mercoledì, giugno 03, 2009

AS-SALAM ALAIKUM


‘Alif Ba Ta Tha…
Sto imparando l’arabo. La lingua di Allah. Lo sto studiando, voglio imparare a parlarlo bene. Non so dire di preciso quand’è iniziata questa storia dell’arabo. Ah, sì, all’inizio del mio periodo universitario, in Lingue, quando c’erano quelli che ti consigliavano le materie complementari più facili. Storia e Istituzioni Musulmane, si chiamava. Lì per lì mi venne da sorridere, figurati. Abituati com’eravamo al Liceo: Italiano, Matematica, Filosofia, materie dal nome secco, deciso; figurati se andavo a prendere in considerazione una materia con quel nome lì. Fatto sta che la inserii nel piano di studi. E la studiai. E mi piacque. Fu il primo esame che feci ed ebbi trenta e lode, l’unico della mia carriera universitaria. Cominciò così il mio rapporto quasi trentennale col mondo arabo e con l’arabo. La lingua del Profeta.
L’anno successivo biennai la materia, che nel frattempo aveva cambiato nome: Islamistica. Mi piaceva troppo per non rifarla. 28, vabbé. Però non era ancora la lingua. Imparai solo alcune parole, delle formule rituali, il saluto, la shahada, ma fu allora che mi venne forte il desiderio di imparare l’arabo. La lingua del muezzin.
Un altro incontro con l’arabo l’ebbi nell’85, con un gruppo d’iracheni. Anzi, proprio col gruppo iracheno, quello che partecipò alla Sagra del Mandorlo in Fiore a Girgenti. Io ero il loro accompagnatore. Si era nel bel mezzo della guerra con l’Iran di Khomeini. Diventammo molto amici e si divertivano a farmi parlare in arabo. E io mi divertivo a farlo. Uno di loro, per spasso, mi fece bestemmiare, con disappunto dei compagni. Erano il gruppo nazionale di ballo folklorico di Baghdad ed erano proprio bravi, provavano assiduamente nello scantinato dell’Hotel della Valle. Rappresentavano il loro paese, questo era il loro mestiere, ci tenevano a che l’Iraq facesse bella figura e fosse rispettato. Erano di gran lunga i migliori. Ma quell’anno il festival fu vinto dal gruppo degli Stati Uniti, un manipolo di ragazzoni (dello Utah, credo) con cappelloni da cowboy e camicie a scacchi che ballavano, male, delle danze da saloon, melense anziché no. Quando tornammo in hotel, dopo la premiazione, molti di loro piangevano per la delusione e l’ingiustizia subita. Dicevano dùlar dùlar sfregando i pollici con gli indici, mentre io non riuscivo a guardarli in faccia. Parlavano forte, urlavano il loro dispiacere. In arabo, ovviamente. La lingua degli sconfitti.
Qualche anno fa, poi, conobbi due fratelli tunisini, Monzef e Khairy. Erano bravi e pazienti con me, mi chiamavano “brofesore”, ustàdh, volevano a tutti i costi che imparassi la loro lingua e mi davano delle lezioni, di lessico soprattutto, seduti sullo scalino di una bottega di generi alimentari. Il bottegaio mi guardava come se fossi pazzo di catena a imbarcarmi in una cosa infattibile come studiare l’arabo. Una volta mi invitarono a casa loro. Mangiammo kuskus con peperoncini interi, fritti. E studiavamo arabo. La lingua di Monzef e Khairy.
Poi i due fratelli se ne sono andati. Adesso fanno gli operai specializzati in una fabbrica del nord-est e uno di loro, ho saputo, si è sposato. Se ne sono andati lasciandomi con qualche vocabolo in più ma con la voglia di imparare meglio questa lingua stupenda. Stupenda proprio perché stupisce. Stupisce te stesso che ti senti quasi proprietario di una competenza che pensavi impossibile avere. Stupisce l’italiano, con la sua supponenza (“Vabbé l’inglese, ma l’arabo!”), con la sua superiorità d’accatto (“Sì, ora imparo l’arabo. Imparino loro l’italiano!”), con la sua iattanza (“Si vede che non hai niente da fare!”) o con la sua aperta ostilità verso l’invasore islamico. E stupisce soprattutto loro, gli Arabi. Basta il saluto nella loro lingua per stabilire un contatto che non è solo linguistico. Subito ti guardano increduli, poi ridono, ti mostrano agli altri, ti chiedono come fai a conoscerlo, se sei muslim. Provate a dire As-salam alaikum a uno di quei ragazzi maghribyy che vendono parasole per auto a San Leone; a una donna che, intabarrata, trascina sporte e figlioletti ricciuti per le vie della madina shaykha, il centro storico di Girgenti; al vecchio imam o ai giovani senegalesi della scalinata della stazione. Provate un po’. Testate la loro reazione. Difficilmente vi capiterà di vedere gente più felice. E solo perché sono stati salutati in arabo. La lingua del Corano.
Insha-llah, se Dio vuole, prima o poi lo imparo bene. Sto facendo il corso, quello che organizzano ogni anno. Ana adrusu al-lugha al-arabyy. L’arabo è, per antonomasia, una lingua difficile, nulla a che vedere con le quisquilie canore di Franco Battiato. Strani suoni uvulari, laringali, aspirati, interdentali, a noi sconosciuti. La qaf e il ghain, la kha e la tha, la dhal e il ‘ain, simile a un belato. E poi la lingua scritta. Da destra a sinistra; segni che cambiano a seconda della posizione nella parola; con puntini, senza puntini, con la pancia, senza pancia. Quelle che legano a sinistra e quelle che no. E niente vocali, olé, solo fatha, kasra e damma. Poi la shadda e il sukun; la ta tawila e la ta marbuta. Mi sto impegnando, sto cercando dentro di me anche delle motivazioni spirituali che ne giustifichino lo sforzo. Vivo in una città araba, partecipo della natura e del sangue arabo che è dentro di noi. Voglio parlare l’arabo. La lingua dell’Islam.
Sto imparando l’arabo. La lingua di popoli fieri, di genti nobili. Ed è come se mi appropriassi di un po’ del carattere di tutti gli arabi della terra: dello sceicco e del beduino, del bambino dell’Intifada e del cammelliere del Sahara, dell’ayatollah e della donna afghana sepolta dal burqa.
Sto imparando l’arabo. La lingua del Sud.
… Ha Waw Ya.

5 commenti:

carletta ha detto...

Ti sei dimenticato le bellissime...

Alberto Todaro ha detto...

E' vero. Comunque, nel grafico dell'alfabeto sono le ultime due della prima fila e la prima della seconda fila. Partendo da destra, ovviamente.

Vincenzo ha detto...

CIAO ALBERTO
anche io qualche anno fa ho provato a imparare l'arabo
ma la mia tenacia si è subito infranta
In compenso sto provando,attraverso i miei viaggi in africa a meglio conoscere e appprofondire la cultura e la civiltà araba...
AS SALAM ALAIKUM con la mano sul cuore è il saluto che mi permette di sentirmi uno di loro e di farmi accettare come uno di loro
A proposito questa estate spero di andare in Jordan e se riusciro anche di entrare in palestina...
AS SALAM AILIKUM........

Coq Baroque ha detto...

Caro Alberto, vengo da una famiglia di Italiani d'Egitto, quella comunita' di espatriati che visse nella terra dei faraoni per poco piu' di un secolo. Con l'arabo ci sono nato e a 29 anni decisi di andare a cercare le mie origini, sfortunatamente sono l'unico in famiglia a non averlo mai imparato decentemente... me la cavo nel parlato... lo scritto e', appunto, arabo.

per le vignette ruba pure, mi fa solo piacere :)

Anonimo ha detto...

as salam alaykum è l'unica frase(?)che mi ricordo dopo un mio piccolo viaggio in Tunisia comunque le lettere citate sono simili a quelle ebraiche :D