venerdì, marzo 04, 2011

L’ALLUVIONE DI PORTO EMPEDOCLE


Per tanti anni mio padre lavorò a Porto Empedocle. Credo per tutti gli anni ’70 del Novecento. Era il direttore della locale sezione dell’INAM, antesignana di tutte le USL, ASL, ASP e compagnia bella. Quindi ogni mattina andava regolarmente a lavorare nella cittadina sul mare, a due passi da Agrigento. Ma nonostante fosse così vicina, per me era come se facesse quotidianamente un viaggio lunghissimo. Ogni mattina, con la sua Fiat 124 Special color avorio antico, se ne andava bel bello a Porto Empedocle, ‘a Marina. Poi alle due tornava. Abitavamo di fronte alla stazione e quando partiva il diretto per Palermo, al fischio secco della littorina, mia madre esclamava “Partì Palermu!”. E buttava la pasta. Dopo qualche minuto si sentiva la macchina di mio padre che arrivava, dava l’ultima sgasata al motore (abitudine che non ho mai capito) e saliva a casa. Portava quasi sempre la posta. E il giovedì Topolino.
La stessa cosa avvenne il 27 settembre del 1971. Uscì di casa al solito orario ma contrariamente agli altri giorni, quella volta lì portò con sé anche Fabio, mio fratello piccolo. Cinquenne. Quasi seienne. Non eravamo andati a scuola quel giorno. E non poteva essere altrimenti, ché allora la scuola cominciava il 1° ottobre. Mio fratello, così mi racconta, aveva il desiderio di andare a vedere gli animali a casa di un collega di mio padre. Cani e gatti soprattutto, di cui mio fratello era, ed è, appassionato ma che purtroppo a casa nostra non ebbero mai cittadinanza. Quel giorno papà aveva deciso di esaudire la sua voglia, pertanto, lavatolo e vestitolo, se lo portò in ufficio con sé. Per l’invidia nostra, mia e di mio fratello grande, giacché andare all’ufficio di mio padre, benché esperienza rara, era per noi motivo di grande divertimento: avrei potuto passare delle ore a scrivere niente a macchina.
È passato davvero tanto tempo, per cui anche i ricordi si sono molto appannati ma so per certo che a un dato momento cominciò a piovere. A fine estate gli acquazzoni non sono rari e anche quello stava per essere derubricato come tale. Invece si aprì il cielo. Catate d’acqua a non finire, anche se nella media del periodo, avrebbe detto il colonnello Bernacca. Man mano che la mattinata scorreva, però, avemmo come la sensazione che qualcosa non stesse andando per il giusto verso, per cui il pensiero cominciò ad andare a nostro padre, che stava a Porto Empedocle, probabilmente in mezzo al diluvio. Con mio fratello piccolo. È davvero difficile ricordare le cose a distanza di tutto questo tempo ma se c’è una cosa che non ho scordato è la preoccupazione di mia madre. Si aggirava per casa rimuginando cose e certamente sperando che tutto si risolvesse al meglio. Forse anche rammaricandosi per il fatto che anche mio fratello era andato quel giorno, proprio quel giorno, a Porto Empedocle con mio padre.
Più il tempo passava e più le cose peggioravano. Non ad Agrigento, però, dove c’era soltanto una bella piovuta. Forse ogni tanto si riusciva a ricevere o a fare qualche telefonata, per cui arrivava qualche notizia, non buona, tuttavia. Anche le parole assumevano valori via via più seri: acquazzone → temporale → alluvione. Infine ci si attestò su questo termine – alluvione – quello che meglio fotografava l’enormità di un agente atmosferico al quale non siamo abituati, che ci spaventa quando lo sentiamo in tv e che porta alla mente piani terra allagati, case devastate, masserizie ammucchiate, famiglie espulse dalle loro case.
Mangiammo senza mio padre e mio fratello a tavola, in un’atmosfera quasi irreale. La tensione, soprattutto la preoccupazione, si tagliava a fette. Ci doveva essere sempre un motivo particolare perché mio padre non fosse a tavola con noi. Quella volta mancava anche Fabio, per cui teste basse e forte senso di incertezza. Mia madre, se sapeva qualcosa non la diceva per non farci preoccupare o forse semplicemente anche lei non sapeva nulla.
Finché non si seppe, credo a pomeriggio inoltrato, che i nostri erano al sicuro, sani e salvi a casa del signor Fiorentino, un impiegato dell’ufficio di mio padre, una brava persona che dopo qualche anno sarebbe emigrato negli States. Passarono la notte lì e benché sapessimo che erano al riparo, fu per noi un’esperienza ben strana.
Il giorno dopo, non so come, visto che c’era tutto quanto bloccato dal fango, mio padre e mio fratello riuscirono a tornare a casa. Furono accolti da trionfatori, stavamo affacciati al balcone in attesa che arrivassero.
A Porto Empedocle vi furono molti, ingenti danni. Due persone persero la vita ma molte rimasero senza casa. Nei giorni seguenti si sentì ancora molto parlare di quella calamità; ricordo alcune immagini, automobili incastrate tra i balconi delle case, fango dappertutto, gli alluvionati ospitati in una scuola. Ma per me quello è il ricordo di mio padre e mio fratello che non tornarono a casa, se non il giorno dopo, intrappolati dall’alluvione di Porto Empedocle. A casa del signor Fiorentino.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Me la ricordo bene. La macchina di mio padre era in un garage in un seminterrato vicino l'ospedale (via giov XXIII)e restò sotto mezzo metro di fango sceso dalla collina sovrastante. Avevo 15 anni e dopo pochi mesi, in lacrime, mi sarei trasferito al Nord.

GianniB ha detto...

in quel periodo lavoravo presso la Montedison stabilimento di Porto Empeodcle, la mattina con la mia fiat 500 blu raggiunsi lo stabilimento, ma già dalle 7.30 del mattino si capiva che dovesse succedere qualcosa, troppa acqua per le strade. Passavano le ore e pioveva continuamente a dirotto, alle 12.00 nessuno ha potuto lasciare lo stabilimento per andare a pranzo, restammo chiusi ognuno nel nostri uffici e gli operai ai propri reparti. Fortunatamente il direttore ci diede il permesso di entrare le macchine dentro lo stabilimento, dentro o a ridosso dei silos, Tutta la giornata a piovere, poi la sera verso le 19.00 con un buio devastante uscimmo a piedi per raggiungere le nostre case. Gia dalla stazione succursale vedevamo i primi effetti di una immane devastazione..raggiunta piazza Cappadona era gia chiaro l'effetto di cosa ha causato tutta quell'acqua venuta giù...fango, macchine accartocciate, voci di gente che si lamentava...ebbi paura..procedetti fino ad arrivare alla discesa Granet, dove salendo ancora fino alla via La porta cercavo di raggiungere il nostro negozio di Mobili...impiegai quasi un'ora per percorrere 150 metri..
Arrivato li sentii un nodo in gola,,,e l'assenza totale di saliva i nostri magazzini letteralmente sventrati con le saracinesche divelte e i mobili, materassi sedie divani, e tutta la roba che era esposta dentro galleggiava nel torrente che si era formato.... una tragedia immane..Quel giorno era finita una attività che durava da oltre 70 anni...