venerdì, maggio 15, 2009

DON PAOLINO



Piazza Purgatorio si trova a metà di Via Atenea, la strada principale di Girgenti, ed è una piazza molto importante, sulla quale mi soffermerò per almeno tre motivi. Il primo è che c’è la chiesa di san Lorenzo o del Purgatorio, naturalmente. Nella foto si vede bene, ha due scalinate, opposte, che si incontrano davanti al portone e davanti c’è la piazza in questione. In realtà adesso non è più aperta al culto ma dentro si può ancora visitare, l’hanno data in mano a una cooperativa di picciotti che ci fanno mostre, concerti e varie camurrie (sempre meglio di happening). Ebbene, in questa chiesa ci sono delle statue in stile barocco troppo belle, fatte da un certo Serpotta, che aveva una scuola a Palermo ed era bravo forte perché si era inventato uno stile personale; ovvero lui faceva le statue di stucco ma le lavorava con una tecnica tale da farle sembrare di marmo. Uno va lì e dice: “Guarda che belle statue di marmo”, e invece no, sono di stucco.
L’altro motivo è che a sinistra della chiesa c’è uno degli ingressi degli ipogei, che sono dei cunicoli sotterranei che attraversano tutta la città e vanno a sbucare ai templi e credo che in tempi remoti li usassero anche come acquedotto. Se poi uno pensa che gli antichi riuscivano a fare arrivare l’acqua nelle case mentre noi no… Roba da restarci secchi, intanto è così.
Ma il motivo principale che personalmente mi lega a Piazza Purgatorio è che lì c’era il salone di don Paolino, il barbiere dove mio padre ci portava da bambini a tagliarci i capelli. Don Paolino era un uomo calvo, prestante nell’aspetto, sempre sorridente e comunista. Assolutamente comunista. Parlava lungamente di politica con mio padre e io non ne capivo una mazza; gli diceva che quando acchianavano (salivano al potere) i comunisti a lui gli nazionalizzavano il salone e gli davano lo stipendio. E aveva questa barberia in un locale con l’ingresso a colonne, che anni fa è stato abbattuto, che dava sulla piazza. Il locale che era sotterraneo – per cui per entrare bisognava scendere delle scale – e prendeva luce (oltre che dall’elettricità) da spesse mattonelle di vetro che erano, e tuttora sono, parte della pavimentazione della piazza.
Don Paolino teneva anche un diurno e a volte la gente andava lì a farsi la doccia, cosa che mi faceva un senso pazzesco. Mi chiedevo il perché la gente non se ne stesse a casa sua a farsi la doccia, come facevamo noi – quando veniva l’acqua. C’erano le piastrelle bianche e nere alle pareti e le classiche poltrone da barbiere, quelle girevoli con una leva laterale per abbassare e alzare lo schienale e il poggiapiedi in ferro lucido dove c’era scritto – con un bel lavoretto a traforo – Fratelli Scuderi Catania. Sulla mensola aveva tutto il necessario per tagliare i capelli e fare un servizio completo: pettini, forbici, flaconi; le boccette di alluminio: una per la cipria (con pompetta rossa) e una per la lozione (senza pompetta); la spazzola per tirar via i capelli dalla nuca e quella per spazzolare i vestiti a fine taglio; la macchinetta per tagliare i capelli a zero. Teneva anche il necessaire per la barba: il pennello, il catino per la schiuma e il rasoio a mano, che usava anche per rasare i peli superflui dalla nuca e al quale, prima di usarlo, rifaceva il filo sulla fettuccia di cuoio attaccata al muro. C’era uno strano odore nel salone di don Paolino, odore di barbiere.
Per noi bambini aveva anche un seggiolone a forma di Topolino e ancora ricordo di quando sedevo lì. Mio padre mi comprava un torroncino al Bar Gambrinus, dolce che particolarmente amavo soprattutto per il ripieno di cucuzzata. E io mangiando piano piano il dolce mi facevo tagliare docilmente i capelli. Ricordo ancora che don Paolino diceva a mio padre che io ero democristiano, perché stavo tranquillo e buono solo quando mangiavo. Verso la fine del taglio avevo in mano una cosa di pasta frolla, glassa, cucuzzata e capelli, che continuavo a mangiare mentre don Paolino – che da comunista qual era avrebbe dovuto mangiarseli i bambini e invece aveva una gran pazienza – mi diceva di girarmi, stare fermo, alzare la testa e impartiva ordini che io pensavo fossero una specie di liturgia. Mi abbassava la testa, me la alzava dal mento, me la girava di lato, me la inclinava. Vabbé sia anche chiaro che quando don Paolino ci tagliava i capelli spesso ci sbinghiava; aveva una forbice dentata che era un raffinatissimo strumento di tortura, li asportava i capelli, più che tagliarli; ma ne aveva anche una non dentata e molto affilata che poi era quella che preferivamo. A volta ci tirava involontariamente i capelli o dava un colpo di pettine più forte o, per soprammercato, ci infilzava la forbice nella carne tenera della testa e il dolore era terrificante. Alla fine avevamo il cuoio capelluto in fiamme e il cranio tumefatto. Non lo faceva apposta, è ovvio, e in ogni caso, tolto questo, in generale da don Paolino si andava volentieri.
Un giorno di qualche anno fa, mentre ero in macchina, girandomi ho visto un manifesto funebre, sono sceso e ho letto, triste, che era morto don Paolino.
Arrivederci don Paolino, barbiere comunista, vissuto nella speranza che i compagni gli nazionalizzassero il salone. Ma i comunisti in Italia, purtroppo, non sono mai acchianati.

5 commenti:

fabio ha detto...

Ricorderei Piazza Purgatorio per un quarto motivo, cioè il prospetto della chiesa di Santa Rosalia, (adiacente alla chiesa del Purgatorio) asportato negli anni della guerra per custodirlo e MAI RIMONTATO!!!! La guerra è finita ad Agrigento da sessantacinque anni..... e allora, sto prospetto?

Coq Baroque ha detto...

Se un giorno vengo in sicilia, a trovare parte delle mie origini, giuro che passo ad Agrigento. Sei una Loleny Planet con l'anima...

Alberto Todaro ha detto...

No Baroque, la cosa è diversa. Se un giorno vieni in Sicilia e non passi da Agrigento, ti fazzu un culu a cappeddu di parrinu. Afferrato?
Di quale parte della Sicilia sei originario?

Coq Baroque ha detto...

Messina, da parte di nonna. Vuoi ancora che passi da Agrigento? :D

Alberto Todaro ha detto...

No, Messina è al nord.
Comunque da Agrigento passaci lo stesso, va'.