mercoledì, dicembre 31, 2008

ALBERTO & ROBERTA AUGURANO A TUTTI I LETTORI DI OLTREGIRGENTI UNO SPLENDIDO BIENNIO 2009-2010.





(Thanks to Nico Pillinini)

martedì, dicembre 30, 2008

PAGHERANNO SOLO I POVERI

Capisco che in tempi di Capodanno ognuno vorrebbe sentire solo cose allegre e di buon auspicio. Ma siccome purtroppo la realtà odierna è quella che è – leggasi: fa schifo –, prima degli auguri di “buona fine e buon principio”, vi beccate un’intervistina col cardinale Maradiaga (foto), il prelato honduregno osservatore del Vaticano alla Banca mondiale e al Fmi (oltre che ottimo sassofonista, nota mia), che sentenzia: IL CAPITALISMO E’ FALLITO. Per questo viene promosso parrinazzo con decorrenza immediata. L’intervista è di Alberto Bobbio (Famiglia Cristiana n. 45/2008).

***
«La crisi non è finita. Anzi, siamo solo all’inizio. Ma io una domanda la voglio fare: dove sono finiti i soldi che le Borse hanno bruciato in queste settimane? Perché i soldi nessuno li brucia, né si volatilizzano. Più semplicemente, spariscono nelle tasche di quelli che sono già ricchi, a tutto danno dei poveri».

Il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente della Caritas internazionale e osservatore della Santa Sede alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale (Fmi), parla con la solita schiettezza, e aggiunge: «Chiedo che la comunità internazionale, come ha fatto per i crimini di guerra, costituisca un Tribunale internazionale per i crimini finanziari che, sicuramente, producono molti più morti delle guerre, per fame, sete e malattie».

Eminenza, di chi è la colpa?
«Degli uomini che hanno fatto del mercato un dio. Bush e l’intero sistema finanziario americano non possono assolversi dicendo che il capitalismo si è comportato male. Significa non riconoscere i propri errori. Tutto ha un limite, anche il consumo, anche il guadagno. Chi ha portato alla crisi deve fare un passo indietro, altrimenti provocherà altri danni in futuro».

Qualcuno dice che bisogna rifondare il capitalismo…
«Non basta. Bisogna inventare qualcosa di nuovo. È ora di finirla di procedere attraverso aggiustamenti strutturali dell’economia, che premiano soltanto i ricchi e allargano il solco con i poveri. Bisogna mettersi in testa che il capitalismo finanziario, dominatore dell’economia negli ultimi 30 anni, è fallito. Non va rifondato, va cambiato».

Quanto pagano sulla loro pelle i poveri questa crisi?
«Ancora non lo sappiamo, ma il costo sarà altissimo. La crisi del petrolio con i prezzi alle stelle ha prodotto prima dell’estate 100 milioni di poveri in più. Per sfamare un miliardo di persone denutrite nel mondo bastano 30 miliardi di dollari all’anno, cioè meno del 5 per cento del piano della Casa Bianca a favore delle banche. In primavera i leader riuniti a Roma hanno detto che per gli Obiettivi del millennio non c’erano soldi, ma nessuno ha avuto difficoltà a trovare miliardi di dollari per le banche».

Perché lei dice che siamo soltanto all’inizio degli effetti della crisi?
«La recessione porterà a un aumento della disoccupazione quasi ovunque. In America centrale e latina le rimesse di chi è emigrato negli Usa stanno già diminuendo. Vi sarà una contrazione delle importazioni americane e anche delle produzioni destinate al mercato estero. Così i prezzi aumenteranno e i ricchi faranno pagare la crisi ai poveri».

Chi non ha vigilato?
«Il Fondo monetario internazionale. Si è occupato solo del Terzo mondo, imponendo misure durissime ai Paesi poveri, e non ha sorvegliato le nazioni ricche. Non è vero che le regole non sono state rispettate. Le regole non c’erano per precisa volontà dei legislatori e della Casa Bianca. Ma il Fmi non ha mai avuto nulla da obiettare».

Cosa hanno fatto gli Usa?
«Hanno continuato a contrarre prestiti colossali per sostenere i tagli alle tasse e finanziare gli impegni militari. I soldi per le armi si trovano sempre, soprattutto se le guerre sono inutili. Tuttavia, il rapporto tra guerra e indebitamento può essere fatale agli americani. Se la Cina, che ha enormi investimenti nel sistema finanziario statunitense, decidesse di non comperare più buoni del Tesoro americano, gli Stati Uniti crollerebbero e gli impegni militari americani sarebbero completamente travolti».

È per scongiurare questa prospettiva che si sono avviate frenetiche manovre di salvataggio?


«Certo. Non si vuole scardinare il capitalismo finanziario e si giustifica perfino l’intervento massiccio dello Stato a favore delle banche, chiedendo più denaro in prestito».

Invece lo Stato cosa deve fare?
«Secondo la dottrina sociale della Chiesa, ha un ruolo chiave: stabilire regole, sorvegliare e garantire il bene di tutti. Esattamente ciò che oggi manca. Quella di oggi è anzitutto una crisi etica, dove non c’è limite al desiderio. Vale per gli impegni militari e vale per la bolla immobiliare. Il mondo non gira solo attorno ai soldi. Ci sono altri valori».

Perché siamo a questo punto?
«Nessuno si fida più degli altri. La paura ci domina: paura di perdere denaro, paura degli altri popoli, paura di non poter più consumare. Il terrorismo, dopo l’11 settembre, ha raggiunto il suo scopo: ha spalmato il mondo di paura e ha favorito lo sviluppo del razzismo, che produce più poveri e chiude le società. Le violente politiche anti-immigrazione di molti Governi, compreso il vostro, lo dimostrano con chiarezza. E la recessione peggiorerà le cose».


domenica, dicembre 28, 2008

La ballata dell'angelo ferito



Urlate urlate urlate urlate.
Non voglio lacrime. Urlate.
Idolo e vittima di opachi riti
Nutrita a forza in corpo che giace
Io Eluana grido per non darvi pace

Diciassette di coma che m'impietra
Gli anni di stupro mio che non ha fine.
Una marea di sangue repentina
Angelica mi venne e fu menzogna
Resto attaccata alla loro vergogna


Ero troppo felice? Mi ha ghermita
Triste fato una notte e non finita.
Gloria a te Medicina che mi hai rinata
Da naso a stomaco una sonda ficcata
Priva di morte e orfana di vita

Ho bussato alla porta del Gran Prete
Benedetto: Santità fammi morire!
Il papa è immerso in teologica fumata
Mi ha detto da una finestra un Cardinale
Bevi il tuo calice finché sia secco
Ti saluta Sua Santità con tanto affetto

Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
Tu il Riverito dai gioghi tibetani
Tu che il male conosci e l'oppressura
Accendimi Nirvana e i tubi oscura
Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama

Ho bussato alla porta del Tribunale
E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
La legge oggi ti libera ma tu domani
Andrai tra di altri giudici le mani.
Iniquità che predichi io gemo senza gola
Bandiera persa qui nel gelo sola

Ho bussato alla porta del Signore
Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
Chiamami in cielo o dove mai ti pare
Soffia questa candela d'innocente
Ma il Signore non dice e non fa niente

Ho bussato alla porta del padre mio
Lui sì risponde! Figlia ti so capire
Dolcissimo io vorrei darti morire
Ma c'è una bieca Italia di congiura
Che mi sentenzia che non è natura

E il mio papà piangeva da fontana
Me tra ganasce di sorte puttana.
Cittadini, di tanta inferta offesa
Venga alla vostra bocca il sale amaro.
Pensate a me Eluana Englaro

Guido Ceronetti

domenica, dicembre 21, 2008

BENEDETTA FINMECCANICA


L’holding italiana, in parallelo al business delle armi, si butta a capofitto nel mondo della solidarietà, con altri tre progetti in Africa, sostenendo iniziative delle chiese locali e dei salesiani.


Fare cassa con la carità, evidentemente, non è più una prerogativa solo di onlus o associazioni varie. Lo dimostra la politica di
Finmeccanica, l’holding armiera italiana, che ha deciso di buttarsi a capofitto nel mercato della charity. Che non è solo beneficenza. «Ma un impegno sincero nel sociale. Perché non possiamo esimerci dalle responsabilità solidali e culturali richieste dal contesto sociale», ci ricorda affettuosamente Pier Francesco Guarguaglini, presidente nonché amministratore delegato del colosso, leader internazionale nei settori aerospazio, difesa e sicurezza. Del resto un’azienda che vende carrarmati, navi e aerei da guerra, grandi sistemi di difesa…dovrà pure pagare una tassa espiativa, un balzello per la purificazione mondano/affaristica? Così, dopo aver lanciato sul suo sito la campagna “Finmeccanica per i bambini africani. Tecnologia e ricerca vestono la solidarietà” (in cui la multinazionale delle armi pubblicizza e mette in vendita una serie di articoli sportivi per tutte le tasche, il cui ricavato è destinato a un progetto d’istruzione per i bimbi africani, gestito dalla organizzazione non governativa inglese International Childcare Trust, vedi Nigrizia), ora il vertice dell’holding, «al tradizionale concerto di Natale», ha annunciato altri tre progetti di solidarietà in Africa.
E per avere la totale remissione dei peccati commerciali, tutti e tre i progetti hanno ricevuto la benedizione della Chiesa. In Nigeria, infatti, sarà organizzato un Festival della Scienza e creato un
Science Center ad Owerri, portato avanti in Italia dall’associazione Assumpta Science Center e patrocinata dal Pontificio consiglio della cultura e dall’Ufficio pastorale universitario del Vicariato di Roma. In Rd Congo, Finmeccanica, in collaborazione con le missioni salesiane, potenzierà e migliorerà le attività di formazione professionale ed educative degli studenti del College “Technique Don Bosco”, a Kinshasa. In Camerun, sarà realizzato, infine, un mini villaggio, nel distretto agricolo di Mbanda, Diocesi di Eseka (Yaoundè), dotato di un luogo di culto, di attrezzature scolastiche, di un campo medico e di aree adibite all’insegnamento professionale, «sotto il patrocinio e la responsabilità diretta della diocesi di Eseka».
Nei piani alti di Finmeccanica hanno perfino battezzato all’africana la triplice iniziativa, intitolandola “Mwana Simba”, rubando l’espressione a un proverbio in kiswahili che recita: mwana simba ni simba. Gli uomini del marketing aziendale lo hanno tradotto in «un cucciolo di leone un giorno sarà un leone», volendo trasmettere l’idea di un impegno positivo verso le giovani generazioni africane. Ma l’espressione può essere interpretata anche in un altro modo: “un cucciolo di leone è pur sempre un leone”. Traduzione che calza a pennello per Finmeccanica, che potrà far di tutto per apparire un cucciolo dolce, che sostiene iniziative sociali buone, ma che, in realtà, resta sempre quel leone che pensa prima di tutto a
commerciare armi e a incassare milioni di euro. Lustrandosi l’immagine con l’Africa.
Operazione che sa fare con molta disinvoltura, visto che in passato ha già sponsorizzato altre ong (come Watoto Kenya, che si occupa di bambini poveri in Kenya), e soprattutto la
Comunità di Sant’Egidio di Andrea Riccardi, a cui avrebbe versato quasi 300mila euro per un progetto di prevenzione e cura dell’Aids ancora in Africa. E per non farsi mancare neppure le preghiere francescane, le pubblicità di Finmeccanica continuano ad apparire su San Francesco patrono d’Italia, rivista mensile dei francescani del Sacro Convento di Assisi.
Certo, Finmeccanica è inossidabile e giustamente impermeabile ai sensi di colpa. Anzi. Ma neppure alcuni bravi cristiani e alcune organizzazioni religiose, evidentemente, hanno la puzza sotto il naso.

Gianni Ballarini (da
Nigrizia, mensile dei comboniani)

venerdì, dicembre 19, 2008

Que pasò hoy?


Vaticano: Il Vaticano – presidio di amore e carità cristiana in questo martoriato mondo – torna a lanciare strali contro la mozione che la Francia ha presentato all’ONU sulla depenalizzazione dell'omosessualità in molti Paesi del mondo. “In realtà – secondo l'Osservatore Romano – l'obiettivo non è quello di tutelare diritti fondamentali ma affermare l'identità di genere che supera la differenza biologica uomo-donna”. Da qui la strada è aperta – per il quotidiano dei parrini – al matrimonio e all'adozione dei bambini da parte delle coppie gay, come anche alla procreazione assistita. Condivido queste osservazioni dell’Osservatore e anzi secondo me di questo passo si apre la strada anche alla cipolla nella carbonara.
Vabbé, però la Chiesa dovrebbe mostrare compassione per quelle persone che vengono discriminate e subiscono persecuzioni, no? No. E che dire allora del fatto che all’interno della Chiesa ci sono dei serissimi problemi – e sottolineo problemi – di omosessualità, che spesso sfociano in pedofilia e altre schifezze del genere. Che dire? Niente! Per la Chiesa va tenuta distinta la differenza – e pazienza se muore qualcuno – tra uomo e donna, cane e gatto, carciofo e finocchio. Ops!


Terrasini (PA): E comunque, giusto perché non si dica che la Chiesa non interviene in cose sostanziali, riportiamo qui l’episodio accaduto – e che sta ancora accadendo – nella città di Terrasini. Il sindaco del Pd si è fatto venire un’idea originale, non per salvare il suo partito dal mare di merda nel quale sta sprofondando, ma per richiamare il Natale e anche la vocazione turistica della sua città. Sicché ha fatto installare un Babbo Natale in polistirolo, alto tre metri e… in mutande. Vabbè, più che altro in costume da bagno. Epperò alcuni cittadini si sono sentiti offesi dal cosciame di Babbo Natale e gli hanno inviato una bella petizione per farlo rimuovere. Dicono, tra l’altro, che le cosce e le parti intime che tra loro risiedono, sono puntate contro la chiesa Madre. L’arciprete – per ‘ste stronzate sono sempre presenti – dice che non vuole fare polemica (però se si può fare, perché no?) – ma aggiunge che, per l’abbigliamento che indossa e per la posizione che tiene, non è un bel messaggio per i bambini. E ho detto tutto.


Milano (però è successo qualche giorno fa): È stato inaugurato il treno ad alta velocità. Alla stazione centrale di Milano si è brindato per il primo viaggio della Freccia Rossa, è un mix di tecnologia e comfort che permetterà a migliaia di viaggiatori di raggiungere Roma, da Milano, in tre ore e Bologna in una.
Quelli degli aerei sono preoccupati. Temono infatti che l’alta velocità toglierà clienti al trasporto aereo. “Naaa – rispondono quelli dei treni – casomai è l’automobile che verrà penalizzata”. Fosse vero. Incazzati, anche i pendolari hanno voluto partecipare all’inaugurazione e si sono ritrovati, non invitati, alla stazione, per un presidio. Del resto, hanno visto diminuire, e di molto, la dotazione di treni regionali, quelli che a loro servono per andare al lavoro tutte le mattine e ritornare a casa la sera con la pagnotta.
Intanto l’alta velocità è partita, il Paese è più rapido e più moderno e tutti noi ce ne avvantaggeremo. Tutti noi? È stato calcolato che per andare da Trapani a Modica in treno occorrono in media dieci ore e ventidue minuti. Però, onestamente, avete mai conosciuto uno di Trapani che va a Modica?

martedì, dicembre 16, 2008

SCARPE PER GEORGE W.


Si chiama Muntazer al-Zaidi ed è il mio nuovo idolo. È il giornalista iracheno che dopo avere insultato Bush, chiamandolo cane, lo ha accusato di essere “responsabile per la morte di migliaia di iracheni”. E gli ha pure tirato le scarpe. Entrambi i gesti sono un’offesa gravissima per i musulmani, ecco perché il grande Muntazer non ha usato giri di parole. Un altro, che ne so, gli avrebbe sputato in faccia chiamandolo “pezzo di merda” (potrei annoverarmi tra quelli) o chissà cosa altro.
Muntazer oggi rappresenta quelli che da sempre additano in George W. Bush il peggior criminale dell’epoca contemporanea. Roba che Osama bin Laden, al confronto, sembra il ragionier Filini del reparto sinistri. Ne devono cadere di torri gemelle prima che il barbuto saudita raggiunga il numero di morti fatto registrare dall’americano. L’11 settembre è roba da dilettanti. Eppure questo miserabile – sto parlando di Bush – dopo aver dichiarato un paio di settimane fa che la guerra in Iraq è stata un errore – ma non voluto da lui, mancherebbe altro – adesso va proprio in quella terra, a calpestare il milione di cadaveri fatti da lui, da Condoleezza, da Cheney, Rumsfeld e così via, di bastardo in bastardo. E gli va a dire che la guerra non è ancora finita.
E allora prenditi questo bel paio di scarpe, maledetto. Quelle del grande Muntazer ma anche le mie - e guarda che porto il 45 – e quelle di tutti coloro che hai offeso con la tua retorica della guerra. L’umanità si sta rivoltando verso il grande mentitore e verso i suoi scagnozzi – anche qui in Italia ce n’è uno mica da ridere. Mi pare si stia rivelando la profezia che papa Wojtyla fece in occasione della guerra in Iraq quando, dopo aver esperito qualunque tentativo per far ragionare il presidente americano – e del resto, almeno il papa deve credere ai miracoli, no? – gli disse che ne avrebbe risposto davanti a Dio a davanti agli uomini. Su Dio non apro bocca, lascio a Lui il giudizio; quanto agli uomini, il gesto di Muntazer sembra andare in quella direzione: l’umanità che chiama il principale responsabile di quella guerra assurda a risponderne personalmente.
Senza calcolare il simbolismo del gesto. Un grande presidente, quando è grande davvero, quando rompe equilibri, quando cambia il corso della Storia, casomai viene ucciso. Accadde a Lincoln e a Kennedy. Ma accadde anche a Martin Luther King, a Gandhi, a papa Wojtyla (che la scampò) e ad altri. Questi personaggi ebbero l’”onore” delle pallottole. E grazie a quelle pallottole sono entrati nel novero dei Grandi della Storia. Lui, invece, alla fine del suo disastroso mandato presidenziale viene esortato a scarpate ad andarsene via e non farsi più rivedere. Che schifo.
E allora scarpe per George W.! Mocassini, stivali, scarpe eleganti e malandate; scarponi, scarponcini, stivaletti, polacchine; scarpe basse o con tacchi a spillo; da ginnastica (allacciate, tipo converse, con velcro o con banda elastica); stivali da acqua alta e da pesca al fiume; anfibi e scarponi da roccia; ballerine di vernice (anche con fiocchetto); e poi pantofole, ciabatte, crocs, sandali, zoccoli, babbucce, pianelle, nuove ma anche sbertucciate.
Scarpe, scarpe, scarpe per George W.

sabato, dicembre 13, 2008

IL PORCO


Vi racconto una cosa. Anzi, due. Sono due episodi accaduti qualche anno fa nella nostra città, cose che apparentemente sembrano del tutto distanti l’una dall’altra, anche nel tempo, ma nelle quali io trovo un punto di contatto oltre che uno spunto di riflessione. Ecco la prima. Nel novembre del 2002, è scoppiato il caso dei rom del rione di Santa Croce. Ovvero, nella degradata zona dell’antico quartiere del Rabato, nel centro storico di Girgenti, risiedevano alcune famiglie di zingari che, a detta, degli abitanti della zona, portavano sporcizia e lerciume di varia natura. Degrado che veniva di peso addebitato a loro. Un premuroso consigliere comunale di Alleanza Nazionale, residente nella zona, promosse, pertanto, una bella raccolta di firme, ma di quelle come dio comanda, per rendere esecutiva la richiesta degli abitanti della zona. Quella, cioè, di espellere i rom dal quartiere e ricacciarli al campo nomadi di Contrada Gasena, fuori Girgenti, che il nostro solerte amministratore sosteneva esser stata costruita con grande profusione di fondi pubblici e che lui considerava una specie di Beverly Hills ma che in realtà era una squallidissima bidonville. Praticamente i veri problemi della nostra città non erano (e sono) come qualche sprovveduto può pensare, la disoccupazione, che costringe i giovani ad andar via a ritmi da anni sessanta, o la pessima amministrazione della cosa pubblica, che fa della nostra una città costantemente agli ultimi posti nelle graduatorie del benessere (l’ultima qualche giorno fa), o ancora la mancanza d’acqua, che ci mortifica agli occhi di tutta la nazione. No! Il vero problema di Girgenti era la presenza di un gruppo di etnia rom nel quartiere di Santa Croce. Le televisioni cittadine diedero abbastanza spazio all’accaduto anche se in tutto ciò mi colpì il solito assordante silenzio della città, totalmente indifferente di fronte a quello che stava avvenendo dentro le sue mura e in generale indifferente a tutto ciò che normalmente accade nel resto dell’ecumene.
Ma, al di là dello stile di vita dei rom, brutti sporchi e cattivi, qual era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso della pazienza dei santacrociani (ammesso si dica così) e del loro masaniello? Gli zingari avevano scannato un porco! Probabilmente stavano festeggiando qualcosa, non so, magari un momento rituale o una festa tradizionale o una celebrazione che si ripeteva da un sacco di tempo o una ricorrenza o era semplicemente un momento di aggregazione e di incontro della comunità o checcazzonesò. Fatto sta che le immagini televisive del povero maiale morto stecchito, sdraiato su un’asse di legno con un nugolo di mosche svolazzanti e un manipolo di bambini vocianti tutt’attorno, quasi giustificarono l’ira del tribuno consigliere e dei suoi vicini di casa. Si tirarono fuori motivi di igiene e di pubblica sicurezza ma una cosa era certa: il maiale non si ammazza. Fuori i rom da Santa Croce!
La cosa si protrasse per un paio di mesi, finché l’assessore alla sanità, anch’egli di Alleanza Nazionale, e anch’egli zelante e scrupoloso, fece periziare dall’ASL le abitazioni dei rom – solo quelle dei rom – le quali furono dichiarate inagibili. Per cui gli zingari, con grande soddisfazione dei residenti, del consigliere, dell’assessore e di tutta Alleanza Nazionale, furono costretti ad andar fuori dalle loro case, delle quali, questo lo sottolineerei, venivano regolarmente pagati affitti e utenze. Solo qualcuno cercò di trovare una soluzione alla cosa proponendo di discuterne con chi normalmente di zingari si occupava (la Caritas e qualche associazione di volontariato). Si scrissero delle lettere ai giornali, si fece anche passare un ordine del giorno al Consiglio Comunale, che fu discusso, sindaco assente, per ragionare e magari trovare una soluzione alla questione, ma non ci fu niente da fare. Nel febbraio del 2003 gli zingari sono stati cacciati fuori dalle loro case con la forza (della legge, ovviamente). Non si sa che fine abbiano fatto, dove siano andati, ma l’importante è che abbia vinto la civiltà.
Tempo fa sono andato a Santa Croce, e ho visto in che stato versa quel quartiere dopo la riconquista: tutto è esattamente come prima, se non peggio, nulla è cambiato, a dimostrazione, qualora ce ne fosse stato bisogno, che il degrado del luogo non era affatto causato dagli zingari. Di quell’episodio resta solo una scritta ormai sbiadita a vernice spray fatta dai giovani di Alleanza Nazionale: Il Rabato è libero – Agrigento è nostra.
Il secondo fatto riguarda la bella iniziativa che un insigne studioso di Pirandello, il professor Enzo Lauretta, ha realizzato nel 2004, mi pare. Egli ha cercato, devo dire con un qualche meritato successo, di riprendere (forse è più giusto dire riesumare) la vecchia Sagra del Signore della Nave. Era una festa, questa, che si svolgeva in Girgenti, narrata da Pirandello in una bella novella da cui trasse uno splendido atto unico per il teatro. Dico splendido perché in esso si ritrova tutto il senso e lo spirito della comunità in festa, della celebrazione corale, che come spesso capita dalle nostre parti, ha aspetti sia religiosi che pagani. La festa si svolgeva nella chiesa di San Nicola, nella splendida Valle dei Templi, fino alla fine degli anni ’40 del secolo scorso o giù di lì – i miei genitori ne hanno dei vaghi ricordi –, intorno allo splendido crocifisso ligneo tuttora conservato all’interno della chiesa e che va sotto il nome di Signore della Nave. Vi era una celebrazione religiosa e una processione molto sentita. Ma, ahimè, la festa, forse a causa degli orrori della guerra o chissà per quale altro motivo, fu dimenticata dagli agrigentini.
E come dicevo, questa festa consta anche di una componente, diciamo così, pagana, il lato più godereccio dell’evento, la cosiddetta sagra del Veni mangia, veni vivi, che ruota intorno a un momento decisivo: l’uccisione del maiale. Sissignore, si scanna il porco. Come gli zingari a Santa Croce. Ad onor del vero, nella riproposizione del Lauretta non si è visto il momento cruciale dell’ammazzatina del maiale, ma sono convinto che nessuno avrebbe avuto nulla da ridire qualora ci fosse stata. Infatti nessuno ha avuto nulla da ridire quando il povero suino è apparso sulla tavola del buffet sotto forma di succulente salsicce, a testimonianza del fatto che la bestia era stata veramente ammazzata. Esattamente come avevano fatto i rom di Santa Croce.
Che per questo sono stati allontanati dalla città.

mercoledì, dicembre 10, 2008

BUON COMPLEANNO, DUDU



Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri cara Dichiarazione, tanti auguri a te.
60 anni, eh? Sembra ieri e già son passati 60 anni. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, detta amichevolmente Dudu. Ne hai fatte di cose, in questi 60 anni, vero? Anzi, la posso dire una cosa? Ne abbiamo fatte di cose, tu e quelli che in te abbiam creduto e crediamo ancora. Tanti passi avanti sono stati fatti e tanti, sono certo, ne faremo ancora. Il riconoscimento dei diritti delle donne e dei bambini, come ti sembra? E la fine dell'uso della pena di morte in oltre due terzi del pianeta? Certo, c’è ancora molto da lavorare ma va bene così, per ora. E poi l'adozione di trattati internazionali e di legislazioni nazionali; la creazione del Tribunale penale internazionale e i procedimenti per crimini di guerra e contro l'umanità da parte dei tribunali internazionali e, in alcuni casi, di quelli nazionali; l'istituzione dell'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite e, in alcuni paesi, di commissioni nazionali sui diritti umani; i progressi nel controllo delle armi; un forte appoggio della società civile ai diritti umani, come attraverso la rete mondiale dei difensori dei diritti umani e delle organizzazioni per i diritti umani.
Tanti auguri, allora. Intanto da parte mia; poi anche da parte dei miei amici attivisti di Amnesty International di Girgenti – sabato e domenica saremo per le strade a chiedere firme. Ma auguri anche da altri attivisti di Amnesty, quelli per i quali non è così semplice mettersi in strada con un banchetto a raccogliere firme; quelli che vengono catturati di notte e portati in carcere, magari perché hanno scritto delle e-mail di denuncia delle lesioni dei diritti umani nei loro paesi. E tanti, tanti auguri di speranza da parte di coloro che ogni giorno sono discriminati per motivi di razza, di religione, di genere e di identità.
Auguri da parte delle donne, quelle violentate nei conflitti di tutto il mondo, specialmente in quelli dimenticati, ma anche da quelle che nell’opulento occidente vengono maltrattate, specialmente all’interno delle proprie famiglie (dicono che in Italia la violenza intrafamiliare ogni anno fa più morti della criminalità organizzata).
Auguri da parte dei bambini: i meninhos da rua del Brasile, braccati dalla polizia del paese perché ritenuti nocivi per il commercio; i bambini soldato – trecentomila in tutto il mondo – ingaggiati per uccidere altri uomini o altri bambini come loro; le bambine di Bangkok, di Cuba, del Brasile, giovanissime prostitute alla mercè di turisti senza scrupoli; i bambini lavoratori di tutto il mondo, quelli che cuciono palloni a 1 dollaro al giorno affinché i loro coetanei europei e americani possano fare i fenomeni, ma anche quelli che tessono tappeti, che lustrano scarpe o che vanno in miniera.
Auguri da parte dei condannati a morte, i dead men walking di tutto il mondo che ogni giorno compiono l’ultimo tragitto verso la morte. Auguri da parte di coloro che, invece, vengono torturati e in vari modi: dai semplici calci e pugni, al digiuno forzato, al waterboarding – una graziosa “lavata di capo” –, fino all’elettroshock e alle torture psicologiche.
Tanti cari auguri da parte dei rifugiati politici. Quelli che fuggono dai loro paesi poveri, anzi impoveriti, dove ci sono guerre, persecuzioni, conflitti etnici e robe del genere. In particolare ti salutano e ti fanno tanti auguri i rifugiati del Congo e quelli del Darfur. Ma anche i migranti semplici, i cosiddetti migranti economici, quelli che vanno via per cercare condizioni di vita migliori per loro e i loro figli. E il bello sai qual è? Che nei paesi nei quali si rifugiano vengono malvisti, perché dicono che sono un problema, soprattutto di sicurezza.
Auguri da parte dei gay di tutto il mondo, da quelli che vengono impiccati a quelli che vengono torturati, incarcerati, maltrattati, multati, frustati o semplicemente discriminati in tutto tutto tutto il mondo.
Auguri da parte di tutti noi, cara Dudu, e buona strada. Che è ancora tanta.

lunedì, dicembre 08, 2008

ULTIMI


Sono Girgenti e la sua provincia nel “Rapporto 2008 sulla qualità della vita” di ItaliaOggi. La classifica parla chiaro: prima Siena, ultima Agrigento. Strano, vero? Quasi quasi pensavo il contrario.
Eppure l’agrigentino tipo considera la sua città come il migliore dei mondi possibili; non passa settimana che qui a Girgenti non ci sia un convegno in cui si parla di sviluppo e di ripresa; le tv locali quotidianamente annunciano, per bocca di qualcuno bravo, il cambio di rotta; non c’è consigliere, assessore, deputato, senatore, persino ministro della provincia di Agrigento che parlando in favore di telecamera non annunci “cieli nuovi e terra nuova” per questa città e questa provincia. E anche in tempi brevi. Poi arriva ItaliaOggi e spara: ultimi!
Sarà colpa di qualcuno? Certo, intanto è colpa di ItaliaOggi che spara minchiate. Sembra che io stia dicendo una stupidaggine ma a Girgenti negli ultimi tempi è invalso l’uso di non prendere per buone queste graduatorie (che ci vedono sempre penalizzati) e dichiararle strumenti in mano al Nord per screditare il laborioso Sud. Anche perché questa è un’attività molto più semplice di quella di cercare di capire il perché di questa situazione e porre rimedio.
Ma la domanda era un’altra: sarà colpa di qualcuno? Io penso di sì e abbozzo pure qualche possibilità.
1. I comunisti. È colpa dei comunisti. Ovvio, no? Intanto perché è sempre colpa loro e poi perché sono loro che vogliono vedere il Sud in crisi e divulgano notizie false, del tipo “al Sud non c’è lavoro”, “mancano i servizi fondamentali”, “manca persino l’acqua”, giù giù fino alla più brutta delle accuse: “la classe politica del Sud pensa solo a creare e a rafforzare il sistema clientelare, tale per cui il popolo è sempre tenuto nel bisogno”.
2. La sfiga. Sì, siamo sempre stati sfortunati. Porca miseria, non ce ne va bene una. E pensare che abbiamo il sole, il mare e nessuna terra è bella come questa. Però siamo sfortunati, mannaggia; là sopra (al Nord), invece, che tutte queste cose nemmeno se le sognano, invece sono fortunati e sono primi in classifica. Quando si dice la sfortuna.
3. Andreotti. Fino agli anni ’90, per qualunque cosa di grave succedesse in Italia, il responso unanime dai bar e dalle piazze della penisola era sempre quello: colpa di Andreotti! Bene, atteso che la situazione attuale in fondo è figlia del vecchio modo di fare politica in questo paese – ben lontano dal nuovo modo, si intende – anche per me è colpa di Andreotti.
4. La mafia. Pardon, la mafia non esiste. Sono le solite dicerie messe in giro da qualcuno (v. punto 1).
5. ‘I ttraffico. No comment.

sabato, dicembre 06, 2008

‘A BIRGITANA



A Favara, il paese della provincia di Girgenti che frequento quotidianamente per lavoro, una volta ho sentito una persona che rivolta a un’altra, ha detto: “Tu fa comu i birgitani, ca prima si maritanu e pò si fannu ziti” (Tu fai come gli emigrati in Belgio, che prima si sposano e dopo si fidanzano). Non so se realmente è questa l’usanza degli emigrati in Belgio – penso di no – ma la cosa mi fece ridere parecchio e la ricordo sempre. E oggi è un po’ questo il senso della splendida iniziativa della ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini (nella foto, mentre fa coppetta con la mano per sentirsi l'alito). Questa campionessa di democrazia ha inaugurato un canale su YouTube – proprio quello che il suo padrone vuole smantellare – in cui spiega a studenti, insegnanti, genitori e cazzeggiatori vari del mondo della scuola, il senso dei suoi provvedimenti. Provvedimenti già presi, però, in barba al dialogo e a tutto il resto.
“Ho deciso di aprire un canale su YouTube perché intendo confrontarmi con voi sulla scuola e sull'università”, ha detto la stellina del governo italiano. Apprezzo il gesto (non è vero, non lo apprezzo affatto) ma non lo potevi fare prima? Non potevi chiederlo prima cosa ne pensavamo, prima di devastare quel poco che di decente era rimasto nella scuola italiana? Prima di far passare la legge, intendo dire. Perché non lo chiedevi a studenti e insegnanti cosa volevano che facessi per la scuola che cade a pezzi, e non solo metaforicamente. Ma prima glielo dovevi chiedere, prima di fare quello che hai fatto; prima si chiede il dialogo, non a cose fatte, Stellina, prima.
Un po’ come state facendo col Vaticano: avevate previsto dei tagli alle scuole paritarie, i vescovi hanno alzato un angolino del sopracciglio sinistro e – voilà – il provvedimento viene mandato in soffitta e i soldi per finanziare le scuole dei parrini sono stati trovati. Per le scuole pubbliche, invece, che non hanno mezzi e strumenti, che sono ospitate in edifici di civile abitazione, senza luce né acqua, senza laboratori né palestre, per quelle non c’erano soldi. Per le scuole che cadono in testa ai ragazzi uccidendoli, non ce n’erano soldi, eh? Non mi riferisco al caso di Rivoli, perché quella è stata una fatalità (l’ha detto Berlusconi, mica si scherza); mi riferisco certamente al caso dell’”una scuola su due non in regola”, come dichiarato da Guido Bertolaso, il potente patron della Protezione Civile italiana. Anche quella statistica è una fatalità?
“Una cosa però non farò mai, – dice, non paga di cazzate, la ministra – quella di difendere lo status quo o di arrendermi ai privilegi o agli sprechi”. I privilegi. In questo paese i privilegiati sono gli insegnanti, vero, Maria Stè?. Parla lei, di privilegi, lei che appartiene alla Casta, lei che guadagna non si sa quanto e non ha praticamente alcuna spesa. Lei che ha auto blu e scorta. I privilegiati sono gli insegnanti italiani, quindi, che non arrivano a 1500 euro e guadagnano molto, ma molto, meno dei loro colleghi di tutta Europa, fatti salvi Portogallo e Turchia.
Basta discussioni, godiamoci l’apertura democratica di Maria Stella, che da YouTube ci ammannisce il verbo del dialogo.
Una cosa sola farei con te, cara Maria Stella. Ti chiuderei a chiave per due ore in una terza media dello ZEN di Palermo o di Scampia o di Quarto Oggiaro, porca puttana; ti sprangherei dentro e tornerei a riprenderti dopo due ore. Per vedere cos’è rimasto di te. Beh, se però vuoi sapere qualcosa di quelle scuole, chiedilo a quelle privilegiate delle insegnanti che ci vanno ogni giorno. Fattelo dire su YouTube.

GIOR-NALE-DISI-CILIA


Non so come si chiami né dove abiti. Non so quanti anni abbia né se sia sposato o abbia figli.
Non so nulla di lui. Però lo conosco. L’ho sempre visto.
Sin dal primo momento in cui sono riuscito ad avere coscienza di me e delle cose che mi circondavano, da allora io ho sempre visto, e sentito, quest’uomo bruno dalla voce stridula, macilento ma forte come una roccia.
Contro il sole che spacca le pietre, contro il freddo che taglia la faccia, contro il vento e la grandine…
Ogni mattina lo strillone di piazzetta San Calogero è lì al suo posto. Come la chiesa, come la ringhiera, come il baretto, come i negozi. Solo che hanno cambiato colore alla ringhiera, sono cambiati i proprietari del bar, hanno avvicendato i parrini della chiesa e sono cambiati i negozi.
Solo lui non è mai cambiato: lo strillone di piazzetta San Calogero. Col berretto tipo militare e la sciarpetta scozzese infilata nella giacca. Sicuro come il sole che sorge, lui ogni santo giorno vende i suoi giornali ai frettolosi automobilisti che accostano, calano il finestrino e gli porgono i soldi. Stesse azioni da un’infinità di anni. Cambia il prezzo, cambia l’impaginazione, cambia il volume del giornale ma questo rito si perpetua da tempo immemorabile. Ogni giorno.
Gli passiamo accanto ma non ce ne accorgiamo; come quando passiamo davanti a un albero o a un manifesto. Lo sentiamo ma non lo ascoltiamo, abituati, come siamo, alla sua voce. Lo vediamo ma non lo guardiamo, lo strillone di piazzetta San Calogero.
Da bambino ricordo che strillava, appunto, le notizie principali. “’U particolare”, aggiungeva, e anche qualche commento personale. Adesso soltanto “GIOR-NALE-DISI-CILIA”, con la voce stridula, ogni tanto, come a dire “Guardate che sono sempre qua! Guardate che qualunque cosa cambia a Girgenti, in Italia, nel mondo, io sono sempre qua a darvi le notizie del mattino”.
Del mattino, infatti. Non l’ho mai visto, di pomeriggio, di sera, di notte. Solo di mattina. Non l’ho mai visto al Viale, in Via Atenea, a San Leone. L’ho sempre e solo visto di mattina, in piazzetta San Calogero.
Sono cambiati tanti governi, sono morti papi e altri ne sono stati fatti, ci sono stati terremoti, le B.R. e le stragi di Palermo, Tangentopoli e il Muro di Berlino, la Nazionale che ha vinto i mondiali, l’Etna e Alfredino, il mostro di Firenze, Andreotti e Gorbaciov, Aldo Moro, Luciani e Craxi, Di Pietro e lady Diana, Falcone e Paolo Rossi…
Lui è sempre lì, sempre lo stesso.
Fa parte dell’arredo della nostra città. Come gli orrendi palazzoni degli anni dello scempio, come gli infissi in alluminio al centro storico, come l’ex Archivio Notarile al quale fa compagnia, come le strade sconvolte da buche di ogni grandezza.
Lui è un pezzo di città: uno dei più belli.
Il pacco dei giornali rivestito da un pesante cellophane, appoggiato alla ringhiera o dentro la cabina telefonica quando piove. E lui sulla strada a sfidare il traffico o, ormai sempre più spesso, sul marciapiede. Sì, perché deve avere una certa età lo strillone di piazzetta San Calogero. Ma nessuno sa quanti anni ha. Mi chiedo se lui stesso lo sappia. Mi chiedo se la monotonia quotidiana non gli abbia fatto dimenticare anche le informazioni basilari della sua vita.
Ogni giorno lì al suo posto.
Noi abbiamo vissuto, siamo andati a scuola, abbiamo studiato, abbiamo fatto il militare, ci siamo sposati, abbiamo fatto figli, ci siamo separati, ci siamo divertiti, ci siamo annoiati, ci siamo risposati, siamo andati in vacanza, abbiamo lavorato…
Lui invece è sempre lì, lo strillone di piazzetta San Calogero.

***

P.S. Questo è un pezzo che ho scritto per Fuorivista, una rivista che si pubblicava a Girgenti fino a qualche anno fa. Un giorno, passandogli accanto, lo strillone di piazzetta San Calogero – poi seppi che si chiamava Cacciatore – mi guarda e mi fa: “Lei è chiddu ca scrissi l’articulu ‘ncapu di mia?” E io timidamente: “Sì. Le è piaciuto?” E lui: “Me muglieri ci fici ‘u quatru!” Dire che sono impazzito di gioia è niente. Poi mi disse che voleva mandarlo anche ai suoi figli che stavano a Torino. Gli procurai alcune copie della rivista.
Lo strillone, il signor Cacciatore, da un paio d’anni non è più al suo posto, si è ritirato. E ovviamente nessuno l’ha più rivisto.

venerdì, dicembre 05, 2008

Que pasò hoy?

Milano: Ogni tanto visito il blog di Piero Ricca (http://www.pieroricca.org). Non sapete chi è? È il tizio di Milano che anni fa urlò a Berlusconi “Buffone, – diventato in seguito “puffone” – fatti processare!”. Questo quando ancora si credeva che in Italia il premier potesse sottostare allo stesso trattamento giudiziario di un qualsiasi cittadino.
Questo Ricca qui (foto) è un tipo fantastico. Se ne va agli incontri coi politici con un unico dichiarato scopo: rompere le balle. Attività che gli riesce regolarmente. Sono notevoli gli scazzi con Emilio Fede (con sputo del lecchino), Sgarbi, Veltroni, D’Alema e molti altri ancora. Lo collaborano alcuni giovani, tosti come lui, che come lui vanno in giro a rompere gli zebedei. La caratteristica fondamentale di questi incursori è una sola: dicono sempre la verità. Che poi è esattamente quello che le persone non vogliono sentirsi rinfacciare.
Nell’ultimo video c’è l’incontro tra uno di ‘sti picciotti, Elia si chiama, e Piersilvio Berlusconi, beccato – nientemeno – in una sede dell’ARCI di Milano, al convegno sul tema “Come farcela da soli”. No, scherzo, in realtà era alla presentazione alla stampa del prossimo programma di Piero Chiambretti, che passa così a Mediaset. Elia ha ricordato al manager dall’illustre omonimo la vicenda di Europa7, ovvero la televisione che sarebbe la legittima proprietaria delle frequenze sulle quali trasmette abusivamente Rete4. Un pezzo irresistibile. Piersilvio non sa cosa dire, si schermisce, fa il simpatico, fino al suo capolavoro: “La vicenda Rete4 è chiusa. L’hanno detto ieri a Porta a Porta”. Mirabile! Svariate autorità giudiziarie, finanche la Corte Europea, stabiliscono che Rete4 è abusiva ed Europa7 è legittima proprietaria delle frequenze, ma Piersilvio sostiene l’autorità di Bruno Vespa nel dirimere la spinosa vicenda. L’animata intervista finisce con gli “inviti” al giornalista, da parte di un non meglio identificato scagnozzo, a dire “cose che si possono dire”. Non è bella l’Italia?

Vaticano: Questa ve la faccio dire da don Franco Barbero (foto), un prete torinese delle Comunità di Base.
CORROTTI E CORRUTTORI
Parlo della conferenza dei vescovi italiani. Appena si è profilata l'idea di possibili tagli alle scuole private, è partita la vibrata protesta per difendere il privilegio anticostituzionale dei finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche.
Mentre operai, studenti, disoccupati e precari lottano da mesi per salvaguardare alcuni diritti fondamentali e non ottengono nulla, in questo caso è bastato un fischio dei vescovi e il governo ha fatto marcia indietro. Immediatamente ha garantito che sarà inserito nella finanziaria un emendamento che salverà il privilegio delle scuole cattoliche.
Quando i vescovi battono cassa il governo trova i soldi.
Avete notato? Sono bastate tre ore per passare dalla protesta all'esaudimento.
Corrotti e corruttori in genere s'accordano velocemente. Resta lo scandalo di chi non si rassegna a credere che la gerarchia cattolica sia ormai un partito politico che pensa agli interessi materiali della propria organizzazione aziendale.
La laicità e il Vangelo vanno in soffitta. Il soldo è il dio che qui si adora.
(
http://donfrancobarbero.blogspot.com)
Mi sa che questo qua lo devo mettere tra i parrinazzi.

mercoledì, dicembre 03, 2008

DUE NOTIZIUOLE


Ogni tanto una buona notizia. La Francia, nel suo semestre di presidenza dell’Unione Europea, ha presentato all’ONU un progetto per la depenalizzazione definitiva dell’omosessualità nel mondo. Già è grave il fatto che ci sia la penalizzazione dei gay. Comunque. Diciamo che il nostro paese non brilla certamente per apertura nei confronti delle istanze degli omosessuali ma almeno non li discrimina, non li imprigiona, non li tortura. Non li ammazza. In molti paesi del mondo, tanti purtroppo, invece, l’omosessualità è un reato ed è punita in vario modo, con multe, frustate, carcere, lavori forzati, fino ad arrivare tragicamente alla pena di morte. Essere gay costringe le persone alla clandestinità e al nascondimento. Ecco dove sta il senso della proposta della Francia, capofila di 27 paesi UE: far sì che anche per gli omosessuali di tutto il mondo ci siano il riconoscimento dei diritti civili e – la sparo! – pari opportunità. Primo diritto fra tutti, quello di poter vivere il proprio orientamento sessuale senza il timore di esser presi nottetempo da casa ed essere sbattuti in una prigione.
Bene, senti questa notizia e immagini che, tolti alcuni paesi, la proposta della Francia debba passare in carrozza. I paesi delle moderne democrazie occidentali non avranno difficoltà a ratificare, no? E infatti no. Da dove viene la negativa? Dal Vaticano. Mi voli nesciri ‘u sensu. In effetti ho dato un’occhiata al Vangelo e di omosessuali neanche l’ombra. Si parla di quelli che hanno fame e sete, di quelli che sono nudi o malati, forestieri o carcerati (Matteo 25, 31-45) ma di gay neppure l’ombra. Per cui forse forse monsignor Celestino Migliore (migliore?) ha detto giusto.
Dice anche, sempre il Migliore, che loro sono contrari alla pena di morte. Ho capito, ma di fatto, una volta che non approvano la proposta… Metti, per assurdo, che nessuno stato la approvasse, la pena di morte per i gay (la tortura, i maltrattamenti, la discriminazione, etc…) rimarrebbe o no?
Quindi il Vaticano – che peraltro non è membro dell’ONU ma ha solo un osservatore permanente (Migliore, appunto) – niente, non approva la proposta francese perché la considera discriminatoria. Non per i gay ma per quegli stati che eventualmente non la approvano e, una volta passata, li metterebbe “alla gogna”, rispetto, ad esempio, al riconoscimento delle unioni gay". Ammazza!, chiaro, no? E del resto: “Il vostro parlare sia sì, sì; no, no” (Matteo 5, 37).

***

George W. Bush, uno dei più grandi criminali che la storia (purtroppo) ricorderà, ha fatto outing sull’Iraq. No, non sto dicendo che si è assunto la responsabilità di quello che è successo, ma almeno ha ammesso che è stato un errore. Ha buttato la croce addosso all’Intelligence, dicendo che ha sbagliato. Lui – dice – una guerra non se l’aspettava.
È davvero difficile fare ironia su una cosa del genere. C’è un milione di morti sotto terra a causa di un errore dell’Intelligence americana? E poi, poteva fidarsi di Blix ed El Baradei, coloro che hanno guidato gli ispettori dell’ONU alla ricerca delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Loro l’avevano detto che non c’erano e che quindi la guerra era perfettamente inutile. Però la guerra c’è stata, molte persone sono morte e molte altre ci hanno fatto un sacco di soldini.
Ma la cosa più divertente, ammesso che ci sia, l’ha detta Dario Franceschini, l’harrypotteresco vicesegretario del Partito Democratico. “Ci aspettiamo ora da Berlusconi, che trascinò politicamente e militarmente il nostro Paese in quel conflitto, la stessa autocritica e la stessa ammissione di responsabilità nei confronti degli Italiani”.
Berlusconi che fa autocritica? Sì, forse quando all’inferno si venderanno ghiaccioli.

domenica, novembre 30, 2008

Que pasò hoy?


Varese: Quel calamaro – senza offesa per il gustoso mollusco cefalopode – del figlio del Bossi è stato bocciato per la terza volta. Ehi, vecchio mio, svegliati! Ricordati che devi fare il ministro, quindi, dico, almeno il diploma. Vero è che basterebbe anche una condanna in primo grado da un tribunale della Repubblica ma la cultura è la cultura. Ma non ti ha insegnato niente la Gelmini? Posso darti un consiglio, vecchio mio? Fa’ come lei, vieni giù a Reggio Calabria o a Caltanissetta, o magari a Favara, il paese della tua padanissima mamma, e fatti confezionare un bel diplomino di liceo scientifico o classico o tecnico commerciale, che vuoi che sia?

Roma: Mi contestano la Badescu. Ma allora lo fate apposta. No, mi riferisco a quegli ingrati di romeni che stamattina hanno contestato la loro rappresentante al Comune di Roma. “Hai fatto solo calendari, non sai nulla”, le hanno detto. E poi: “La Badescu non ci rappresenta, vorremmo sapere per quale motivo Alemanno l'ha scelta, non ha nessuna competenza oltre a quella di essere, come dice lei, miss Romania”. Picciò, aver fatto calendari ed essere Miss Romania, secondo voi non dà il diritto a essere rappresentanti di un’intera comunità? Qua per aver fatto calendari – e qualcos’altro – si diventa ministro, altrochè. Ma dove credete di essere, in Romania?
(Nella foto la rappresentante della comunità romena presso il Comune di Roma)

Potenza: 1500 eurini di bonus a chi appioppa al proprio figlio il graziosissimo nome di Benito. No, perché, cosa c’ha quel nome che non va? E per le femminucce c’è sempre Rachele. Chi ha fatto questa intelligente proposta? Ma chi, se non il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore della Basilicata? Aggiungendo peraltro che la scelta dei due nomi è casuale. Ma era superfluo specificarlo, nessuno pensava che il primo nome si riferisse a quel farabutto senza capelli che ha governato l’Italia per vent’anni nel secolo scorso e il secondo alla di lui moglie. E poi, buttali via 1500 euri! Inoltre io trovo che sia un bel nome, magari non bellissimo, ma è sempre meglio che chiamare il proprio figlio Kevin o Jonathan, come usa di ‘sti tempi (e per di più a gratis).

sabato, novembre 29, 2008

MAZZARISI


Lampedusa vive di pesca e di turismo. Di turismo per quattro mesi l’anno, di pesca sempre. Sul molo del porto dell’isola, uno di fianco all’altro i pescherecci occupano ogni centimetro disponibile. Sono parcheggiati anche in seconda e in terza fila, vista la scarsità di spazio disponibile. I pescherecci più grandi, non c’è dubbio, sono quelli provenienti da Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, con San Benedetto del Tronto e Chioggia, uno dei principali porti pescherecci d’Italia. Sono bestioni che non finiscono mai, al confronto con i pur notevoli motopesca lampedusani. E i mazaresi, o mazzarisi, come li chiamano i lampedusani, lavorano molto a Lampedusa, sopportati non sempre di buon grado dai locali. Ma tant’è. La pesca di solito è buona, il pesce c’è, anche se i lampedusani spesso si lamentano ma certamente è un lavoro molto duro e sacrificato. Ieri c’era maltempo e non si pescava. I pescherecci stavano ormeggiati al porto e i pescatori guardavano da lontano quel mare che li costringe ad un lavoro pesante – giorni e giorni al largo a vedere solo cielo e mare – ma che consente loro di portare il pane a casa. I mazzarisi se ne sarebbero tornati volentieri a casa ma stavano bloccati lì, a Lampedusa, ad aspettare che il vento si calmasse e si potesse uscire di nuovo. A Lampedusa, quando soffia il vento forte si blocca tutta l’isola. Io ci ho vissuto per tre anni e ricordo le giornate col cielo basso e grigio, il vento che sferzava la faccia e il disagio di un’isola che, a volte per intere settimane, vede scarseggiare i viveri, la benzina, l’acqua e vede aumentare così il suo distacco dal resto dell’Italia, dalla terraferma, come la chiamano loro. La nave da Porto Empedocle non arriva e non parte, a volte anche l’aereo non riesce a decollare e ad atterrare. E i pescherecci stanno fermi al molo.
Ieri niente pesca, quindi. Niente pesca finché non squilla il telefono e il comandante della Capitaneria di Porto convoca i mazzarisi. Due “carrette del mare” piene di immigrati africani sono in balia delle onde e hanno lanciato l’SOS. Con quel tempo non ce la possono fare. E per di più le condizioni del mare non permettono alle motovedette di lasciare gli ormeggi. Solo i pescherecci dei mazzarisi possono affrontare quel mare. Ecco perché il tenente di vascello Achille Selleri, il comandante, li chiama nel suo ufficio, prospetta loro la situazione e alla fine dice: "Ho bisogno di voi e delle vostre barche. Li salviamo?". I mazzarisi non esitano un attimo: "Siamo pronti. Andiamo". E li salvano. I cinque pescherecci riescono a portare in salvo 603 immigrati, strappandoli al naufragio.
Dio vi strabenedica, cari mazzarisi e caro comandante. Spero solo che non ci sia nessuna gaia testa di cazzo che vi accusi di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. No, lo dico perché è già successo e questo non mi pare un buon momento perché prevalga la pietà e la solidarietà che voi avete dimostrato.

DIO


Conobbi Dio quand’ero molto piccolo, un po’ come tutti. Con noi viveva la nostra nonna materna, nonna Maria, una donna mitica. Stava sempre seduta su una poltrona a causa di una semiparalisi o emiparesi, o non so cosa, che l’aveva colpita molto tempo prima e c’ha lasciati tanti anni fa, nel ‘74, per cui ne abbiamo dei ricordi piuttosto vaghi. Aveva capelli bianchissimi e per me è sempre stata il prototipo della donna anziana. Stava a casa nostra, aveva un grande letto con le trabbacche di legno e ci raccontava sempre delle storie tipo quelle di Giufà; oppure ci raccontava la filastrocca siciliana del re befé biscotto e miné.
La nonna però ci raccontava anche le storie della Bibbia, e fu così che seppi di Adamo ed Eva e di tutta la storia della mela e del serpente e dell’angelo con la spada di fuoco, di Caino che era una schifezza e Abele un galantuomo e sappiamo com’è andata a finire; di Sansone che aveva la forza nei capelli e per questo gli fecero un taglio tattico da marines e perse la forza ma quando la riacquistò, allora gliela fece vedere lui e abbatté il tempio gridando: muoia Sansone con tutti i Filistei! Mi piaceva la parola filistei di cui ovviamente sconoscevo il significato. E poi la storia di Davide e Golia, Giona nel ventre della balena, Daniele nella fossa dei leoni e qualche altra che non ricordo. E sullo sfondo di ognuna si stagliava la figura di questo Dio grande e potente ma ovviamente inafferrabile.
Poi fu la volta dell’asilo all’Istituto Granata dalle suore che si chiamavano Figlie di Sant’Anna. Ci andavamo col pulmino che passava sotto casa e una volta da ‘sto pulmino sono caduto a testa in giù sulla strada e sono vivo per miracolo. Di Sant’Anna, probabilmente. E allora dicevo che passava il pulmino e noi scendevamo giù col panierino arancione con dentro il panino con la frittata o con la cotoletta e il mattoncino di cotognata Elah. Le carissime (anche come prezzo) Figlie di Sant’Anna ci facevano giocare, disegnare, mangiare, andare in bagno, cantare, che fra parentesi in testa alla hit-parade delle canzoncine c’era “Buongiorno mamma, te lo voglio dire con un fiore” (che se poi qualcuno la vuole sentire sono sempre a disposizione). E ogni tanto ci portavano anche in cappella e lì, indicando il tabernacolo, ci dicevano: “Lì c’è Gesù”. E noi pensavamo, io almeno, che Gesù fosse una specie di contorsionista cinese per poter stare in uno spazio così piccolo e angusto dentro il tabernacolo. Tuttavia non potevamo dubitare di quello che ci dicevano le suore, soprattutto la mia suora, suor Anna Giuseppina che era una suorona grassa e buona. Allora, tutte le volte che ci portavano in cappella, quando scostavano la tendina e aprivano il tabernacolo cercavamo di vedere Gesù. Ovviamente non vedevamo nessuno ma ce lo chiedevamo a vicenda: “Tu l’hai visto?” E noi onestamente rispondevamo che no, non l’avevamo visto. Finché un giorno un nostro compagnetto piccolo bastardello (lo stesso che una volta in bagno mangiò del sapone, e ho detto tutto), proclamò a gran voce: “L’ho visto, guardate dov’è”, e indicando il tabernacolo ci spiegò la posizione in cui stava ecc… A quel punto la giovanissima assemblea di fedeli si spaccò in due, chi diceva di averlo visto e chi no: io ero tra quelli che l’avevano visto!
Poi dopo qualche annetto fu la volta della messa e del catechismo. La messa era piuttosto divertente, con tutti gli altri bambini, il parrino che faceva domande alle quali rispondevamo facendo una confusione totale, etc… Anzi, lui ogni domenica chiamava un bambino all’altare e gli faceva delle domande al microfono e una volta chiamò anche me e feci una gran bella figura di merda ignorante. C’era l’offertorio, che se avevamo culo ma soprattutto conoscenze tra i liturgisti ci facevano portare il calice o le ampolline all’altare. I canti mi piacevano assai soprattutto quello che diceva: “È la mia strada, Signor, che porta a te”; poi diceva “e mio fratello viene con me”, poi “e mia sorella viene con me” e alla fine del canto si era già raccolto un discreto numero di gente che veniva con me “lungo la strada, Signor, che porta a te”. Con un po’ di intraprendenza ma soprattutto a una certa età riuscivi anche a fare il chierichetto, a servire la messa con la tonaca rossa e la cotta bianca che alcune erano nuove e proprio belle col merletto o con la greca e tutto il resto mentre altre erano un po’ più malandate quando non sdrucite o rotte. Quindi toccava andarci per tempo a scegliersi i paramenti migliori. Poi si facevano della gran sciarre per chi dovesse suonare la campanella alla consacrazione e chi la suonava lo faceva con grinta non comune, e anche per un tempo non comune, suscitando le rimostranze del prete e quando ci inginocchiavamo dietro l’altare ci guardavamo e ci ammazzavamo di risate.
Quindi, dietro, al di sopra e al di là di tutto questo si ergeva inaccessibile la figura di Dio. Che in quella fase cominciava anche ad avere una fisionomia bella marcata: uomo non più giovanissimo, anzi diciamo piuttosto anziano, corpulento, con barba e capelli lunghi; in seguito ne avremmo evidenziato la somiglianza con Gesù Cristo, suo figlio e perciò a lui somigliante. Poi c’era il catechismo dove sciamando rumorosamente, correndo e spintonandoci (una volta, nella calca sono atterrato col ginocchio destro sui dei pezzi di vetro che… lasciamo perdere!), ci recavamo dopo la messa, muniti di libro, quaderno e penna e lì ci insegnavano un sacco di belle cose su Dio, molte delle quali false. Cose cioè che lo presentavano come il peggio di tutti, suscettibile e irascibile come nessuno; s’incavolava tipo se uno veniva con un due minuti di ritardo, se masticava chewing-gum, se parlava o peggio ancora scherzava col compagno, insomma qualunque cosa succedesse Dio si arrabbiava – almeno, così ci dicevano. La Madonna invece era piagnucolosissima; per ogni cosa, secondo quelli del catechismo, si offendeva e attaccava a piangere. “La Madonna piange!” Ti facevano sentire una merda, che ogni cosa che facevi la sbagliavi e causavi il pianto della Madonna. Di Gesù invece dicevano che era uomo serissimo, tristissimo, mai un sorriso, mai uno scherzo coi discepoli, mai una fesseria qualunque, che ne so, una barzelletta. Mai niente di niente: Gesù non rideva mai, e così dovevamo diventare anche noi. Però è anche vero che faceva un sacco di cose interessanti: moltiplicava la cibaria, camminava sull’acqua, guariva e risuscitava la gente, trasformava liquidi, ecc…, tutta roba affascinantissima. Lo Spirito Santo era totalmente sconosciuto, latitava da qualche parte del Paradiso, si sapeva che c’era ma nessuno lo nominava mai, nessuno ne sapeva parlare. Ora, con questa compagnia tutt’altro che piacevole non mi meraviglio che molti promettenti fedeli di allora abbiano in seguito abbandonato Dio & Co., e in generale non mi sembra che le chiese, almeno quelle cattoliche, siano posti dove spiri il vento della gioia.
Come se non bastasse, in questa fase storica, quella del catechismo voglio dire, ci fu la scoperta del peccato, o per meglio dire l’ossessione del peccato. Era già l’ora di fare la prima comunione e i parrini pertanto ci massacravano col discorso del peccato e l’atto di dolore era diventato più importante dello stesso Padre Nostro. Ora, qual era il peccato più grave? L’omicidio? No. Allora rubare. No. Allora mancare di carità verso il prossimo. Manco per niente. Il peccato più grave in assoluto e con gran distacco sugli altri era la masturbazione, per cui in confessione ci chiedevano se l’avevamo fatto, quante volte, da soli o in compagnia ecc… Ma in compagnia di chi se eravamo dei picciliddi? Questa della masturbazione era una vera ossessione, tanto che quando qualche anno fa uscì il nuovo catechismo della chiesa cattolica, questi qua dissero che la masturbazione non è un peccato ma un atto di debolezza o qualcosa del genere. Allora io m’incazzai come un tartaro, a pensare a quanto ci avevano rotto le scatole. Poi qualcuno mi disse che aveva effetto retroattivo per cui mi tranquillizzai e non ci pensai più. Però la verità è che non puoi intossicare la vita di giovanissime persone umane con una stronzata del genere. Ma in generale c’era la tendenza a considerare ogni cosa come peccato, e credo sia ancora così. Una volta una maestra di catechismo, signorina attempata, assolutamente magra e urlatrice, durante una lezione di catechismo ci disse che per ogni messa che si perdeva alla domenica si dovevano scontare sette – dico sette – anni di purgatorio. Che sette anni te li danno per rapina a mano armata, violenza sessuale, peculato, ammesso che esista ancora. Comunque sia, a quel punto mi distrassi completamente dalla lezione di catechismo intento a fare sforzi di memoria per ricordare quante messe avevo perduto (una volta eravamo andati in campagna da mio zio, un’altra volta ero malato, un’altra volta ancora il giorno prima eravamo stati a una gita e ci siamo svegliati tardi, ecc…) e contemporaneamente cercavo di calcolare quanti anni di purgatorio dovevo farmi. Ed erano bruscolini rispetto a un compagno che veniva a messa ogni morte di papa e quel giorno, presente alla lezione, stava per sentirsi male per quanti anni di purgatorio gli toccavano.

giovedì, novembre 27, 2008

PICCOLE STORIE AFRICANE


Oggi inauguro questa nuova rubrica: Piccole storie africane. Non si tratta di racconti o favole dal continente nero (vi ho sentito, avete detto paraponzi-ponzi-pò) ma di brevi reportage da chi ogni tanto in Africa ci ha bazzicato. Non a Malindi o a Zanzibar ma a Ismani, lavorando in una missione nel cuore della Tanzania, dove i bambini vanno scalzi, si mangia solo riso o polenta di mais e l’AIDS se li sta mangiando vivi. Dove le famiglie vivono in case di fango e paglia senza luce, senza acqua, senza niente; dove non ci sono strade asfaltate, solo sentieri battuti, e andare da un posto a un altro è estremamente problematico. A Ismani le condizioni igienico-sanitarie sono precarie e l'alimentazione insufficiente, a causa dei frequenti periodi di siccità, la qual cosa rende la popolazione particolarmente soggetta alle più gravi malattie tipiche dell'Africa tropicale. La Tanzania, infatti, è la nazione con il più alto numero di morti di malaria. Metteteci pure la carenza di strutture ospedaliere, di personale medico, di medicine e vaccini, ed ecco spiegato l'altissimo tasso di mortalità infantile. Meno male che adesso fanno un bel G8 per discutere dei problemi del terzo mondo, quindi per la Tanzania la sofferenza è pressoché finita.
Vorrei raccontare di fatti, cose, persone che fanno parte del quotidiano di quel posto e per un breve periodo, quale può essere un mese, anche del mio e di coloro che sono con me. Un quotidiano e un posto certamente molto diversi dai nostri e che spesso stentiamo a credere e a capire. Anche a trovarsi lì, fianco a fianco con chi a Ismani ci vive 365 giorni l’anno, non è semplice capire come si possa vivere in certe condizioni. Io non so di chi siano le colpe, ammesso che ce ne siano, fatto sta che tutta questa differenza di vita mi fa male. Ogni volta che vado in Africa, e dall’Africa ritorno, mi assale un gran senso di frustrazione. Di forte impotenza. Sembra che il lavoro di un mese, lavoro duro, pesante, sia completamente inutile. Mi volto indietro e vedo le cose esattamente come le avevamo trovate quando siamo arrivati. C’è talmente tanto da fare che quello che si fa è nulla. La miseria, il bisogno, le malattie, i fastidi, la morte sono cose che noi non riusciamo nemmeno a scalfire. Nonostante tutta la buona volontà. Ma l’Africa è sola e la buona volontà dei pochi singoli è veramente poca cosa. Non so se ci siano colpe, dicevo, e chi le abbia. Forse in Africa ho imparato questa cosa: il fatalismo. Quello che ti fa credere che le cose sono sempre state così e che le differenze ci sono sempre state e sempre ci saranno. Sebbene io sappia in cuor mio che non è questa la verità. Ma almeno che non se ne parli. Che si taccia sull’Africa. Che non si sprechino fiumi di inchiostro e di parole quando si sa che non si vuole cambiare nulla.

Le gemelline di Usolanga
Usolanga è un villaggio piuttosto lontano da Ismani, attorno al quale gravitano altri cinque-sei villaggi, nella zona cosiddetta malenga makali, l’acqua amara. Vi operano delle missionarie laiche che con grande energia hanno messo su un piccolo ospedale di maternità e pediatria dove le donne vanno a partorire o a curare i bambini malati. Quando siamo andati giù nel 2004, tra le pazienti c’era anche una giovane donna masai con due gemelline nate di sette mesi, minuscole, pelle e ossa. In Tanzania i gemelli, al momento della nascita, vengono tutti chiamati Kulwa e Doto. La simpatica Rita, una delle volontarie – donnetta piemontese canuta e arzilla, che porta avanti anche un progetto di microcredito per le donne del luogo – era pessimista sulla loro sopravvivenza. Ma Ismani o Usolanga non sono posti dove possa abitare il pessimismo. Delle bottiglie riempite di acqua calda, avvolte in una kanga (la veste coloratissima delle donne africane), sono diventate una piccola incubatrice e hanno fatto sì che le piccole trovassero il calore che serviva loro per vincere la prima sfida della loro vita.
Nell’agosto del 2007, quando siamo tornati a Ismani abbiamo trovato due belle bambine gemelle masai di tre anni (foto), che vivono a Iguluba, nei pressi di Usolanga e le abbiamo riconosciute come Kulwa e Doto, le gemelline neonate di tre anni prima.

Maria Goretti
Nell’estate del 2003, una donna si presenta alla missione. Porta con sé una bambina di un paio d’anni, Sikudhani, in evidente stato di denutrizione. Il padre della piccola era morto qualche tempo prima, a causa dell’AIDS, e anche la mamma era lì lì per raggiungerlo. L’AIDS, che in Tanzania chiamano ukimuy, sta decimando la popolazione. Nelle zone interne del paese raggiunge percentuali impressionanti, l’aspettativa di vita è intorno ai 44 anni e vi è una stretta correlazione fra l'aumento della mortalità dei giovani adulti e il diffondersi della infezione da HIV/AIDS. L’ukimuy sta lasciando soli milioni di bambini. Magari accuditi dalle nonne, anziane e non più nelle condizioni di prendersi cura di loro. A questo scopo sta sorgendo Nyumba Yetu, la Nostra Casa, il villaggetto a ridosso della missione, che ospiterà bambini sieropositivi o affetti da AIDS o orfani di genitori deceduti per AIDS o, ancora, abbandonati. La mamma di Sikudhani lasciò la bambina alle cure delle suore della missione, che la accudirono amorevolmente, la fecero battezzare e le diedero il nome, invero orrendo, di Maria Goretti. In Africa sta un po’ accadendo come qui da noi quando chiamiamo i nostri figli Kevin o Sharon. Per noi c’è l’universo di Hollywood, per loro quello meno patinato dei santi cattolici. Nel 2004, scoprimmo che la bimba era sieropositiva e cercammo di portarla in Italia per farla curare. Ma le restrizioni delle leggi tanzaniane e italiane non permisero che ciò si realizzasse. Adesso Maria Goretti è ospite di Nyumba Yetu, dove vive serenamente la sua vita di bambina.

martedì, novembre 25, 2008

CLASSI PONTE


Sì alle classi ghett… ups… ponte. Sì alle classi ponte. Lo dice Silvio Berlusconi, e chi se no?, difendendo la proposta della Lega di ammucchiare in classi differenziali gli alunni extracomunitari. Il governo, come sempre per il bene della nazione, ha varato questa proposta secondo la quale, per favorire l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri, è meglio metterli in classi speciali in cui possano intanto imparare l’italiano. Poi si vedrà. Io ho sempre saputo che per meglio imparare la lingua di un popolo si deve stare il più possibile a contatto di quel popolo, soprattutto per quel che riguarda le abitudini linguistiche. E invece pare non sia vero: i ragazzini stranieri meglio toglierli dal contatto con gli altri bambini, dicono i nostri governanti, solo così possono imparare meglio la lingua. Sta proprio qui la portata rivoluzionaria della proposta leghista. Solita salva di improperi contro la sinistra becera che non comprende l’enorme rivoluzione di questa proposta e la taccia di razzismo e xenofobia. Intanto, come si può definire razzista una proposta fatta dalla Lega? Non solo, ma poi è ovvio che una proposta di questo genere poggia obbligatoriamente su una ricerca scientifica, di carattere linguistico-cognitivo-pedagogico, che certamente il governo avrà commissionato a qualche società del settore o magari a un’università. La feconda sinergia tra la scienza, la cultura e la politica ha ancora una volta prodotto i suoi frutti a beneficio di questo popolo così fortunato che è quello italiano. Ecco perché sorprende la presa di posizione molto netta di alcune società di studi – la SIG, Società Italiana di Glottologia, la SLI, Società di Linguistica Italiana, l’AItLA, Associazione Italiana di Linguistica Applicata e il GISCEL, Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica – che stroncano decisamente la mozione “Cota ed altri n. 1-00033” definendola “non chiara nelle premesse, poco perspicua nel metodo, inefficace nella soluzione”. In una parola, una cagata. Ho letto la nota delle suddette società, ricca e completa, e l’ho trovata illuminante sotto molti aspetti. Ecco perché invito tutti a leggerla.
Naturalmente questo è un intervento di carattere squisitamente scientifico che non sfiora la cosa dal punto di vista politico. E del resto non era loro compito farlo. Il punto di vista politico è lasciato alla riflessione di ognuno di noi, a seconda della propria sensibilità, politica, umana, etc… Ovviamente, io che non credo né nella preparazione in campo linguistico e pedagogico del leghista Cota e compagnia cantante, né nella loro buona fede, stronco dal canto mio questa proposta definendola razzista, oltre che priva di fondamento scientifico. L’idea base è quella di creare classi ghetto, che tengano separati i nostri figli dai figli di nessuno. È il ritorno dell’apartheid in quest’Italia fascista che giorno per giorno dimentica anche i valori fondanti della sua Costituzione.
Ho solo una domanda: se in una scuola arriva un bambino americano, fai conto il figlio di un funzionario dell’ambasciata, in quanto extracomunitario verrà messo coi piccoli tunisini, pakistani e peruviani oppure guarda caso per lui scatterà la famosa legge non scritta secondo la quale per imparare bene la lingua di un popolo è meglio stare a contatto di quel popolo?

lunedì, novembre 24, 2008

I PROSSIMI SCHERZI DI SILVIO


Ragazzi, tenetevi pronti. Il premier più simpatico della terra ha in serbo altre numerose sorprese per far sganasciare dalle risate i capi di stato e di governo di tutto il mondo e per farci fare delle sonore figure di merda. Dopo il cucù ad Angela Merkel, il giocondo Silvio sta pensando ad altre attrattive per allietare i noiosi incontri al vertice ai quali è costretto, poverino, a partecipare. Intanto c’è da dire che lui al vertice coi tedeschi aveva anche portato il righello per misurarsi i piselli cogli altri – un classico da scuole medie – ma poi si è ricordato che c’era la Merkel e quindi non si poteva fare. È uno col senso della misura, lui.
Intanto ha deciso che da ora in poi andrà alle riunioni internazionali indossando il rodatissimo tris occhiali-nasone-baffi e si presenterà gridando “Sono Groucho Marx, che è sempre meglio di Karl". Poi, ha deciso che metterà il cuscino che scoreggia sotto la sedia di papa Ratzinger, la prossima volta che lo incontra. Da sbellicarsi, già rido. Dice che Benedetto XVI è uno che non se la prende, uno che ha un enorme senso dell’humor per cui, sì, il cuscino è perfetto. Se il papa dovesse arrabbiarsi, tante volte!, c’è sempre pronto un bonus per le scuole cattoliche e vedi se non gli passa la rabbia e non gli viene davvero da ridere.
Ha deciso, Silvio, che quando incontrerà i vertici delle comunità ebraiche, si presenterà con la maschera di Hitler (facendo cucù, naturalmente) e gli canterà una di quelle divertentissime canzoncine che spopolavano su YouTube fino a qualche giorno fa ma che sono state cancellate per una pedante interpretazione di quella becera legge secondo cui l’apologia di fascismo, e di nazismo, in Italia è reato. Eccome se gliela canterà. I rabbini si schianteranno dal ridere. Non ha ancora deciso se gliela farà mimare o magari li coinvolgerà in un trenino ma la canzoncina gliela canta di sicuro.
Quando rivedrà per l’ultima volta il suo amico George W., poi, Silvio verrà fuori con la madre di tutte le sorprese: la puzzolina. Sgancerà fialette a manetta e poi farà finta di essersi lasciato andare. Da smascellarsi. Gli hanno detto che di fronte all’odore di merda che promana dall’ex presidente degli USA, la bombetta puzzolente non può che migliorare la situazione ma questa Silvio non l’ha capita. Che anima bella.
E infine ha in serbo tutto il campionario delle amenità da festa di carnevale. Avrà un fiore con spruzzino all’occhiello e al momento delle firme tirerà fuori la penna con inchiostro simpatico e lo spruzzerà sulla giacca di qualche dignitario; alle giovani e belle interpreti farà vedere il dito col finto chiodo conficcato; e poi sarà un tripudio di polveri pruritine e starnutine, di ferite finte e stelle filanti spray, parrucche, maschere e lingue di menelik. Minchia che ridere.

venerdì, novembre 21, 2008

SALVATE IL SOLDATO VILLARI


Non sono sicurissimo se sia una sceneggiatura di una commedia all’italiana ambientata nel mondo della politica (starring Jerry Calà) o se stia succedendo davvero nell’Italia democratica degli anni 2000. Nel primo caso può essere il film di Natale (e allora ci vuole una spruzzatina di gnocca ma con Berlusconi in giro stiamo tranquilli); se invece è la realtà, allora siamo ancora una volta nella cacca e stavolta tocca comprarsi un bel salvagente perché mi pare che ci stiamo abituando, tanto vale cercare di rimanere a galla.
Allora, vediamo se ho capito bene. Il presidente della commissione di vigilanza sulla RAI “tocca” all’opposizione. Giusto? Bene, quindi doveva essere l’opposizione a sceglierlo, no? Sì. E l’opposizione aveva scelto Leoluca Orlando Cascio da Palermo, dell’Italia dei Valori di Tonino Di Pietro, vero? Verissimo. Ma quelli del Popolo della Libertà (rimane sempre una bellissima parola, nonostante tutto), poiché sono loro che comandano e fanno il cavolo che gli pare, hanno deciso di sparigliare le carte all’opposizione, fregarsene dei patti ed eleggere uno che non c’entrava niente, uno che sembrava passato di lì per caso: Riccardo Villari (foto), membro del Partito Democratico, l’alleanza di centro-sinistra che tanti successi sta mietendo da un po’ di tempo a questa parte. Apriti cielo! Villari no – è il PD che lo dice – non erano questi i patti, il candidato lo scegliamo noi. E inizia così un balletto stucchevole sul nome del buon Villari, il quale, più passa il tempo e meno sembra deciso a lasciare la sua bella poltroncina acquisita senza neanche dover fare chissà quale fatica.
Nel frattempo i due partiti trovano un accordo su un altro nome: Sergio Zavoli, pluriottuagenario senatore del PD, ancorché figura indubitabilmente seria e affidabile, oltre che uomo di televisione.
Tonino intanto si chiama fuori da questi giochini accusando Berlusconi di essere un corruttore della politica (ma vedi che gli viene in mente a quello lì). Silvio lo accusa in TV, dicendogli di denunciarlo sennò lo avrebbe querelato lui (si è capita questa frase?). Ma che denunci a fare Berlusconi? Quello si è fatto fare una legge apposita per la quale anche se lo denuncia il papa in persona, gli fanno un baffo. Comunque.
Dove eravamo arrivati? Allora, va bene Zavoli? Sì? Va bene? Va bene! A chi va bene? Non certo a Villari, che nel frattempo conferma a se stesso e all’Italia intera che il presidente “democraticamente” eletto è lui e lui non ha nessuna intenzione di andarsene. Dagli torto. Riapriti cielo! Il PD minaccia di cacciarlo via dal partito e di fatto lo fa: Villari non è più un piddino (Latorre, quello che passa pizzini in TV agli odiati pidiellini, sì). Anche il PdL, dopo averlo eletto per sfregio comincia a piagnucolargli appresso: “E dai, dimettiti, mi’ però che sei, perché fai così, amunì, finiscila, dimettiti”. Niente da fare. Pare che alla buvette di Montecitorio (sostiene Repubblica), tra un pennette-gorgonzola-e-pistacchio e un vitellino-in-salsa-di-limoncello, due senatori abbiano detto di Villari: "Ricordi che diceva sempre? Nel vocabolario di un democristiano la parola dimissioni non esiste".
Questi sono valori, altro che Tonino.

giovedì, novembre 20, 2008

VIGNETTINE







(Thanks to Mauro Biani and Nico Pillinini)


DOLCE CUOR DEL MIO GESU’


Alla fine ce l’ha fatta, l’ex onorevole dell'UDC Luca Volontè, fondamentalista cattolico, a farsi pubblicare l'imperdibile volume sulle giaculatorie. Egli chiese aiuto a parroci e parrini vari affinché gliene segnalassero alcune. In qusta sua ricerca, a un certo punto, incappò in don Paolo Farinella, prete a Genova. Riporto lo scambio epistolare tra i due. La risposta del nostro parrinazzo è una delle cose più divertenti che abbia letto negli ultimi anni.

***
1) Lettera di Volontè (foto) a don Paolo Farinella

Egregio Signor Parroco,
sono [sic!] a disturbarla per chiederle la cortesia di inviarmi, se possibile con sollecitudine, una giaculatoria, di quelle che insegnavano le nonne ai nipotini. Io le ho imparate così e così le insegno alle mie figlie. Purtroppo vedo che questa sana memoria cristiana, che ci accompagna durante la giornata, và [sic!] scomparendo e rischia così di finire una ricca e proficua “trasmissione di fede”.
Perciò mi sono deciso a chiederle una (o più) “giaculatorie” che insieme a quelle dei suoi confratelli delle altre parrocchie italiane, vorrei raccogliere in un volumetto semplice che penso utile ed edificante. Confido nel potere aver una sua risposta entro il mese di luglio. Spero di averla convinta e non averla disturbata,
Suo in Cristo
Luca Volontè


2) La risposta di don Paolo Farinella (foto)

Sig. Luca Volontà – Camera dei Deputati
Roma
e p.c.
ad una marea di amiche e amici che prego di diffondere ciascuno con i propri mezzi via e-mail

Lei non mi conosce perché se mi conoscesse non mi avrebbe scritto la delirante richiesta, di cui sopra. In quanto cristiano la ritengo responsabile in solido dello sfascio dell'Italia in cui il governo Berlusconi da lei e dal suo partito sostenuto e condiviso anche in appoggio a leggi immorali totalmente in contrasto con la dottrina della Chiesa, quella Chiesa di cui lei ora si fregia per convenienza partitica, raccogliendo “giaculatorie” da pubblicare, mi pare di capire, in un libro, non per le sue figliole (poverette!), ma per inviarlo come propaganda a tutte le parrocchie italiane e istituti religiosi, maschili e femminili, credendo così di millantare un credito che eticamente lei ha perso il giorno in cui ha votato la prima legge ad personam, favorendo gli interessi personali e di casta del deputato Berlusconi e famigli. D'altronde, anche nel suo partito, lo stesso segretario Follini si è dissociato, sebbene in ritardo e per questo lo avete dimissionato. Dal punto di vista della morale cristiana è ladro tanto chi ruba quanto chi para il sacco. Lei di sacchi ne ha parati uno stock intero in cinque anni. Da cattolico?
Ogni volta diceva una “giaculatoria” per non rischiare di fare “finire una ricca e proficua “trasmissione della fede””? Quando ha votato il conflitto d'interessi quale giaculatoria ha detto, potrebbe inviarmela? O per la legge sulle tv del padrone, a chi ha chiesto protezione? A santa Chiara? A santa Scura? O a Santa Opaca?
La “sollecitudine” che lei invoca per inviarle le “giaculatorie”, la impegni più proficuamente a meritarsi il lauto stipendio (12.000?/15.000? euro al mese?) che noi con le nostre tasse le paghiamo perché serva il paese e non perché si preoccupi della “trasmissione della fede”. Lei è stato eletto non per assemblare giaculatorie, ma per servire il popolo sovrano, facendo una opposizione legittima ma proporzionata al dovere della maggioranza di governare il Paese, specialmente nello stato comatoso in cui voi lo avete lasciato.
Se lei ha imparato le giaculatorie da piccolo, le reciti in silenzio e non le sbandieri in piazza perché così fanno anche gli ipocriti e i pagani: per farsi vedere e per averne un utile. Lei vorrebbe farmi credere che è preoccupato per la “trasmissione della fede”? Via, sig. deputato! Lei crede veramente che io sia così stupido da non capire il suo diabolico piano?
Lei ha perso le elezioni e il potere, vuole mantenere i contatti con quel bacino di riferimento cattolico che sono le parrocchie (la maggior parte delle quali sono da lei distanti, tanto per precisare, ovvia!) e accreditarsi come deputato credente e praticante fino al punto da raccogliere “giaculatorie” e pubblicarle con il suo nome e cognome (Andreotti docet!) e fare così propaganda sistematica per i gonzi che possono cascarci.
Vedo anche che lei ha fretta in questa santa fatica editoriale se mi chiede una giaculatoria entro luglio: forse che vanno in scadenza come il tonno e l'insalata?
Io, invece, Paolo Farinella, prete di Genova, elettore e quindi pro quota parte attiva del popolo sovrano di cui lei è dipendente, considerato che ha scritto con la carta intestata della Camera (quindi gratuita), chiedo a lei che ha l'obbligo morale e giuridico di rispondere:
1. Ritiene lei che la raccolta delle giaculatorie, una per parrocchia di tutta Italia (circa 40.000) sia una priorità essenziale ed esiziale per la sopravvivenza del popolo che lo ha eletto al Parlamento? Presenti un disegno di legge, sia discusso in commissione e in Camera e si voti sulla proposta e sulla copertura finanziaria (forse si ridurranno le pensioni minime perché con una giaculatoria al giorno gli anziani riescono a levare il medico di torno?).
2. Se la sua iniziativa è privata, perché usa la carta intestata della Camera che le compete solo nell'esercizio della sua funzione di deputato che nulla a che a fare con questa stupida e ignorante iniziativa? Non è questa la morale cattolica? Lei ha studiato una morale ad elastico?
3. Quante copie intende stamparne dell'eventuale libro di giaculatorie? A spese di chi? Per la spedizione eventuale alle parrocchie e/o ad altri chi paga le spese postali? Il francobollo di posta prioritaria che c'è sulla busta della sua missiva chi lo ha pagato? Lei di tasca sua o noi di tasca nostra per intromissione indebita delle sue mani? Lei ha il pudore ancora di dire che non avete aumentato le tasse e non avete messo le mani in tasca ai cittadini? Cosa sta facendo lei, non sta mettendo le mani nelle mie e altrui tasche?
4. Per preservare la “trasmissione della fede”, sarebbe meglio che non usasse i soldi dei cittadini, come esige la morale cattolica per spedire lettere sue personali o per stampare libri di giaculatorie inutili e fuorvianti. Deputato Volontè, “giaculi” meno e non sperperi i soldi degli Italiani e impegni il suo tempo a servizio del popolo. Per la morale cattolica con o senza giaculatorie, se così fosse, si chiama furto e, se lei persiste, furto aggravato che, secondo san Paolo è sanzionato con l'inferno.
Comunque voglio accontentarla e le mando la seguente giaculatoria che mi insegnò mio nonno oltre cinquant’anni fa: “Dai democratici cristiani che si servono della fede per i loro sporchi affari, liberaci, o Signore”, che io aggiorno per suo diletto e trastullo fideistico: “Dalla peste, dalla fame, dalla lebbra e dall’Udc liberaci, o Signore, ora e sempre. Amen”.
Spero che non ci sia più una prossima volta, ma se dovesse esserci, la prego di non firmarsi più “in Cristo, suo...” perché lei non è “mio”, essendo la schiavitù abolita da qualche secolo e poi perché è meglio non mischiare il suo partito con l'acqua santa in quanto incompatibili ex radice.
Mi saluti le sue figlie e esprima loro tutta la mia umana solidarietà in caso di una loro autonoma e sperabile rivolta filiale.

Paolo Farinella, prete
Genova
PS. Se lei dovesse pubblicare un libro di giaculatorie a spese pubbliche, io citerò in giudizio lei e aventi causa, chiedendo i danni materiali e morali. Un consiglio gratis: impegni il suo tempo libero a studiare la grammatica e la sintassi, sicuramente le sarà più utile.