lunedì, ottobre 22, 2012

NON FARE COMPLIMENTI!


Esorto sempre i miei giovani alunni, qualora si trovassero in un paese straniero, o semplicemente al Norditalia, ad accettare ciò che viene loro offerto, se ne hanno voglia, o a rifiutare in caso contrario, evitando tutta la liturgia che i giurgintani celebriamo ogniqualvolta ci viene offerta qualcosa. Memore di ciò che accadde a me molti anni fa, la prima volta che misi piede in Inghilterra.

Allora, nel luglio del 1984 mi trovo a Birmingham, uggiosa città del West Midlands, e arrivo a casa di Mrs Janet Dale, un albionico donnone, di cui tuttora ricordo il sorriso, la gentilezza ma soprattutto la splendida figlia. Entro e mi accomodo nella confortevole living room: carta da parati d’ordinanza, moquette giallognola, soprammobili orrendi e caccia alla volpe sui muri. Dopo i primi convenevoli, la mia ospite prende un vassoio di scones (foto), gli ottimi pasticcini inglesi dal vago sapore di biada, e me ne offre. “Oh, no, thanks”, dico io, seguendo il rigido cerimoniale giurgintano. E Mrs Dale se ne va.

Ci son rimasto malissimo. Pensavo mi dicesse almeno “Come on, have some”, corrispettivo inglese di “Amunì, piglia” o casomai prendesse due-tre scones e me li mettesse in mano. Alla giurgintana. Invece niente. Se n’è andata. Ovviamente dopo un po’ macchinai per ottenere gli agognati pasticcini e li ebbi ma capii, per sempre, che per una questione squisitamente culturale, non avrei più dovuto rifiutare la roba che mi veniva offerta.

Nella nostra città e nella nostra cultura, invece, offrire qualcosa segue delle regole differenti, che danno vita a un infinito walzer dell’offerta e del rifiuto.

Ti si offre qualcosa ma tu non puoi accettare subito perché verresti preso per unu ca unn’ha vistu ma’;
pertanto rifiuti;
allora si insiste perché tu accetti;
ma tu rifiuti di nuovo;
allora ti si chiede se per caso tu non stia facendo cerimonie;
tu rispondi di no, assolutamente no;
quindi l’altro ti ririchiede se vuoi accettare;
tu magari riridici di no;
per cui l’altro ti offre qualcos’altro…;
alla fine l’offerente dichiara: vidi ca m’offennu;
per cui accetti qualcosina.

Del resto, dalle nostre parti l’ospitalità si misura dalla quantità di cibo che ti si riesce a far ingurgitare. Essere invitati a pranzo può trasformarsi in un tour de force gastronomico i cui effetti potrebbero durare dei giorni.

Già l’antipasto basterebbe a sfamare una persona fino a sera. E nonostante ci sia chi ti riempie il piatto di salumi, olive, pomodori secchi, etc…, la stessa persona è quella che ti dice di non mangiare troppo perché ci sono tante altre cose.

Il primo piatto viene riempito a cupola, se no si viene tacciati di inappetenza o, peggio, di fare complimenti, cosa disdicevole da queste parti. Alla fine, quando pensi che i cavatelli ti stiano per uscire dalle orecchie, quando meno te l’aspetti, una mano soccorrevole ti rabbocca il piatto di altra pasta: il bis è d’ufficio. Finito anche il secondo piatto, poiché dai già segni di cedimento, la padrona di casa chiede: “Cos’è, non ti è piaciuta? Ti faccio un po’ di riso?”. Alla tua risposta negativa, incalza: “Allora prendi un altro po’ di pasta”.

E si passa al secondo. Dalla salsiccia non si prescinde. Nel senso che è sempre uno dei componenti il tris (almeno tris) di secondi che vengono presentati ai commensali. Gli altri due potrebbero essere l’involtino, lo spiedino, la cotoletta, la costoletta, le polpette o altro. Oppure il fantastico brusciuluni (foto). Il tutto accompagnato dalle patate, che non mancano mai, o da altro contorno. O anche dalla mitica caponata, regina della cucina siciliana. La caponata, come la parmigiana di melanzane, ha il suo pro e il suo contro: è straordinariamente buona ma esige la sua bella quantità di pane. Pertanto fai dei profondi respiri, ti concentri sul tuo piatto e cerchi a fatica di finire ciò che hai davanti, provando ad evitare coloro che cercano di rifilarti dell’altra roba.

“Non mangiate assai che c’è il dolce”, dice qualcuno a un certo momento. Difatti c’è il dolce. La frutta, nonostante venga messa a tavola non viene nemmeno sfiorata, proprio per non appesantirsi in attesa del dolce. A proposito, occorre ricordare che la frutta, a dispetto dell’etichetta che la vorrebbe a fine pasto, qui da noi è consumata (quando è consumata) prima del dolce.

Il dolce, appunto. Diciamo che la pasticceria siciliana non è esattamente una passeggiata. Non ci sono scones, mettiamola così. La ricotta la fa da padrona e francamente dopo questo pranzo non è esattamente ciò che ci vorrebbe. Epperò, come fai a non prendere un cannolo? O una fetta di cassata? O una sfingia? O tutt’e tre?

Segue un triste caffè. Triste perché a quel punto i commensali sono sfiniti, tutt’uno con le sedie dalle quali pensano di non aver più la forza di alzarsi. Qualcuno di nascosto si è allentato due buchi di cintura e si è sbottonato i pantaloni ma… nonostante la quantità di cibo trangugiata, quantunque ve ne stiate tornando a casa barcollando, la vostra ospite alla fine vi dirà: un mangiastivu nenti!

 

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