domenica, aprile 24, 2011

"SONO UN PROFESSORE DI SINISTRA E BERLUSCONI E' UN MISERABILE VIGLIACCO"



E' un pezzo non scritto da me ma del quale condivido persino le virgole.


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Due parole. Quante ne detta la coscienza e ne merita un provocatore sicuro dell’impunità. Solo due. Le devo a me stesso, alla mia vita di studi, lavoro e militanza. C’è un confine oltre il quale al diritto violato tocca il dovere della replica. E quel che costa, costa.
Sarete certamente d’accordo: un uomo ti è pari, se da pari ti affronta. Se invece ti colpisce quando non lo puoi colpire, è un volgare brigante da strada, un teppista e un cialtrone. Con le sue dichiarazioni pubbliche sui professori di sinistra, Silvio Berlusconi calpesta la mia dignità, facendosi forte del ruolo pubblico che ricopre e del potere che gliene deriva. Come posso difendermi? Quali strumenti ho per ottenere che mi chieda scusa? Per tutelare il mio onore e la mia dignità, posso solo dichiarare pubblicamente il mio sdegno: un uomo che si comporta come lui è un miserabile vigliacco.
Sfido a darmi torto: un vile, un uomo che approfitta del suo ruolo pubblico e del suo potere politico per offendermi, denigrarmi, infangarmi, sapendo benissimo che non ho i mezzi per difendermi, non ha la dignità morale per governare il Paese. Lo dico pubblicamente: le sue parole lo rendono incompatibile col ruolo che ricopre e indegno della mia stima e del mio rispetto. Fino a quando non si scuserà, ho il pieno diritto di dirlo: chi è ad un tempo potente e vigliacco mi disgusta e mi disgustano profondamente tutti coloro che gli danno man forte e lo giustificano. Li ritengo complici di un miserabile abuso.
Se in Italia gli uomini liberi, che hanno rispetto di se stessi e degli altri, non sono più tutelati nel loro onore e nella loro dignità, se le idee che un uomo professa possono esser impunemente additate al pubblico disprezzo dal Presidente del Consiglio, senza che i suoi ministri sentano il dovere di prendere le distanze e, se insiste, sfiduciarlo, allora non ci sono dubbi: questo Paese non è più libero e tutto ciò che mi resta da fare è denunciare apertamente la violenza che subisco. Finché non si scuserà pubblicamente, io pubblicamente dirò che Silvio Berlusconi è un prepotente, un uomo dappoco, un maramaldo che si dimostra vile e coi suoi comportamenti disonora le Istituzioni democratiche.
http://giuseppearagno.wordpress.com/


lunedì, aprile 18, 2011

LA DIGNITÀ

Non è semplice dare una definizione del concetto di dignità. La troviamo nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, quasi come binomio inscindibile con i diritti stessi. È una di quelle definizioni che in qualche modo sfuggono alla possibilità di essere codificate con chiarezza tale da non lasciare adito a errori di valutazioni, equivoci o fraintendimenti. Come i concetti di cultura, pace, solidarietà, legalità; sempre sulla bocca di tutti – spesso a sproposito – ma difficili da definire. La dignità dell’uomo, anzi dell’essere umano, va di pari passo con i diritti di cui deve essere depositario. La prima c’è dove ci sono i secondi e questi la nutrono, la sostanziano, le danno vita. «L’essenza, il cuore della dottrina dei diritti umani è il concetto di dignità della persona. Rispettare quei diritti significa tutelare la dignità di ogni essere umano.» (Antonio Cassese)

Per noi la dignità è strettamente legata alla realizzazione, al pieno soddisfacimento dei nostri diritti:

  • Quando abbiamo un lavoro ben retribuito, con le dovute tutele e garanzie, allora pensiamo che la nostra dignità sia pienamente realizzata; quando riusciamo a garantire ai nostri figli la possibilità di andare a scuola, studiare, cercare e trovare un lavoro, pensiamo che siamo riusciti a garantire loro un avvenire dignitoso;
  • se abbiamo una bella casa, comoda, con spazi vitali adeguati, luce, acqua e servizi igienici, allora siam contenti di poter dire che la nostra è una casa dignitosa;
  • se possiamo tranquillamente spostarci dalla nostra terra per andare a lavorare all’estero o semplicemente per turismo senza essere braccati da nessuno come fossimo ricercati, allora ci beiamo della nostra dignità di cittadini del mondo;
  • se possiamo partecipare alla vita della nostra comunità, promuovendo o prendendo parte a riunioni e manifestazioni; se abbiamo la possibilità di partecipare – o addirittura fondare – gruppi, associazioni, sindacati, partiti, etc…, allora pensiamo che i nostri diritti politici sono soddisfatti in pienezza e dignità.

Universalità della dignità

La dignità è un concetto universale. Va bene per coloro che come noi vivono nell’occidente opulento e industrializzato ma vale, deve valere, per coloro che vivono nei vari sud del mondo. In che modo la dignità è universale o, se non lo è, deve essere universalizzata?

C’è una celebre frase tratta dal Vangelo di Matteo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. È una frase che sta molto a cuore ai cristiani, che in essa ravvisano l’essenza del vivere secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo. Ma è una frase ben nota anche a chi cristiano non è, giacché si può tranquillamente declinare anche in chiave laica. Sostituiamo il verbo amare con il verbo considerare, ad esempio: “considera il prossimo tuo come te stesso”. “Chiedi per il tuo prossimo ciò che tu vuoi per te e per i tuoi figli”. Non cose materiali ma diritti. Chiedi per il tuo prossimo, per chicchessia, cioè, il pieno soddisfacimento dei diritti e delle libertà individuali sanciti dalla D.U.D.U., sicché ne goda esattamente come ne godi tu.

Torniamo agli esempi citati sopra.

  • Quando si è disoccupati o si ha un lavoro precario o si lavora dodici ore al giorno per una paga da fame e senza tutele, la dignità dell’essere umano è pienamente realizzata? Quando non si riesce neanche ad assicurare un pezzo di pane ai propri figli, figuriamoci mandarli a scuola o a fare i corsi di lingua all’estero; o quando i figli sono costretti ad andare a lavorare per sostenere la famiglia, come accade in tante parte del mondo, il futuro dei nostri figli si prospetta come dignitoso?
  • Quando si vive in un insediamento abitativo precario, in una casa che è poco più di una capanna, senza luce e acqua, con scarso accesso ai servizi igienici e un alto livello di criminalità, al punto che per una donna anche andare a prendere un secchio d’acqua può essere occasione di violenza, davvero si può dire di vivere in maniera dignitosa?
  • Se non possiamo spostarci all’interno del nostro Paese o uscire fuori da esso per cercare migliori condizioni di vita, perché saremmo bollati come clandestini già al nostro arrivo o saremmo vittime di sfruttamento o di razzismo, allora possiamo bearci di godere della dignità di cittadini del mondo?
  • Se non possiamo partecipare alla vita della nostra comunità, perché prendendo parte a riunioni o manifestazioni si rischia di essere presi e portati in un carcere; se non si ha la possibilità di appartenere a gruppi, associazioni, sindacati, partiti, e quindi di esprimere in libertà le proprie opinioni, possiamo pensare che i nostri diritti politici siano soddisfatti in pienezza e dignità?

Immaginiamo di non godere di queste condizioni. Ci sentiremmo perduti. Eppure questo è quello che accade in molte parte del mondo in questo preciso istante. La dignità, quindi, e i diritti umani, devono essere garantiti a tutti e nessuno ne deve essere escluso. Abbiamo tutti gli stessi diritti e la stessa dignità per il solo fatto di essere nati, come dice la D.U.D.U.

Pertanto, anche chi “non lo merita” ha il diritto di godere della dignità che spetta a tutti gli esseri umani. La dignità non si merita, la dignità appartiene per diritto a tutti. Chi ha ucciso un altro uomo, chi ha rubato, stuprato, usato violenza, truffato merita di essere giudicato dalle leggi del suo Stato. Ma non merita – mai e poi mai – di essere messo a morte o torturato. Amnesty International è contro la pena di morte, la tortura, i trattamenti disumani e degradanti perchè li considera lesivi per la dignità della persona. Anche chi, con i suoi comportamenti si è messo al di fuori della società civile per averne calpestato regole fondamentali di convivenza, deve essere rispettato nella sua dignità di essere umano.

Farsi aguzzino di chi ha trasgredito pesantemente le leggi, rende colpevoli alla stessa stregua, rende oppressore. “L'oppressore deve essere liberato così come l'oppresso. Un uomo che sottrae ad un altro la sua libertà è prigioniero dell'odio, è serrato dietro le sbarre del pregiudizio e della pochezza mentale. Sia l'oppresso che l'oppressore sono privati della loro umanità”. (Nelson Mandela)

domenica, aprile 10, 2011

LA MACCHINA DEL TEMPO


A Girgenti c’è un luogo che è come la macchina del tempo, in cui basta varcare la soglia per essere risucchiati indietro di trent’anni e ritrovarsi di botto negli anni Settanta del Novecento. Non dirò di che ufficio si tratta perché magari qualcuno potrebbe offendersi, anche se secondo me non c’è nulla di cui offendersi. È un ufficio in centro città, dove non si aspetta molto – del resto non c’è mai nessuno – però c’è sempre qualcosa da pagare. Io ci sono andato stamattina e ho fatto ovviamente il viaggio nel tempo.

Anyway, appena oltrepassata la porticina in alluminio anodizzato – il materiale più terrificante dopo la fórmica – dell’ufficetto, mi è subito venuta voglia di prendere in mano l’album delle figurine Panini. Si entra in una stanza piuttosto grandetta, in realtà due ambienti separati da un parapetto, un bancone che funge da sportello, in fórmica, appunto, appena appena sollevata agli spigoli, color marrone-effetto-legno. Una porta, in legno pittato chiaro, con inserto di rettangolo verticale in vetro opaco martellato, separa questo ambiente dagli altri.

Entrare in quel luogo è stato il trionfo dei cinque sensi. Il primo senso colpito è stato l’udito: da una radiolina arrivavano le note di una canzone dei Collage. Il secondo l’olfatto, per via di un intenso odore di rinchiuso misto a scartoffie. Poi la vista, per tutto quello che vi dirò; poi ancora il tatto, dal momento in cui i miei polpastrelli hanno indugiato sulla superficie fredda del bancone dove albergava un sottile velo di polvere. Beh, è mancato solo il gusto effettivamente ma è come se, in quel trionfo di anni ’70, avessi assaggiato un bel bicchierino di Rosso Antico. Nell’anticamera, un divano piuttosto sformato, una scrivania in metallo grigio e alle pareti stampe di Agrigento antica – una vecchia edizione del Giornale di Sicilia – debitamente incorniciate.

Al di là della balaustra, due creature di sesso maschile – forse imbalsamate – mi guardavano, certamente chiedendosi cosa volessi da loro. I due uomini stavano seduti a due scrivanie, l’una in legno, quindi marrone, con ripiano verde e lastra di vetro spesso sotto la quale erano stati infilati fogli di carta e pizzini vari; l’altra era più o meno come quella dell’anticamera, in metallo grigio. Il secondo uomo scriveva… a macchina.

V’era dell’altra mobilia, un armadietto, sedie con seduta decorata a sbalzo, scaffali vari. C’erano sì, due computer, di quelli vecchi con schermo enorme, ma non ne ho compreso l’utilità, visto che nella mia permanenza in quel luogo, non sono stati usati affatto. E in ogni caso, l’obsolescenza se li stava mangiando vivi. Ai muri altre stampe, tutte ben ingiallite. Dietro le due scrivanie, calendari dell’Arma dei Carabinieri, appesi per il fiocco su bande di legno, a formare il classico effetto di rombi in sovrapposizione.

Mentre alla radio Fred Bongusto eseguiva uno dei suoi brani meno noti, mi presento ai due ed espongo il motivo della mia visita. Il secondo uomo si alza – lì capii che era vivo – e viene verso di me. Mi chiede se altre volte avessi fatto la stessa richiesta e alla mia risposta affermativa, prende una carpetta gonfia di carte e comincia a sfogliarle. Una ad una. Lentamente. Non trova nulla, quindi dichiara che tanto non era importante!

Si reca pertanto in un’altra stanza e ritorna dopo un po’ con in mano il classico “modulo da riempire”, a più fogli. Mentre dichiara che dovrà compilarlo con la macchina da scrivere – ah, i rumori della macchina da scrivere: il trrr trrr trrr del carrello, il colpo secco della levetta per andare a capo, il campanellino del fine pagina – da dentro un cassetto prende qualcosa che era rimasto sepolto nella mia memoria, sotto quintali di polvere: la carta carbone. Ho pianto in silenzio.

Fatto sta che il nostro, forse comprendendo il mio sconcerto, decide di abbandonare la fida Olivetti e scrivere il modulo a mano. Per cui si appoggia sul bancone e si dà alla compilazione. L’operazione si è svolta in maniera abbastanza tranquilla e senza spargimenti di sangue. Al momento di firmare ho pressato talmente sul foglio che ho rischiato di spezzare la penna. Ma così io ricordavo: sulla carta carbone devi scrivere bello forte così anche i fogli di sotto vengono leggibili.

Uscito da quell’ufficio sono ripiombato nella solita atmosfera di sempre. Speravo di sentire la voce di mia nonna che mi chiamava ma niente, la macchina del tempo mi ha riportato nello squallido 2011. Adesso mi ci vorrebbe un bel bicchierino di Rosso Antico per riprendermi dallo shock.

venerdì, aprile 01, 2011

UNA PASSEGGIATA AI TEMPLI


Oggi sono andato ai Templi di Girgenti e sin dall'inizio ho pensato di dare alla mia escursione un taglio e un significato un po' particolari. Cioè, ho fatto finta di non essere agrigentino, cercando di immedesimarmi nel turista e guardare il tutto con il suo occhio. Devo ammettere che, a parte alcune cose, l’impressione non è stata delle peggiori. Ragazzi, la Valle non è tenuta affatto male. Certo, l’erba è altina però non mi pare di aver visto sporcizia o roba del genere. Le strade sono molto pulite
anche se non si vedono in giro operatori. E poi c’è questa mostra di imponenti opere in bronzo di un certo Igor Mitoraj (foto) che è una vera bellezza. Colossi neoclassici in prospettiva coi templi dorici. Splendidi veramente. C’è anche qualcosa che non va, naturalmente. Nel pezzo di strada che va dal nuovo parcheggio di Sant’Anna al posto di ristoro si rischia la vita diverse volte: pochi spazi per camminare, curve che non ti consentono di vedere arrivare le auto, strisce pedonali assenti. Si può dire che per evitare questo pezzo di strada è stato creato quel breve sottopasso che consente di entrare dalla Porta V (sotto il Tempio dei Dioscuri) però è anche vero che ognuno è libero di scegliere il percorso che crede e può anche decidere di iniziare dal tempio di Ercole. Ragion per cui si rischia di morire arrotati. I prezzi al posto di ristoro non sono particolarmente da usura. Sei bibite 19 euri non mi pare scandaloso. Certo, non è nemmeno regalato ma altrove devi fare un leasing. Mi sembrano peggio i tre euri del parcheggio di Sant’Anna, dati peraltro a un parcheggiatore privo di alcun segno distintivo quindi, ritengo, abusivo. Per il resto, ripeto, la passeggiata è stata gradevole e non mi sono preso cólari particolari. Una cosa, però, proprio lì al parcheggio mi ha lasciato un po’ perplesso. E cioè, se vuoi iniziare la passeggiata dal Tempio di Giunone, ossia dall’ultimo, quello che sovrasta la rupe e che dista non più di tre chilometri da lì, non c’è un bus navetta che ti ci porta. Fin qui nulla di strano, non m’aspettavo che ci fosse. Il figuro, cioè il parcheggiatore, però ti dice che ci si può andare in taxi. Infatti ci sono sempre uno-due mezzi lì in attesa di clienti. Non ho osato chiedere quale fosse la tariffa del taxi ma credo che sia un modo per spennare il turista. Ne ho proprio la sensazione. Credo anche che il prezzo vari a seconda della nazionalità. Temo che giapponesi e americani paghino molto di più. Per il resto, dicevo, l’escursione è andata benissimo. Mia moglie e io – e i nostri ospiti – abbiamo goduto di una mattinata primaverile splendida. Persino i ragazzi in gita scolastica sembravano educati. Del resto, con una giornata così e un panorama di quel genere… Da questo punto di vista questa città è insuperabile. Per il resto è superabilissima.