Forse però, ragazzi, almeno tra coloro che condividiamo un certo modo di vedere l’immigrazione, dovremmo cominciare, quantomeno, ad “aggiustare” il nostro lessico. Non uso ormai da anni la parola “clandestino” – credo di non averla mai usata –, posto che di una persona che scappa dal suo paese non mi interessa sapere se è in regola o meno. È un termine che denota negativamente qualcuno, così, senza neanche conoscerlo. Del resto non sento mai chiamare qualcuno “evasore”, anche se di quello si sa che se ne straimpippa del Fisco. O “frequentatore di puttane”, anche se si sa che non disdegna il puttan tour. Né, è questo è grave, sento chiamare “condannato” o “inquisito” o “imputato” gran parte dei personaggi che affollano il nostro Parlamento e il nostro Consiglio dei Ministri. Anzi, quelli li chiamiamo “onorevoli”.
Abolirei anche “extracomunitario”, giacché ne metterebbe in luce soprattutto la sua non appartenenza a quel club esclusivo che è la Comunità Europea. Peraltro non credo che i migranti brucino dalla voglia di diventare “intracomunitari”, credo cerchino solo la dignità negata.
Infine farei attenzione (ma molta) a non chiamare “centri di accoglienza”, quei mostruosi CIE (già CPT). Ci basta che lo facciano le televisioni, no? Guardate un po’ in giro per il web e cercate di capire il tipo di accoglienza che si pratica in quei luoghi. Il CPT di Girgenti è stato chiuso anni fa in seguito a una visita della Commissione per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. Forse praticavano un’accoglienza un po’ “focosa”. Del resto, si sa, l’accoglienza del Sud…
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