venerdì, ottobre 24, 2008

IL CONCERTO DEGLI INTI ILLIMANI


Se c’è un concerto che ricorderò per sempre e mai dimenticherò – che poi è la stessa cosa – è il concerto che gli Inti Illimani tennero a Girgenti il 21 luglio del 1977. Ma io non ci sono andato! Ricordo bene la data perché è quella del mio compleanno, facevo quindici anni; avevo una voglia matta di andarci ma mio padre non mi mandò perché aveva paura potesse succedere qualcosa di spiacevole.
E come dargli torto, poverino, era il ’77. In Italia stava succedendo di tutto; c’erano le rivolte studentesche che imperversavano ma anche il terrorismo che purtroppo faceva vittime a mai finire. C’era davvero un diffuso clima di paura. Anche a Girgenti, città storicamente impermeabile a qualunque novità, c’erano venticelli di rivolta. Dove altrove c’è un uragano, a Girgenti c’è un venticello. Gli studenti si organizzavano, scendevano in piazza, contestavano, si scazzottavano, eccetera.
Sullo sfondo di tutto ciò si udivano delle canzoni in spagnolo, dalle musiche strane, fatte con flauti, tamburi e chitarrine, cantate da voci limpide ma sofferte. Erano gli Inti Illimani, quei sei ragazzi del gruppo musicale cileno scampato, per una spropositata botta di culo, al golpe della buonanima del generale Pinochet. Mentre a Santiago si usava lo stadio ma non per partite di pallone, loro si trovavano in tournee in Europa, per cui la fecero franca. Furono accettati come esuli dal nostro paese, gli fu anche riconosciuto l’asilo politico, e qui divennero praticamente delle star, i cantori della rivolta, la colonna sonora della protesta. Portavano il poncho e cantavano delle canzoni splendide, ne potrei citare – e cantare – a dozzine. Io ero come estasiato di fronte alle canzoni degli Inti Illimani, soprattutto quelle dell’LP Viva Chile, probabilmente le più celebri: Fiesta de San Benito, Simon Bolivar, Cancion del poder popular, Venceremos; e i brani strumentali: Alturas, Tatati, Longuita. Ma quella che più mi piaceva in assoluto era Rin del angelito. Questa mi faceva accapponare la pelle.
Che dire, gli Inti Illimani mi piacevano da morire. Avrei voluto conoscerli e dire loro quanto li ammiravo, soprattutto per quella storia dell’esilio. Anche se io non potevo dirmi di sinistra, anzi, questi qua mi facevano tremare. E non solo per la musica e i canti ma anche per la loro storia. Ricordo che l’anno prima, nel ’76, ci fu la Coppa Davis in cui l’Italia di Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli arrivò in finale e l’ultima fase si sarebbe dovuta giocare contro il Cile, proprio a casa loro. E lì ci fu un dibattito molto duro ma anche molto interessante sul boicottaggio dell’evento. La sinistra sosteneva che non si sarebbe dovuto andare perché andando si sarebbe, in qualche modo, legittimata la dittatura di Pinochet, mentre tutti gli altri sostanzialmente dicevano “chi se ne frega della dittatura, lo sport non c’entra niente con la politica, andiamo, per di più è quasi sicuro che portiamo a casa la coppa”. Ovviamente si andò e si portò a casa la coppa. Ricordo delle manifestazioni a Porta di Ponte, di quelli che sostenevano il boicottaggio.
E in generale non passava giorno in cui non capitava qualcosa di grave. Non avevo la precisa cognizione di cosa stesse succedendo nel nostro Paese ma avevo la certezza che ci trovavamo in un periodo piuttosto movimentato. In questo turbolento contesto storico si inserì il rifiuto di mio padre a mandarmi al concerto degli Inti Illimani. Soffrii molto, davvero avrei voluto andarci. A quel concerto non successe nulla. Seppi poi che tutto era filato liscio e non c’era stato nulla di anormale. Ma davvero, a distanza di trent’anni, non riesco a dar torto a mio padre né ad avergliene. Si preoccupava assai e non aveva tutti i torti. La mia tristezza fu mitigata solo da un gesto molto carino di una mia zia, che mi regalò il libro con le canzoni degli Inti Illimani come dono per il mio compleanno. Libro che tuttora conservo come fosse una reliquia, fai conto la lingua di Sant’Antonio. Ogni volta che mi capita tra le mani, ripenso a quel concerto, il più importante della mia vita. Il concerto al quale non andai.
Quest’estate sono passato dal Cile. All’aeroporto di Calama, una piccola città del nord, vicino a San Pedro de Atacama, su uno stand del duty free ho visto un CD. Era Viva Chile degli Inti Illimani. L’avrei comprato anche se fosse costato una fortuna. La mia felicità ve la può raccontare solo Roberta, mia moglie. Chiedete a lei.

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