilante multicolore mondo dell’hamburger. E come se non bastasse adesso fa anche della filantropia, ma di quella coi controciufoli, e si interessa dei bambini malati. Per cui, ho pensato che dovevo saperne di più di quest’uomo e del suo colosso della buona merenda. Mi sono pertanto riaffidato al fantastico web ma, ahimé!, ho trovato tante cattiverie che, secondo chi le ha scritte, dovrebbero smentire la fama di brava persona che aleggia come un’aureola, intorno alla ricciuta testolina clownesca del buon Ronald. Secondo me ce l’hanno con lui. Dietro l’”attenzione” che McDonald’s riserva alle tematiche ambientaliste, o comunque umaniste, e che ovviamente è solo di facciata, si nasconde una società che attua politiche spregiudicate per quel che riguarda la salubrità del suo cibo, i danni causati all’ambiente, il trattamento degli animali, i rapporti di lavoro dei suoi dipendenti.
McDonald's reclamizza il proprio cibo come "nutriente", ma la verità è che si tratta di cibo ricco di grassi, zuccheri e sale, e povero di fibre e vitamine. A un'alimentazione di questo tipo è legato un alto rischio di malattie del cuore, cancro, diabete etc… Il loro cibo contiene anche molti additivi chimici, alcuni dei quali possono causare stati febbrili, ed iperattività nei bambini, e con i moderni metodi di allevamento intensivo, altre malattie – legate ai residui chimici o a pratiche non naturali – sono diventati un pericolo per tutti/e (come per esempio la cosiddetta "mucca pazza"). Cosa fa, McDonald, prima fa ammalare i bambini e poi fa delle raccolte per farli curare? Un paio di anni fa uscì un film, un documentario più che altro, intitolato “Super size me”, nel quale si raccontano le vicende di un cittadino americano che si affida per un mese alle cure alimentari di McDonald’s. Ebbene, alla fine del mese il risultato fu di 10 chili presi dall’uomo più una serie di patologie mica da ridere.
Le foreste di tutto il mondo, vitali per tutte le specie di vita, vengono distrutte ad un ritmo spaventoso dalle società multinazionali. Il buon McDonald alla fine è stato costretto ad ammettere di usare bovini allevati su terre dove erano state segate foreste pluviali, compromettendo la rigenerazione di queste. Il metano emesso dagli allevamenti bovini per l'industria della carne è una delle maggiori cause del problema del "surriscaldamento della Terra". Altra storia: ogni anno McDonald's usa una inimmaginabile quantità di inutili confezioni di vari tipi, con un inutile spreco di carta, cartone e plastica che spesso hanno una durata di circa un minuto (dal bancone al tavolino). Molte altre finiscono come sporcizia per strada.
I lavoratori dell'industria del fast food hanno paghe molto basse. McDonald's non paga straordinari anche quando i lavoratori ne fanno diverse ore. La pressione per realizzare sempre maggiori profitti fa sì che siano assunti meno addetti di quelli necessari cosicché quelli che ci sono devono lavorare sempre più velocemente e sempre più duramente. Come conseguenza, gli incidenti (particolarmente le ustioni) sono molto comuni. La maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici di McDonald's sono persone che hanno poche possibilità di trovare lavoro e sono costretti ad accettare questo tipo di sfruttamento, e oltretutto sono anche obbligati e obbligate a "sorridere"! Non è quindi una sorpresa che il ricambio del personale da McDonald's sia molto alto, questo fa sì che sia virtualmente impossibile sindacalizzarsi e lottare per migliori condizioni di lavoro, in più McDonald's si è sempre opposto ovunque alle organizzazioni dei lavoratori.
E allora? Boicottiamo quel pezzo di merda di McDonald’s, no?

G 20


È iniziato a Washington il G20, il vertice dei paesi più ricchi del mondo, riunitisi in un organismo che rappresenta l’umanità ma che nessuno ha mai eletto. L’idea – come per il G7, il G8, il Gchecazzonesò – è quella che i più ricchi si prendano cura dei più poveri. Bello se non fosse che la causa della povertà della maggior parte del mondo va ricercata proprio nella parte più ricca. Ovvero, per risolvere una situazione brutta si riuniscono proprio coloro che la situazione l’hanno creata. In questo vertice si dovrebbe affrontare, ma per benino, eh!, la gravissima situazione finanziaria che il mondo sta vivendo in questi giorni. La gente è allo stremo, falliscono banche e agenzie finanziarie, la recessione è alle porte. Nel mondo cosiddetto terzo vi sono catastrofi umanitarie incontrollabili, guerre a carestie e per di più il prezzo dei cereali cresce mettendo in seria difficoltà quei paesi la cui alimentazione si basa a quasi per intero sui cereali.
La situazione è gravissima, perciò, non c’è affatto da stare allegri. Ed è per questo che per iniziare il G20 sotto i migliori auspici, perché da esso provengano buone notizie per coloro che si preparano ad affrontare la povertà e per coloro che affrontano la fame quotidianamente, spesso essendone sopraffatti, che George W. Bush, padrone di casa, ha iniziato il vertice con una… cena di gala.

giovedì, novembre 13, 2008

DOPO LE FESTE


A Girgenti abbiamo tutti una sana propensione a rinviare tutto a dopo le feste. Soprattutto quelle cose che, in realtà, non vogliamo fare. Qualunque decisione viene procrastinata a questo termine ideale, che di per sé è molto vago visto che ci sono sempre delle feste incombenti. Ed è così che di festa in festa si rimandano delle cose che potrebbero anche essere importanti per la nostra vita. Chi di noi non ha mai rinviato delle visite, degli impegni, dei viaggi a questo “poi” assoluto che è il “dopo le feste”? Chi di noi non ha mai detto: “Ne parliamo dopo le feste”?
In questi giorni mi è ritornato alla mente un episodio dei tempi del liceo, parecchi anni fa. Si era nel periodo natalizio e con degli amici avevamo pensato di organizzare qualcosa. Talmente importante che adesso non ricordo più di cosa si trattasse, doveva essere qualcosa tipo scrivere un giornalino o robe del genere. L’entusiasmo era alle stelle, la voglia di fare pure e il momento era quello propizio visto che molti di noi eravamo liberi da impegni. Non vedevamo l’ora di iniziare e infatti cominciammo a dividerci i compiti; ognuno si assunse le proprie incombenze e le proprie responsabilità; ci demmo delle scadenze e pensammo che dopotutto eravamo dei ragazzi in gamba se stavamo portando avanti quel progetto lì.
Ma a un certo punto il dramma. Qualcuno disse: “Vabbè, picciò, cominciamo dopo le feste”. La proposta passò all’unanimità: “Sì, sì, certo. Dopo le feste, dopo le feste”. Durante le feste ci si riunisce, si gioca a carte, ci si riprende dalla prima parte dell’inverno; è tempo di disimpegno, per la verità. Per cui passò Natale.
Ci rincontrammo dopo le feste e discutemmo della necessità di riavviare la macchina organizzativa. “Sì, però, naturalmente se ne parla dopo la festa”. “Quale festa?”. “Il Mandorlo in Fiore, no?” La Sagra del Mandorlo in Fiore, prima settimana di febbraio, Girgenti è paralizzata dall’evento, come avevamo fatto a non pensarci. Le majorettes non potevano certo aspettare. E poi forse qualcuno di noi avrebbe fatto l’accompagnatore dei gruppi folkloristici, un sacco di movimento in giro. No no, dopo il Mandorlo in Fiore. Assolutamente.
Che passa anch’esso, con il suo strascico di storie d’amore mai iniziate con graziose polacche dall’occhio ceruleo o procaci spagnole. Si riprende, pertanto, a parlare del nostro impegno temporaneamente accantonato, anche se si nota da parte di qualcuno un certo calo d’entusiasmo. E non solo! Quell’anno Pasqua cadeva in marzo, abbastanza presto, quindi non era neanche il caso di intraprendere un cammino che comunque richiedeva un certo impegno. E poi Pasqua ma soprattutto Pasquetta, non le possiamo mica toccare. “Picciò, dopo Pasqua ne parliamo”. Dopo le feste, e la Pasqua fu salva!
Sicché si arrivò ai primi di aprile, il sole cominciava a riscaldare l’aria e la naturale pigrizia degli agrigentini veniva solleticata dai primi raggi e dai primi tepori che non invitavano certo all’impegno e al coinvolgimento. L’organizzazione segnava il passo, non ci si ricordava quasi più di quello che s’era detto a Natale, tuttavia si riprese a parlare di quella storia ma sempre più stancamente. “Non ne possiamo parlare dopo le feste?” “Quali feste, bellomè?” “Ora non c’è il 25 aprile? E poi non c’è il primo maggio?” Tacite ma sentite ovazioni di gioia e di riconoscenza squarciarono i nostri petti e le nostre giovani menti. Quasi con le lacrime agli occhi per la forte emozione uno di noi ebbe la forza di dire: “Inghia, vero. Non ci pensavo”. È vero, non ci pensavamo che purtroppo c’erano le feste che ostacolavano l’organizzazione. E quindi si rimandava tutto a dopo le feste.
Primi di maggio, tepore primaverile, prossima fine della scuola, libri da studiare e interrogazioni a tempesta. Ma soprattutto all’orizzonte si stagliava la festa totale: l’estate. Comitiva, spiagge, sole, mare, zitaggi, lassatine, canzoni, motorini, ragazze: non avemmo neanche il coraggio di parlare più del nostro impegno. Eh, sì, dopo l’estate se ne riparla. Dopo le feste, quindi. Ma le feste, in questo caso, durano quattro mesi, mica un giorno.
Al ritorno dalle ferie, praticamente a settembre inoltrato, il nostro impegno apparteneva al passato. L’entusiasmo che caratterizzò l’inizio dei lavori era un ricordo sbiadito. Il sacro furore dei primi tempi era definitivamente tramontato e nessuno sarebbe tornato a parlare del nostro impegno. Il quale sfumò come sfuma tutto quello che viene rinviato a dopo le feste.
***
In questi giorni pensavo che dovrei farmi una visita specialistica, ho una caviglia che mi fa male ormai da tempo. Devo anche fare delle compere per arredare la mia nuova casa; specchi, mensole, ‘ste cose qua. Inoltre, ho visto un mio vecchio compagno di scuola e gli ho promesso che lo vado a trovare per vedere i figli che, nel frattempo, gli sono nati. E sapete quando farò tutto questo?
Esatto, dopo le feste!

lunedì, novembre 10, 2008

Que pasò hoy?

Roma: In visita nel nostro paese, il presidente del Brasile, Inacio Lula da Silva, ha salutato così il nostro presidente: Caro compagno, Giorgio Napolitano. Starò diventando vecchio, ma quando (di ‘sti tempi) sento chiamare qualcuno compagno, mi viene quasi da piangere.

Castel Volturno: È morta Miriam Makeba, la cantante sudafricana, alfiere dei diritti umani. Una decina di anni fa, quando è venuta a cantare a Girgenti, ho fatto da interprete alla sua conferenza stampa. Ricordo che un cameriere dell’hotel in cui ci trovavamo volle che io le traducessi il suo saluto e lei si mostrò molto contenta e ricambiò con affetto. Ciao, Mama Africa.

Roma: Una ricerca che la Fondazione Migrantes, che fa capo alla CEI, ha commissionato all’Università di Verona, rivela che non è vero che i nomadi e gli zingari rubano i bambini. Monsignor Saviola, direttore di Migrantes, punta il dito su giornali e tv che amplificano le notizie “con forza squassante”, distorcendo la realtà.
Vabbé, e se non li rapiscono gli zingari i bambini, chi li rapisce? Pare che questi episodi avvengono spesso all’interno delle mura domestiche, ad opera di familiari, parenti o pedofili vari.
Gli zingari non rapiscono i bambini? Ma la vogliamo smettere una buona volta di attaccare le certezze delle persone?

domenica, novembre 09, 2008

VITA DI PI


Yann Martel – “Vita di Pi” – Ed. Piemme – Euro 5,90 (se lo trovi in edizione economica nel cestone dell’Autogrill)

Il rischio di farvi due palle così, soprattutto nella prima parte, c’è, tuttavia questa Vita di Pi alla lunga è un bel libro di avventura. Narra di un giovinetto indiano – dal nome improbabile: Piscine Molitor Patel, detto Pi – che aderisce a tre religioni: l’Induismo (per nascita), il Cristianesimo (nella variante meno interessante, il cattolicesimo) e l’Islam. Vive una vita tranquilla nella sua Pondicherry, dove il padre è il direttore, e di fatto proprietario, dello zoo locale. Spinti dalla necessità di emigrare, in Canada, la famiglia si imbarca su un bastimento battente bandiera panamense, con al seguito diversi animali che avrebbero venduto una volta a destinazione. Ma la nave affonda. Nel naufragio si salvano solo il buon Pi e quattro animali: una iena, orrenda per antonomasia, l’orango Orange Juice, una zebra e Richard Parker, splendido esemplare di tigre del Bengala. La iena fa fuori zebra e orango, prima di essere accoppata dalla tigre. A quel punto, nell’immensità dell’Oceano Pacifico, rimangono un ragazzo e una tigre, entrambi spasmodicamente attaccati alla vita e decisamente intenzionati a sopravvivere.
Da qui in poi il libro narra questa lotta per la sopravvivenza intrapresa dai due animali in una natura fatta di cielo e mare ma anche di squali e tartarughe, sole a picco e tempeste, petroliere che ti sfiorano e isole carnivore. La lotta è vinta da entrambi, ve lo dico subito, sennò che lo avrebbero scritto a fare? Il libro ha anche grandi momenti di lirismo. Cito, ad esempio, il capitolo 75, nelle uniche due righe di cui si compone: “Nel giorno che calcolai essere il compleanno di mia madre, le cantai ‘Buon Compleanno’ ad alta voce”.
L’unica pecca, secondo me, è che il ragazzo conosce un sacco di cose, troppe per un ragazzino di sedici anni, e alla lunga ti fa girare i maroni, oltre al fatto che appare poco credibile.
Vita di Pi potete regalarlo a vostro nipote per la Prima Comunione. Magari in un’edizione più graziosa, giusto per non farvi prendere per pezzenti da vostra cognata.

sabato, novembre 08, 2008

ABBRONZATO



Ci risiamo. Re Silvio Berlusconi fa, e ci fa fare, l’ennesima figura di merda internazionale. Scambiando il Cremlino per il Billionaire, la conferenza stampa ufficiale per un “due spaghetti dalla Gina” e Dmitrij Medvedev per Mariano Apicella, il premier italiano si lascia andare alla solita esternazione a briglie sciolte. Definisce il neo presidente americano “bello, giovane e abbronzato”. Berlusconi, da vecchio razzista inveterato qual è, si rifiuta di pensare che un nero sia capace di arrivare alla Casa Bianca, di imprimere una svolta alla politica internazionale e, di fatto, al mondo intero; si rifiuta di pensare, cioè, che un nero sia migliore di lui. E di molto. Per cui tira fuori il suo spirito da colonizzatore bianco che sbarca nelle Indie con le perline colorate e sfoggia il miglior repertorio per bimbi negri: pittore-ti-voglio-parlare, bingo-bango-bongo-voglio-andare-fino-al-congo, etc… La ridicola sparata del nostro amato premier ovviamente fa scalpore e quindi…
Il centrosinistra italiano, a corto di proposte politiche serie e credibili, dopo essersi barackobamizzato abusivamente, insorge contro le parole di Berlusconi. Ma questi – stavolta non smentendosi né accusando di essere stato frainteso – respinge altezzosamente ogni polemica e dichiara: “Dio ci salvi dagli imbecilli”. A titolo personale posso dire che stavolta la penso esattamente come il premier: “Dio ci salvi dagli imbecilli”. Cioè da lui. Uno che chiama abbronzato un nero è un imbecille, senza voler offendere gli imbecilli, ovviamente.
Intanto il video sta facendo il giro del pianeta. Il mondo commenterà che siamo sempre i soliti italiani spaghetti pizza mandolino e i nostri connazionali all’estero verranno sfottuti a sangue dai loro amici e colleghi di lavoro. Penso ad esempio a mio fratello che vive in Francia e che andando al lavoro sarà stato accolto dai suoi colleghi al grido di “Berlusconì Berlusconì”. Certo, mio fratello è abbastanza scafato (leggasi: se ne fotte), per cui ci riderà su anche lui e ci metterà del suo, ma penso a quanti poveretti cercano ancora di dare dell’Italia una immagine seria e rispettabile. Chissà come ci rimarranno male.
Intanto Barack Obama viene informato della battuta, anzi della “carineria” di Berlusconi nei suoi confronti. Il commento sarà stato ancora una volta lo stesso: “Dio ci salvi dagli imbecilli”.
Adesso Silvio dice che vuole subito incontrare Barack Obama. Per chiedergli scusa o per cantargli “Quando io sentire odore di banana, subito pensare ad Africa lontana”? E tutti insieme: “tucullallà-tucullallà-tucullallà-tucullallà…”

HA VINTO BARACK. VIVA BARACK.



E meno male. Certo, non mi entusiasma più di tanto l’elezione di un presidente americano ma tra i due, non ho alcun dubbio, avrei scelto Barack Hussein Obama.
Primo, perché evidentemente il vecchio Martin Luther King jr ci aveva visto giusto. Aveva un sogno, il reverendo, e questo sogno continua. I neri – o come qualcuno li chiama qui da noi, i negri di merda – hanno evidentemente, oltre che la tendenza al crimine, anche delle ottime capacità. Di persuasione, innanzitutto. Barack è l’uomo che ha catalizzato su di sé l’attenzione, ed evidentemente anche la fiducia, di milioni di americani. I quali, oltre a promettergli un voto ai primi di novembre, lo hanno anche gratificato di una somma di denaro, piccola o grande che sia stata, per portare avanti la campagna elettorale. Perché hanno creduto in lui. Hanno anche la capacità di parlar chiaro, i neri, e di non aver difficoltà a mostrare i nervi scoperti. Obama promette il ritiro dall’Iraq entro sedici mesi, vale a dire un anno e mezzo. E questo ovviamente passa obbligatoriamente dalla presa d’atto che in Iraq si è perso. Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa né era alleato di Al Qaeda – cose confermate negli anni anche dal Congresso – per cui la guerra non è stata la risposta ad un atto preciso (l’11 settembre) ma un’operazione economica e neanche delle più fini. La storia su cui si è retta la guerra in Iraq si è rivelata un balla, i morti invece sono veri.
Mi pare interessante, da parte di Obama, anche l’idea che i ricchi debbano pagare più tasse dei meno ricchi. È un’idea di concezione talmente semplice che forse è per questo che non viene applicata quasi da nessuna parte.
L’altra buona, anzi ottima notizia è che George W. Bush finalmente se ne va. Stiamo parlando di uno dei più grandi malfattori dell’umanità, uno che andrebbe giudicato all’Aja, se non fosse presidente americano. Una persona dallo spessore umano, sociale e politico microscopico. Lodato solo da Silvio Berlusconi, a conferma dello spessore microscopico. L’altra sera La7 ha mandato in onda Farenheit 9/11, il documentario di Michael Moore sui rapporti tra i Bush e la famiglia Bin Laden e su molti altri complicati e intricati retroscena della vita politica americana. Sostengo da tempo che probabilmente bisognerà aspettare ancora degli anni ma quando alla fine verrà a galla la verità su quella terribile pagina di storia, la nausea sarà l’unica cosa che riusciremo a provare.
Via dall’Iraq, quindi, e al più presto. Alla faccia della guerra permanente anglo-americana, dell’esportazione della democrazia e delle missioni di pace europee. (Mi pare di sentirlo il dispiacere di La Russa nel non poter gracchiare “i nostri ragazzi, i nostri ragazzi”.) I signori della guerra e le potenti lobby delle armi stanno vivendo dei bruttissimi momenti. Otto anni di amministrazione Bush avevano visto moltiplicare i loro affari e adesso arriva il negretto e dice che si viene via dall’Iraq. E scommetto che salta anche la guerra con l’Iran. Brutta storia. Bisogna farlo fuori…
Torno un attimo, e concludo, al sogno del reverendo King, che era un filino più complesso. L’acme del discorso di Washington era l’auspicio che un giorno i giovinetti bianchi e le giovinette nere, vero anche al contrario, possano scendere dalle rosse colline della Georgia tenendosi per mano. Al confronto il fatto che un nero africano diventi presidente degli Stati uniti è una vera bazzecola. Il sogno di King sarà completo quando i neri avranno le stesse opportunità dei bianchi nell’istruzione o nelle politiche abitative, nella sanità o nella giustizia; quando non saranno prevalentemente i neri a finire sulla sedia elettrica ma ci sarà più… ops! ma non ci sarà più la sedia elettrica; quando i poliziotti bianchi la smetteranno di sentirsi autorizzati a picchiare gli automobilisti neri e soprattutto quando Michael Jackson la pianterà una buona volta di schiarirsi la pelle. Allora, solo allora, the dream sarà veramente, finalmente realizzato.

Un consiglio, Barack: a Dallas, casomai ti invitano, non ci andare. Che ne so, di’ che stai male, hai la diarrea, ti si è allagata casa, devi andare a trovare tua nonna (magari questo no), ti sei slogato un polso ma non ci andare a Dallas. Ok, bello mio?

sabato, novembre 01, 2008

BOTTANA


In una via di Buenos Aires (Thanks to Pippo Pisano "migratore clandestino").




BUON WEEKEND.

FISICHELLA (non quello della Formula 1)



La riforma (riforma?) Gelmini sulla distruzione della scuola pubblica raccoglie consensi unanimi. Dappertutto in Italia la gente si ritrova in strada a manifestare contro questi provvedimenti che metteranno graziosamente in strada diverse decine di migliaia di operatori della scuola. Berlusconi dice che è la sinistra che fomenta la rivolta facendo disinformazione. E del resto, come dargli torto, la televisione è tutta in mano alla sinistra! Ma loro non si fanno intimidire e vanno avanti. Forti del consenso popolare delle scorse elezioni, per il quale pensano ormai di avere il diritto di calpestare diritti fondamentali acquisiti da decenni, e fottendosene del malcontento popolare, loro tirano dritto. Aggressione alla scuola pubblica, dunque, e tagli indiscriminati, senza un ritorno in termini di miglioramento del servizio per la scuola. E difatti, leggendo il DdL 1108 passato al Senato giovedì scorso, neanche la mente più accorta riuscirebbe a trovare qualcosa che giustifichi il termine “riforma”. C’è solo la reintroduzione di vecchi schemi del passato – tipo i voti in decimali o il voto di condotta –, che si possono anche accettare ma che nella sostanza non cambiano assolutamente nulla. (È saltata pure la reintroduzione del grembiulino, che avevano strombazzato come la figata del millennio.) Per il resto sono solo tagli su tagli. Tutto ciò in ossequio ai diktat di Tremonti e Berlusconi, che, lasciando intatti la spesa e gli sprechi per il funzionamento della politica – e sì che la politica in Italia funziona –, e alla ricerca di mezzi per arginare le falle lasciate da banchieri e manager fraudolenti, cercano fondi tagliando sui servizi pubblici principali: la scuola e la sanità.
È una riforma indifendibile, dunque, che scontenta tutti, soprattutto coloro che nella scuola ci vivono, ci lavorano, ci lottano e ci soffrono quotidianamente (e tra questi non c’è sicuramente la Gelmini). È una riforma che depotenzia e svilisce vieppiù un’istituzione che negli anni ha subito attacchi pesanti dai governi di questo paese, di destra soprattutto ma anche di sinistra. Nei fatti impoverisce la scuola pubblica a vantaggio della privata, soprattutto quella cattolica, per la quale non paiono esserci problemi di tipo economico e continuerà a essere foraggiata con denaro pubblico. Tutti contro la Gelmini, quindi. E invece…
Invece la giovane e incompetente ministra ha un manipolo di ammiratori. Uno fra tutti, Monsignor Rino Fisichella (foto), rettore della Pontificia Università Lateranense, che ha parlato in termini sperticatamente elogiativi della ragazzina, pardon, della ministra, arrivando a definirla “una persona che sa ascoltare”. ”Io sono convinto – ha aggiunto il nostro uomo – che Gelmini sarà in grado di instaurare un vero dialogo con tutti”. Monsignore, non ci siamo capiti. Questi qua hanno fatto questo schifezza proprio perché non hanno ascoltato nessuno, proprio perché non hanno voluto dialogare con nessuno del mondo della scuola. Perché è chiaro che se lo avessero fatto, non avrebbero trovato un cane che avallasse quello schifo che proponevano. “Spinta dal desiderio di guardare al bene di tutti alla luce della Dottrina sociale della Chiesa” – continua la lode alla ministra. E certo, pensare che la buona Gelmini abbia avuto l’idea di buttare per strada 87.000 maestre, oltre a tutti gli altri operatori della scuola – qualcuno arriva a ipotizzare che le perdite di posti di lavoro possano aggirarsi intorno alle 200.000 unità – mentre leggeva la dottrina sociale della Chiesa c’è solo di che sbellicarsi dalle risate.
Monsignore, siamo seri. Anzi, sia serio. Forse la Gelmini e Berlusconi sono disposti ad ascoltare lei, e il Vaticano che lei rappresenta, ma non mi venga a dire che questi squallidi personaggi ascoltano la gente e le istanze più profonde della società. No, Monsignore, forse ascoltano le vostre richieste di ulteriori finanziamenti alle vostre scuole; forse vi ascoltano quando chiedete privilegi per gli insegnanti di Religione (a proposito, nella scuola elementare, insieme a quelli di inglese, sono gli unici maestri a non essere segati); forse su argomenti quali l’ICI o l’8 per mille, li trovati attenti e pronti al dialogo e all’ascolto. Ma non mi venga a dire che questi qua ascoltano il popolo perché direbbe una bugia ridicola e disgustosa, Monsignore. Questi signori hanno invertito i termini dell’impegno politico, che deve essere innanzitutto un servizio di carità agli altri, soprattutto a chi se la passa peggio. Fare una riforma della scuola che guardi al popolo significherebbe farla con lo sguardo rivolto ad esso, nella speranza che lo stato, che (per chi ci crede) è raffigurazione del potere di Dio, possa dare risposte alle esigenze del popolo. Su questo tema l’esigenza è quella di dare a tutti i ragazzi una scuola buona, anzi ottima, perché è questo che il popolo merita. Una scuola di alta qualità e gratuita, quella che si otterrebbe se invece di tagliare fondi pubblici per stornarli da altre parti, li si utilizzassero per la formazione degli insegnanti, per l’edilizia scolastica, per le palestre e i laboratori. Di carità, in questa riforma della buona cattolica Gelmini, io ci vedo ben poco.
Monsignore, da cristiano cattolico, mi pongo sempre due domande:
1. Gesù da che parte starebbe?
2. E voi, da che parte state?