venerdì, ottobre 31, 2008

VILLA DEL SOLE


Stamattina sono passato da Villa del Sole. Da fuori, per l’esattezza, visto che è chiusa ormai da anni. E mi ha preso un senso di sconforto tremendo. È una villa comunale, a Girgenti, come quelle che ciascuna città del mondo possiede e tiene aperte perché i nonni ci portino i nipotini a giocare, i ragazzi ci giochino a pallone, le coppiette ci vadano a passeggiare, gli anziani ci si incontrino a parlare dei vecchi tempi. Chiusa. Non mi abituerò mai a queste cose di questa città. Come si fa a tenere chiusa una villetta comunale?
Da sopra, da dove mi trovavo io, in via Crispi, vedevo le aiuole abbandonate, la vasca vuota, i muri scrostati, calcinacci, immondizie e dappertutto un senso di desolazione. Così, porca troia, mi sono messo a pensare e a ricordare. A quando da bambini ci andavamo a giocare, a correre tra i vialetti; entravamo e uscivamo dal labirinto fatto di siepi alte. E poi la vasca coi pesci rossi e i cigni e le paperelle. Una volta, di domenica, ci sono andato con un mio compagno di scuola, Giorgio, facevamo ancora le elementari, e lui salì sul bordo della vasca, si sporse un po’ e, splash, si fece stare una pezza. Mi sentii in dovere di accompagnarlo a casa, anche se era domenica e mi aspettavano per il pranzo. Infatti mio padre un po’ si arrabbiò ma io non gli dissi quello che era successo.
C’erano delle gabbie con degli animali. Puzzavano da fare spavento. In una gabbia c’erano delle scimmie, in un’altra una volpe, evidentemente con la testa fulminata. Correva ininterrottamente a perdifiato, da un lato all’altro del locale, sarà stato largo quattro-cinque metri. Davanti al muro spiccava un salto, appoggiava le zampe anteriori al muro, si dava una spinta all’indietro, si rimetteva a correre verso l’altra parete e stessa cosa di prima. Nel posto dove appoggiava i piedi c’erano due grandi macchie nere. Praticamente faceva su e giù per la gabbia come fosse un pendolo. Potevi restavi fermo incantato a guardarla per delle ore.
La Villa del Sole era il luogo privilegiato in cui si andava quando si “faceva luna”, cioè quando si marinava la scuola. Si passava lì la mattinata in attesa che si facesse l’ora di tornare a casa. Se la luna si faceva in coppia, allora ci si appartava tranquillamente sotto il ponticello, dove c’erano dei sedili in pietra adatti allo scopo.
Alla Villa del Sole facevano le feste dell’Unità. C’era un sacco di movimento, dibattiti, concerti, feste ma soprattutto… panini con la salsiccia. Sistemavano i barbecue sotto il campetto di pallacanestro e il fumo saliva denso e profumato. Sembrava li regalassero, per quanta folla c’era.
All’anfiteatro, o campetto, facevano sempre qualcosa. Mi ricordo una volta una gara di pattinaggio artistico, cui partecipavano coppie da varie parti d’Europa e c’era la pattinatrice tedesca che era la fine del mondo. Ma ricordo anche il concerto dei Camaleonti e forse anche Battiato a inizio carriera. Misero anche un busto di Pirandello, alla Villa del Sole. Lo scrittore era stranamente raffigurato nudo.
Ma prima o poi la riaprono, ne sono certo. Quando la decenza prenderà il sopravvento in questa città, la riapriranno, la Villa del Sole. È impossibile tenere chiusa una villetta comunale. E quando la riapriranno diranno quanto sono bravi e quanto lavorano per la città e la spacceranno come la cosa più straordinaria del mondo, ottenuta solo grazie al loro impegno e al loro amore per la città. Come se esistessero città senza giardinetti pubblici.

mercoledì, ottobre 29, 2008

DECRETO GELMINI


Il decreto Gelmini sulla distruzione definitiva della scuola italiana è passato oggi al Senato. Vane le proteste degli studenti che hanno cercato di far tornare il governo sui propri passi. Noi tireremo dritto, aveva annunciato Berlusconi, a corto di citazioni originali. La novità più eclatante, quella che manderà a casa 87.000 maestre, è la reintroduzione del maestro unico. Studi specializzati internazionali hanno appurato in questi anni che il modello della scuola elementare italiana, quello cioè in vigore fino a stamattina, è (anzi, è stato) un modello buono, che funzionava. Dei tre cicli di scuola era il migliore. Ecco perché l'hanno tolto. Dall’anno prossimo tornerà il maestro unico e tuttologo. Ma vediamo quali saranno le altre “innovazioni” per quanto riguarda la scuola elementare.

Il libro Cuore di Edmondo de Amicis. Esatto, viene riesumato il testo che tanto ci ha fatto appassionare nella nostra infanzia. Le avventure del piccolo scrivano fiorentino e dalla piccola vedetta lombarda terranno banco tra i giovanissimi italiani. Ovviamente il tutto andrà fatto con gli strumenti della più moderna tecnologia. Ad esempio, le scuole avranno delle sale di proiezione in 3D nelle quali i fanciulli, indossando gli appositi occhialini, potranno seguire il viaggio dagli Appennini alle Ande. Ogni classe verrà dotata di un Franti e un Garrone e a tutte le maestrine verrà dato in dotazione un cappellino con la penna rossa.

I pantaloni corti. Ripristinati i calzoni corti, anche d’inverno. Del resto, se li avevamo noi e non siamo morti di freddo, un motivo deve pur esserci. Il colore delle gambe dei giovinetti prenderà tutte le tonalità che vanno dal blu al viola ma pazienza. Sarà comunque possibile indossare i calzettoni di lana ma per gentile concessione della Lega, che ha fatto approvare il suo emendamento scaturito da una petizione popolare delle scuole della Val di Non. Saranno riammessi, e a furor di popolo, anche il passamontagna, il cappellino col paraorecchie e gli stivaletti di gomma per quando piove. Per quanto riguarda gli accessori, reintroduzione della cartella col pelo di cavallino, i pastelli e il portapastelli e la gomma pane.

L’Intrepido. Si potrà portare solo dentro la cartella ma non tirarlo fuori durante le ore di lezione. Naturalmente non si potrà mostrare particolare entusiasmo per Billy Bis e Lone Wolf, visto che non erano un esempio di morale per i nostri alunni, secondo quanto si legge in un comunicato della Lega. Riammessi anche Tiramolla, Nico e il gigante Grissino. Vietate le avventure di Timoteo e della strega Bacheca, a ragione ritenute diseducative. Veto del Vaticano per Geppo, il diavolo buono. E' pur sempre un diavolo, no?

Mazzola e Rivera. Ma se è per questo anche Bulgarelli, Juliano e Marino Perani. Di costoro, e di molti altri ancora, si studieranno vita, carriera e albo d’oro. Forti restrizioni sono annunciate per quel che riguarda le importazioni di campioni dall’estero. Soprattutto quelli di colore. Jair, ad esempio, dovrebbe sottoporsi al rito delle impronte digitali e passare la selezione attraverso un periodo di tirocinio in una squadra-ponte. Anche questo provvedimento è voluto dalla Lega, che viene ingiustamente accusata di razzismo dai soliti quattro comunisti (sempre meno, per fortuna). Come si può tacciare di razzismo qualcosa che viene proposto dalla Lega?

Bene, queste sono le novità del nuovo anno scolastico. Dimenticavo, verrà riistituita la figura del capoclasse e i più volenterosi verranno premiati con la medaglia.

martedì, ottobre 28, 2008

I MORTI


Credo di nutrire un’avversione profonda per questo Halloween che ogni anno si ripropone come se non aspettassimo altro. Sto sviluppando una repulsione per questa festa che, come per tutte le cose che arrivano dal mondo anglosassone in generale e dall’America in particolare, noi Italiani ci sentiamo in dovere morale di scimmiottare. A Girgenti ovviamente non festeggiavamo – e per quanto mi riguarda non lo faccio neanche adesso – Halloween, di cui non conoscevamo neppure l’esistenza. Noi festeggiavamo i morti.
***
Esatto, la festa che surclassava tutte le altre, lasciandole indietro con uno stacco praticamente incolmabile, era la festa dei morti. Due novembre: commemorazione dei defunti. Era la classica festa nella quale i bambini ricevevano regali. A Natale c’era un supplemento ma i morti era la festa per eccellenza. Non c’era partita, con tutto il rispetto, con Gesù bambino – o bambinello Gesù – pur molto caro a noi bambini di allora. (Occorre anche dire, appunto, che a Natale a noi i doni non li portava Babbo Natale ma Gesù bambino in persona.) Però i doni migliori, lo ripeto, ce li portavano i morti, niente da fare. Non so adesso com’è la situazione ma temo che non sia più come prima ovvero la festa dei morti credo sia passata in secondo piano, relegata al rango di festa di nicchia.
E quindi per i morti si ricevevano regali di ogni genere. ”Chi ti ficiru acchiari i morti?” – era la domanda classica quel giorno. Il regalo più gettonato era la pistola giocattolo, la Lori. Giocattolo mica tanto, in verità, perché le cartucce di plastica che si mettevano dentro, se ti colpivano ti facevano male. Infatti subito dopo i morti, le strade erano attraversate da nugoli di bambini che impugnavano pistole che neanche a Carson City. Addirittura nel giorno stesso, gli stessi cimiteri diventavano luoghi di inseguimenti e duelli armati.
I morti era anche una festa molto dolciaria, c’erano tanti prodotti che venivano consumati per questa ricorrenza. I più buoni in assoluto, accetto scommesse, erano e sono i frutti di martorana. I famosissimi e buonissimi pezzi di marzapane o pasta reale alla mandorla a forma di frutta od ortaggi. Noi li compravamo qualche giorno prima della festa dalle monache del monastero di Santo Spirito, nella zona vecchia di Girgenti, ed erano troppo buoni. Mio padre suonava al citofono e dopo un tempo biblico di attesa si sentiva una vocina: “Sia lodato Gesù Cristo”. Al “Sempre sia lodato” di mio padre, ci apriva il portone una suorina, perlopiù attempatella, che ci parlava da dietro una grata tipo confessionale (Santo Spirito è un monastero di clausura); poi ci faceva aspettare e ci andava a prendere l’attesa guantiera. Dopo un tempo in cui si sarebbe potuto attraversare il Sahara, la monachella tornava col vassoio. I tempi morti in quell’atmosfera monacale per me e i miei fratelli erano uno spasso assoluto, perché si doveva mantenere il silenzio e noi non ci pensavamo neppure. Lo stesso rito si ripeteva a Pasqua, quando tornavamo lì a prendere l’agnello pasquale o pecoro. Erano buonissimi anche i taralli, biscotti abbastanza teneri ricoperti da una glassa di zucchero con retrogusto al limone e i tatù variante al cacao dei taralli. Non erano niente ma niente male anche i rami di meli che, per quanto duri e gommosi, avevano quel gusto di miele che era una vera meraviglia e io ne avrei mangiati a pacchi. Erano terribili invece, o almeno a me non piacevano, i ‘nciminati, biscotti interamente ricoperti di giuggiulena (ovvero semi di sesamo), i carcagnetti o ossa di morto, durissimi e bicolore e i biscotti di San Martino, duri ma friabili e col seme di finocchio. Erano tutti dolciumi che probabilmente testimoniavano di un periodo di grande miseria nella nostra terra – non che ora navighiamo nell’oro – per cui si produceva quello che si poteva con pochi mezzi e pertanto con poca qualità. Ricordo però che i miei genitori ne andavano matti. Ma il re dei dolci dei morti era assolutamente ‘a pupa di zzuccaru, cioè una figura fatta completamente di zucchero, cava all’interno, raffigurante personaggi vari tipo messeri, dame, paladini, cavalieri debitamente a cavallo, ecc… Erano dipinti con colori sulla cui atossicità non scommetterei una lira. In seguito vi furono raffigurazioni di Zorro, Sandokan e altre minchiate di pari tenore. Attualmente i pupi di zzuccaru sono pressoché scomparsi dal mercato ma non dai nostri ricordi.
La mattina del fatidico due novembre, i morti ci facevano trovare tutti questi dolciumi nel salone di casa nostra, ovviamente coi regali che ci avevano portato (a noi quelli interessavano, mica i dolci). E devo dire che raramente restavamo delusi, i morti sapevano come farsi apprezzare. La mattina dei morti mio fratello ed io avevamo una sorta di orologio biologico che ci faceva svegliare verso le cinque-sei del mattino per andare a vedere i regali dei morti e ogni volta finiva che nostro padre o nostra madre si svegliava e ci rimandava a letto dicendo che l’indomani mattina avremmo avuto tutto il tempo per giocarci. Soprattutto quella volta che i morti ci fecero trovare degli strumenti musicali ed esattamente una fisarmonica a me e una batteria a mio fratello. Ora, finché trovavamo le macchinine telecomandate, la pista Polistil o il trenino Lima era un fatto, ma quando trovammo la fisarmonica e la batteria e ci mettemmo a suonare nel cuore della notte la cosa cambiò leggermente. Infatti ricordo che mio padre si incazzò della bella e ci rimandò a letto dove noi ridacchiando mestamente tornammo.
Il giorno dei morti si andava al cimitero, che ve lo dico a fare. Mia nonna e la zia Pietrina – sua sorella signorina, donnina straordinaria di nemmeno un metro e cinquanta – andavano molto per tempo, portandosi le sedioline pieghevoli. Si piazzavano davanti alla tomba dei nostri defunti – a Girgenti le tombe sono per lo più tombe di famiglia, pochi i loculi – e attaccavano a recitare rosari a manetta, inframmezzando le avemarie, i paternostri, e i glorialpadre con una preghiera che diceva: “Per le figlie per le spose che son tanto tormentate, Gesù mio, voi che le amate, consolatele per pietà”. La preghiera dell’eterno riposo godeva del privilegio del latino e mi piaceva il suono del requéscandimbacem – almeno io la capivo così. Infine arrivavano le litanie, la qual cosa, per una serie di motivi, mi faceva secco. Voglio dire, queste frasi latine, per me assolutamente incomprensibili, pronunziate chissà come, con quell’orapronòbbisi in mezzo, stimolavano in me una fantasia pazzesca: federisarca, ianuaceli, vassinzignedevozzionis, salussinfirmorum, eccetera eccetera; fino ad arrivare alle due litanie che mi stinnicchiavano dalle risate: virgo veneranda e virgo predicanda. Queste due mi facevano morire ed ero costretto a ridere in silenzio cercando di non farmi vedere ma ho rischiato per diversi anni il soffocamento.
E comunque mi piaceva tutta l’atmosfera del due novembre, l’odore dei ceri e l’odore dei fiori; la fila dal fioraio e la fila alla fontanella per riempire il cato d’acqua. Poi c’erano anche le orfanelle che offrivano preghiere per i defunti in cambio di un obolo, che però veniva versato alla suora. Mi piacevano anche le statue che c’erano e ci sono su alcune tombe; angeli inginocchiati o appoggiati a colonne spezzate o con catene in mano; redentori, crocifissi, risorti e cuoridigesù in varie pose e madonne a manetta; foto dei defunti su libri aperti con frasi esaltanti le virtù rare dello scomparso. Comunque se qualcuno ha la possibilità di andare al cimitero di Girgenti si può rendere conto da solo dell’agghiacciante bruttezza di quelle statuine.
Insomma era tutta un’atmosfera della quale ogni tanto mi tornano in mente dei brani e in linea di massima nonostante la solennità del momento, i miei fratelli e io per i morti ci ammazzavamo di risate.

venerdì, ottobre 24, 2008

IL CONCERTO DEGLI INTI ILLIMANI


Se c’è un concerto che ricorderò per sempre e mai dimenticherò – che poi è la stessa cosa – è il concerto che gli Inti Illimani tennero a Girgenti il 21 luglio del 1977. Ma io non ci sono andato! Ricordo bene la data perché è quella del mio compleanno, facevo quindici anni; avevo una voglia matta di andarci ma mio padre non mi mandò perché aveva paura potesse succedere qualcosa di spiacevole.
E come dargli torto, poverino, era il ’77. In Italia stava succedendo di tutto; c’erano le rivolte studentesche che imperversavano ma anche il terrorismo che purtroppo faceva vittime a mai finire. C’era davvero un diffuso clima di paura. Anche a Girgenti, città storicamente impermeabile a qualunque novità, c’erano venticelli di rivolta. Dove altrove c’è un uragano, a Girgenti c’è un venticello. Gli studenti si organizzavano, scendevano in piazza, contestavano, si scazzottavano, eccetera.
Sullo sfondo di tutto ciò si udivano delle canzoni in spagnolo, dalle musiche strane, fatte con flauti, tamburi e chitarrine, cantate da voci limpide ma sofferte. Erano gli Inti Illimani, quei sei ragazzi del gruppo musicale cileno scampato, per una spropositata botta di culo, al golpe della buonanima del generale Pinochet. Mentre a Santiago si usava lo stadio ma non per partite di pallone, loro si trovavano in tournee in Europa, per cui la fecero franca. Furono accettati come esuli dal nostro paese, gli fu anche riconosciuto l’asilo politico, e qui divennero praticamente delle star, i cantori della rivolta, la colonna sonora della protesta. Portavano il poncho e cantavano delle canzoni splendide, ne potrei citare – e cantare – a dozzine. Io ero come estasiato di fronte alle canzoni degli Inti Illimani, soprattutto quelle dell’LP Viva Chile, probabilmente le più celebri: Fiesta de San Benito, Simon Bolivar, Cancion del poder popular, Venceremos; e i brani strumentali: Alturas, Tatati, Longuita. Ma quella che più mi piaceva in assoluto era Rin del angelito. Questa mi faceva accapponare la pelle.
Che dire, gli Inti Illimani mi piacevano da morire. Avrei voluto conoscerli e dire loro quanto li ammiravo, soprattutto per quella storia dell’esilio. Anche se io non potevo dirmi di sinistra, anzi, questi qua mi facevano tremare. E non solo per la musica e i canti ma anche per la loro storia. Ricordo che l’anno prima, nel ’76, ci fu la Coppa Davis in cui l’Italia di Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli arrivò in finale e l’ultima fase si sarebbe dovuta giocare contro il Cile, proprio a casa loro. E lì ci fu un dibattito molto duro ma anche molto interessante sul boicottaggio dell’evento. La sinistra sosteneva che non si sarebbe dovuto andare perché andando si sarebbe, in qualche modo, legittimata la dittatura di Pinochet, mentre tutti gli altri sostanzialmente dicevano “chi se ne frega della dittatura, lo sport non c’entra niente con la politica, andiamo, per di più è quasi sicuro che portiamo a casa la coppa”. Ovviamente si andò e si portò a casa la coppa. Ricordo delle manifestazioni a Porta di Ponte, di quelli che sostenevano il boicottaggio.
E in generale non passava giorno in cui non capitava qualcosa di grave. Non avevo la precisa cognizione di cosa stesse succedendo nel nostro Paese ma avevo la certezza che ci trovavamo in un periodo piuttosto movimentato. In questo turbolento contesto storico si inserì il rifiuto di mio padre a mandarmi al concerto degli Inti Illimani. Soffrii molto, davvero avrei voluto andarci. A quel concerto non successe nulla. Seppi poi che tutto era filato liscio e non c’era stato nulla di anormale. Ma davvero, a distanza di trent’anni, non riesco a dar torto a mio padre né ad avergliene. Si preoccupava assai e non aveva tutti i torti. La mia tristezza fu mitigata solo da un gesto molto carino di una mia zia, che mi regalò il libro con le canzoni degli Inti Illimani come dono per il mio compleanno. Libro che tuttora conservo come fosse una reliquia, fai conto la lingua di Sant’Antonio. Ogni volta che mi capita tra le mani, ripenso a quel concerto, il più importante della mia vita. Il concerto al quale non andai.
Quest’estate sono passato dal Cile. All’aeroporto di Calama, una piccola città del nord, vicino a San Pedro de Atacama, su uno stand del duty free ho visto un CD. Era Viva Chile degli Inti Illimani. L’avrei comprato anche se fosse costato una fortuna. La mia felicità ve la può raccontare solo Roberta, mia moglie. Chiedete a lei.

mercoledì, ottobre 22, 2008

FELICITA'


Ömer Zülfü Livaneli – “Felicità” – Gremese Editore – Euro … (non lo so, me l’ha regalato mio fratello per il mio compleanno)

Ho sempre pensato, peraltro confortato dalla sincera testimonianza di altri della mia generazione, che la felicità fosse un bicchiere di vino con un panino, siccome cantato da uno dei miei intellettuali di riferimento: Albano Carrisi. Egli, incoraggiato dalla spalluccia ritmica di Romina e da più di un bicchiere di vino, indicava il percorso da seguire per raggiungere l’agognata meta.
Altra storia con i tre protagonisti del romanzo di Livaneli. Una ragazza, Meryem, viene stuprata dallo zio, una sorta di capo spirituale della famiglia, in un villaggio dell’Anatolia dell’est. Scoperto questo “peccato”, secondo i costumi locali, viene dapprima bandita dalla sua comunità (sparti!) e quindi condannata a morte. Un giovane, Cemal, cugino di Meryem (e figlio del di lei stupratore), di ritorno dalla leva dove ha servito come soldato combattente nella guerra contro i curdi, viene assoldato per compiere l’abbietta missione: quella di portare a Istanbul la cugina e lì ucciderla per riparare al peccato commesso. Un professore universitario, Irfan Kurudal, volto noto del mondo accademico e della televisione, fa perdere le sue tracce, lasciando la famiglia e il suo mondo dorato per intraprendere un viaggio in barca a vela per il Mar Egeo. Ed è proprio in mare che l’uomo conosce i due ragazzi e offre loro di lavorare a bordo. Questo incontro modificherà, e di molto, le vite dei tre personaggi.
Il tutto si svolge in Turchia, a mio parere il quarto protagonista del romanzo. La parte centrale del racconto è il viaggio che i due cugini compiono in treno, con le persone che conoscono e le storie con le quali vengono a contatto. Paese dibattuto tra l’antico e il nuovo, la Turchia, tra un Islam conservatore e fondamentalista – personificato dal giovane Cemal, che non recede neanche di fronte all’apertura morale eppure fortemente religiosa di Salahattin, suo compagno d’armi – e pulsioni di modernità e di apertura al cambiamento – che hanno in Irfan il loro corifeo. In mezzo ai due, e quindi alle due visioni del mondo, sta Meryem, con la sua curiosità e coi suoi cambi di vestiario. E alla fine sembra che sia solo la giovane a trovare la felicità, mentre gli altri due ripartono, senza una meta chiara.
È la Turchia di oggidì, un paese dove una ragazza stuprata deve morire ma dove altre ragazze vanno in giro svestite a prendere il sole; un paese che pressa alle porte dell’Europa ma che deve ancora aspettare. Aspettare che si sopiscano le pulsioni xenofobe di coloro che non vogliono un paese islamico dentro i loro confini o di coloro che attendono che essa si metta in linea con i diritti umani, soprattutto in tema di pena di morte.
E adesso un piccolo giochino. Io citerò una frase che si trova verso la fine del libro, frase che riguarda la Turchia, e voi mi dite quale altro paese del mondo vi viene in mente, ok? “In Turchia non è possibile influire su coloro che hanno il compito di prendere le decisioni, perché il popolo è sciocco e ingenuo. E in un paese dove il popolo è così, la democrazia non è tanto diversa da una dittatura o da una monarchia”. Vi giuro che parlava della Turchia!

martedì, ottobre 21, 2008

CIAO VITTORIO

"Forse il degrado della politica e delle sue parole sta proprio nell'agire pensando di essere soli e nel pensare solo a se stessi". (Vittorio Foa)

lunedì, ottobre 20, 2008

FITNESS

Io sono un tipo un tipo degli anni ’70. Lo dico normalmente per darmi un tono ma la verità è che sono pigro da fare spavento, l’accidia è la mia ragione di vita e ho una scandalosa propensione all’inattività! In più, vivo a Girgenti che, ammettiamolo, è sempre stata una città pigra. Il motto è, da sempre, ”lassa pèrdiri, compà”, un inno all’inerzia. Eppure anche Girgenti negli ultimi anni è diventata una città sportiva, atletica, in forma, dedita al jogging come al footing (credo siano la stessa cosa, tolto il fatto che la parola footing non esiste!), al fitness come al body-building, allo step come allo spinning e al fit-boxing. Tutto in inglese naturalmente. Larghe fasce di cittadini, non soltanto giovani, sono stati contagiati dalla febbre del benessere fisico al punto che dagli anni ’80 in poi c’è stato un proliferare di palestre anche molto belle e attrezzate.
OK, anch’io faccio parte in qualche maniera di questi neofiti della cultura del corpo. Dico in qualche maniera perché frequento una palestra ma con risultati men che mediocri. Perché in realtà non esiste al mondo persona più insensibile di me al richiamo della forma fisica: non sarò mai un bonazzo, ahimè, l’ho capito da tempo e mi sono messo il cuore in pace, per cui non vorrei perdere il mio tempo come se fossi lì lì per diventarlo. Preferirei restare a casa a leggere, guardare la TV, mangiare, vivaddio, o uscire, andare in Via Atenea, comprare qualcosa, al limite fare la spesa. Ma, no! Non è possibile. Mia sorella dice che devo mantenermi in forma, devo fare un po’ di movimento, perché fa bene ed è giusto così. E quindi mi costringe, lo ripeto, mi costringe ad andare in palestra.
Deve essere successo qualcosa in Italia a un certo punto della nostra storia, per cui abbiamo deciso che il nostro è un popolo oltre che di santi, poeti & navigatori anche di atleti. Deve essere la TV che ci rincretinisce con immagini di persone al 100% della forma.
Quindi mi sono avvicinato alle palestre, la qual cosa mi ha anche dato la possibilità di guardare dal di dentro questo mondo sicuramente divertente, colorato, musicale e oltremodo allegro. Ho iniziato con i pesi. Sì, perché se non si è mai stati in palestra, è con i pesi che bisogna iniziare. Io pensavo si facessero ancora quei begli esercizi a corpo libero che si facevano alle scuole medie ma mi sbagliavo. Quella è ormai preistoria! E così la prima volta che ho messo piede in una palestra sono stato accolto da una sorta di umanoide dalle spalle enormi rivelatosi poi giovanotto molto simpatico e amichevole, dal rassicurante nome: Totò. Nel giro di qualche mese ho preso confidenza con la pesistica e il body-building, non riuscendo tuttavia ad appassionarmi alla cosa. Cercavo di diventare bravo, guardavo gli altri e volevo imitarli ma rimanevo inesorabilmente indietro. Il fatto è che mi mancava totalmente la motivazione. Però in questa prima fase ho capito una cosa fondamentale e ho sbugiardato uno dei principali luoghi comuni che girano intorno alle palestre: in palestra si va per rilassarsi. “Io vengo perché mi scarico! Sto un paio d’ore e mi distendo!” Minchiate! Ho cercato, con la frequenza e l’applicazione, di dare un vero valore a queste frasi ma non ci sono riuscito. Non sono riuscito a vedere nulla di rilassante nello stare supino su una panca strettissima con un bilanciere tra le mani che ondeggia pericolosamente e fargli fare su e giù o nel sedermi su uno di quegli aggeggi infernali che servono a sviluppare i muscoli pettorali, col rischio di rimanervi incastrato. Non trovo distensivo massacrarsi con attrezzi sempre più pesanti, niente di divertente nello stare di fronte a uno specchio facendo sforzi sovrumani con dei pesantissimi manubri mentre l’istruttore Totò si avvicina, canticchiando canzoncine dei Camaleonti, per sibilarti in un orecchio “Carricàmu”. E certo, se non aumenti gradualmente il carico dei pesi non fai alcun progresso. Ma io non voglio fare progressi. No, no! Io voglio andare a casa e sdraiarmi sul divano, quello sì che mi distende!
Solo l’estate successiva ho capito però il perché di tanto successo del body-building. I ragazzi della mia e di altre palestre li vedevo a San Leone, passeggiando in spiaggia, coi loro muscoloni sodi, le braccia staccate dal corpo a causa della prepotenza dei bicipiti, costumini slip ridottissimi a mettere in rilievo i glutei e le cosce e magliettine, meglio se canottiere, di almeno due misure inferiori al giusto a sottolineare i muscoli del torace. Diciamo pure che più che il benessere del proprio corpo, probabilmente si cerca il benessere degli occhi. Altrui! Allora sì che mi fu chiaro il perché di tanto accanimento ai pesi.
Sennonché, dopo due anni di attività pesistica forzosa mi sono concesso due anni di sosta (mi pare equo, no?): sono andato fuori per lavoro e partendo ho giurato solennemente a mia sorella che non avrei messo piede in una palestra per tutto il periodo della mia lontananza da Girgenti. Tutto è andato secondo i programmi. La cosa che non avevo previsto è stato l’inconsulto ingrassamento subito dal mio corpo a causa di vigorosi, volontari tour de force gastronomici. Con conseguente, immediato ritorno in palestra. Me la sono voluta, sarebbe bastata un po’ di attenzione alle calorie in eccesso e forse me la sarei risparmiata. Si torna in palestra! E lì ho trovato una sorpresa inaspettata. Pare che l’epopea del body-building sia al tramonto; la nuova frontiera dello sforzo disumano (ma benefico e rilassante!) si chiama spinning. Mi dicono chiaramente che se non lo fai non sei nessuno. A Girgenti, ormai, non si parla d’altro, lo fanno tutti, per cui, chi sono io per oppormi all’ineluttabilità del destino? Non posso lasciarmi sfuggire quest’occasione, pertanto mi iscrivo, porca miseria, a spinning. Chiedo di che si tratta e mi spiegano con pazienza che è la simulazione di una passeggiata (hanno detto così, vi giuro) in bicicletta, per cui devo munirmi di calzoncini e possibilmente anche scarpette da ciclista. Ora, passi per i pantaloncini (che ho diligentemente comprato) ma, onestamente, le scarpe mi sembrano uno sproposito, per cui, vestito metà da ciclista e metà da scampagnata al Monte Cammarata inizio, di malavoglia, sia ben chiaro!, questa nuova avventura.
La lezione si svolge in una saletta occupata da dieci bike (no, non era la stessa cosa chiamarle biciclette o bici, si chiamano bike, va bene?), in fondo alla quale, su un piccolo podio, ma in posizione frontale, sta un’altra bike, quella dell’istruttore, e un’attrezzatura stereo. La bike: una via di mezzo tra la vecchia, cara cyclette e le nuove, ultramoderne bici da corsa, ha un manubrio a corna di bue maremmano e una rotella per regolare la resistenza alla pedalata. L’istruttore Alessandro è garbatissimo (per forza, sta per ammazzarci, almeno lo fa con gentilezza); vestito come Miguel Indurain detto el Navarro, indossa l’abbigliamento d’ordinanza dello spinner, una bandana glamour e un microfono da attore di musical visto che la lezione si svolge con sottofondo musicale e lui deve parlare e dare indicazioni per tutto il tempo. Sono quasi preoccupato, vi giuro. Si inizia con lo stretching che consiste nel preparare i muscoli allo spasimo al quale stanno per essere sottoposti e la musica è una di quelle soft, tipo new age, coi gabbiani e tutto il resto. In realtà mi mette un po’ d’ansia addosso; mi rilasso un po’ di più quando comincio a sentire un po’ di ritmo e la pedalata comincia ad andare in sincrono con la musica. “Si comincia a salire – esordisce il nostro uomo – mettete un po’ di resistenza”. Io, da absolute beginner, mi fido ciecamente dell’istruttore e metto un po’ di resistenza. Lo dice per diverse volte per cui alla fine i muscoli delle mie gambe cominciano a sentire la fatica. “Dovete cominciare a sentire la fatica” (perché, io che ho detto?), “facciamo un tratto di running”. Occorre innanzitutto familiarizzare con i termini: il running consiste nel fare dei tratti di strada (immaginaria) in piedi sui pedali mentre il jumping, di gran lunga la più temibile fra le posizioni dello spinning, è un andare ripetutamente su e giù dal sellino senza mai interrompere la pedalata, possibilmente a gran velocità e magari aumentando progressivamente la resistenza. Dopo tre quarti d’ora di running, jumping, salita a ritmo lento ma con resistenza da Cima Coppi, con la musica ormai a volume da luna-park e l’istruttore che ti urla di stringere la resistenza, arriva, inesorabile, la domanda: “Siete stanchi?”. “Ci puoi scommettere il culo” – mi verrebbe da rispondere se non fossi preceduto dagli altri compagni: “NOOO!” Come no? Cioè, voi non sareste stanchi? E perché? Io sono mezzo morto e voi non siete stanchi? Mi viene difficile pensare di essere l’unico che vuole andar via, che vuole smettere con ‘sta tortura. Mi sento male, basta!, voglio farmi la doccia e poi andare a casa a svaligiare il frigo. E quindi abbozzo un timido: “sssì”. Mi guardano tutti male; sono paonazzi, sudati come panettieri, sbuffano come locomotive, hanno il cuore a mille ma rispondono tutti no. Loro non sono stanchi! Ma ecco l’ultimo tratto; bisogna fare un’altra “salitina” con una bella resistenza e anzi ogni tanto, per soprammercato, anche un po’ di sprint, sennò che siamo venuti a fare, restavamo a casa a leggere il giornale, tanto vale (magari!). Raccolgo le mie ultime forze e salgo, sembro Chiappucci (il diablo, esatto), mi passano per la mente pensieri di ogni tipo, faccio l’ultimo tratto, riconosco tra me e me che comunque è uno sport molto elegante, un paio di sprint, sudato come un fabbro, fino a quando, risolutiva e attesa, arriva la voce di Alessandro che annuncia: “Togliete tutta quanta la resistenza, si inizia il tratto che ci porterà a casa”. “Io abito qui” mi verrebbe da dire, ma mi trattengo, il peggio è passato e stavolta è davvero finita. Facciamo solo un ultimo tratto defatigante (dice lui!) e un altro stretching finale prima di ricevere un battimani, che mi sa di leggera presa per il culo, da Alessandro. Mentre pulisco la bike (sì, anche i lavori domestici) penso per un momento alla doccia che mi aspetta da lì a qualche minuto e nella mia mente si affaccia un unico, irrisolto interrogativo: “Ma a me, chi cazzo me lo fa fare?”
Ora sono circa tre mesi che faccio spinning. Avrò perso, sì e no, un paio di etti, non di più. E quel ch’è peggio l’estate si avvicina. Rivedrò i “palestrati” che involontariamente si befferanno di me, del mio costume a pantaloncino e delle mie magliettine larghe. Passeggeranno altezzosi per il lido mentre io, pur non riuscendo a invidiarli, non avrò molto da mettere in mostra. Forse è vero: sono un tipo degli anni ’70.
***
Questo pezzo l’ho scritto a febbraio del 2001, quindi ormai un bel po’ di tempo fa. No, è per rassicurare tutti e dire che ormai sono uscito dal tunnel del fitness. Grazie per la comprensione.


venerdì, ottobre 17, 2008

LA MIA AKRAGAS




Dario Spagnoli – La mia Akragas. Quando i pali erano quadrati – (Biografia curata da Alessandro Todaro - Prefazione di Carlo Petrini) – Edizioni Il Fiorino – Euro 10,00.

Dario Spagnoli è un nome che dice poco. Un classico nome italiano, come Paolo Bianchi o Stefano Colombo. Potrebbe essere chiunque, Dario Spagnoli, un maestro elementare o un manager, un salumiere o un fisico nucleare, un sacerdote o un calciatore. Un calciatore, appunto, Spagnoli è un calciatore. Anzi, un ex calciatore. Per la precisione dell’Akragas degli anni ’70 del ‘900. Un ragazzo che lasciò la sua città, Modena, per venire a giocare a Girgenti, in serie D. Veniva dalle giovanili della Reggiana, in serie B, e magari pensava che l’Akragas potesse essere il trampolino di lancio per una carriera luminosa, come sognano i tanti ragazzi che giocano a pallone. Invece si è ritrovato con una società che li faceva abitare in un appartamento “stanze in famiglia” di via Callicratide e giocare in uno stadio polveroso e con i muri in conci di tufo “a vista”. Eppure…
Spagnoli ha scritto un libro per ricordare quegli anni, quella stagione splendida e irripetibile della sua e della nostra vita. È un libro di ricordi, di memorie e di grande, profonda nostalgia. Dario non fa mistero del fatto che lui vive di nostalgia. E la sua nostalgia è Girgenti e l’Akragas, la sua e nostra squadra. Quella che faceva battere il cuore a ognuno di noi quando andavamo al campo e vedevamo entrare gli uomini in biancazzurro sul terreno sterrato dello stadio Esseneto.
Tante storie compongono il libro di Dario Spagnoli. Dagli inizi al campetto dell’oratorio di Modena (dove i pali erano quadrati), alla Real Sitam, al periodo di Girgenti, città che gli promise tanto ma che alla fin fine è stata avara con lui. Come con tutti. E forse è proprio questo che incuriosisce nel libro di Spagnoli: il perché di tanto amore per una città e una squadra che gli hanno dato davvero poco, anche se, probabilmente, per lui quel poco è tanto. Ho parlato con Dario Spagnoli, qualche sera fa, in un gradevole paio d’ore seduti a un bar, insieme a Gaetano. È stato piacevolissimo sentirlo parlare, raccontare di quell’epoca, narrare storie, presenti nel libro ma anche no. Potresti ascoltarlo per delle ore, quello lì. È un fiume in piena di ricordi e ti fa appassionare a quello che racconta. Poi quando ci mette dentro qualche parola in siciliano, lui modenese, diventa irresistibile. Dice che per lui questa città è il ricordo dei suoi vent’anni, di quando aveva tanti sogni. E non basta pensare al fatto che non ha poi avuto quello che sognava. “Io tengo solo i ricordi belli” – dice Dario – e come dargli torto. E i ricordi sono quelli dell’esordio coi colori biancazzurri, dei suoi compagni, dei suoi allenatori e dei suoi presidenti, delle ragazze agrigentine (era un belloccio, Spagnoli). E in questo ricordo così appassionato, anche i ricordi brutti assumono una colorazione diversa. La retrocessione, gli allenatori che lo mandavano in panchina, i tifosi che lo beccavano, il ritorno a casa e la conseguente fine del suo rapporto col calcio giocato. Anche queste cose alla fine vengono messe dentro l’unico calderone del ricordo e nobilitate. È l’amore, ragazzi, Dario Spagnoli ama questa città e questa squadra e davanti all’amore rimaniamo tutti senza parole. Come quando ci si innamora di una donna brutta. Lo vediamo che è brutta, lo sappiamo, ma la amiamo lo stesso e nessuno mai riuscirà a spiegare i meccanismi dell’amore. Per fortuna.
Spagnoli ha riempito il libro di foto. Ragazzi poco più che ventenni con baffi, basettoni e capelli afro; calzoncini attillati e borselli; camicie aperte, colletti col pizzo e scarpe col tacco. Era la vita e la città degli anni ’70, quando Girgenti era diversa da adesso – e forse non peggiore di adesso. E la sentita prefazione di Alessandro Todaro, curatore del libro e tifoso appassionato dell’Akragas, ne dà un’efficace seppur breve testimonianza.
Bello, il libro di Dario Spagnoli. Non presuntuoso come potrebbe sembrare, se si pensa al fatto che ha giocato “solo” in serie D. Carlo Petrini, ex “grande” calciatore, nella sua bella prefazione al libro, sostiene che i ricordi sono gli stessi, non importa se hai giocato in serie A o in serie D. “Anzi, scrivere di una squadra meno titolata, aiuta a conservare la memoria dei momenti sportivi positivi che quella città ha vissuto”. Mi ha fatto piacere leggere il libro di Dario Spagnoli, La mia Akragas.

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Chi volesse, può contattare Dario Spagnoli all'indirizzo mail: dariospagnoli@libero.it.

giovedì, ottobre 16, 2008

IO SCIOPERO



Esatto. Domani io sciopero, e cu tuttu ‘u cori. L’agitazione, proclamata dai COBAS-Scuola, insieme a CUB e SdL, altre sigle del sindacalismo di base, è stata indetta per cercare di porre un argine alla dilagante prepotenza del governo e della ministra Gelmini in fatto di scuola. E di scuola pubblica. Perché sta proprio lì il problema: è in atto, ma non da adesso, lo smantellamento sistematico e scientifico della scuola pubblica. Capisco che la Gelmini in questa riforma c’entra più o meno quanto c’entriamo io e voi, cioè nulla, ma questo “contenimento della spesa per il pubblico impiego” è destabilizzante per la nostra scuola. Noi pensiamo che la scuola sia un elemento cardine sul quale si deve fondare il presente e soprattutto il futuro di una nazione. E lo Stato deve garantirla e migliorarla sempre più, allo scopo di assicurare a tutti una buona istruzione, soprattutto a chi se la passa peggio. Depotenziando la scuola pubblica si creeranno alunni di serie A – ovvero quelli che potranno avere assicurata un’istruzione in scuole private, dove non ci sono tagli, ma che anzi vengono foraggiate con denaro pubblico – e alunni di serie B – quelli cioè che per pochezza di mezzi dovranno accontentarsi della misera scuola pubblica. Poi ci sarebbero anche gli alunni di serie C: quelli delle scuole pubbliche del Sud.
Per la scuola occorrono investimenti, non tagli. Investire innanzitutto sulle strutture. Molte scuole vengono ospitate in edifici fatiscenti; strutture antiche, senza riscaldamento e con locali ormai vecchi; senza palestre o con locali inidonei adibiti a tale scopo; senza laboratori o aule di informatica o di tecnica. Per non parlare di quelle scuole ospitate in edifici di civile abitazione, per le quali gli enti locali sono costretti a sborsare esosi oneri d’affitto ai legittimi proprietari – uso comune nelle zone del Sud d’Italia – e che ovviamente non posseggono neanche uno dei requisiti di cui necessiterebbero.
Poi bisognerebbe investire negli insegnanti. Qui si vogliono investire “gli” insegnanti. Non soltanto pagandoli di più ma anche formandoli e preparandoli meglio. Brunetta dice che gli insegnanti italiani guadagnano troppo: non ha visto quelli tedeschi o francesi. Ma del resto da nazioni arretrate come la Francia o la Germania, cosa ti aspetti?
In dettaglio: il ritorno al “maestro unico” (e, perché no, anche al libro Cuore), con scomparsa di moduli e tempo pieno, comporterà il taglio di più di 80.000 insegnanti. Questo per la scuola elementare o primaria, come si chiama adesso. Nella scuola media, o secondaria di I grado, ci sarà la riduzione dell’orario settimanale a 29 ore, dalle 30 (fino addirittura a 33) attuali, con “risparmio” di 13-14.000 insegnanti. Si attuerà l’innalzamento del numero di alunni per classe (fino a 30-35 allievi) e si taglieranno le scuole con meno di 600 alunni. Nei piccoli centri, quelli montani per esempio, i ragazzini e le famiglie saranno penalizzati perché costretti a spostarsi nei centri più grossi.
Poi, per non dire della tragicità della situazione che stanno per varare, strombazzano la reintroduzione dell’obbligo del grembiulino e il voto di condotta. Ammazza! Queste sì che sono innovazioni.
Per tutto questo e per molto altro, tipo i tagli agli insegnanti di sostegno o le modalità per il reclutamento dei docenti,

IO SCIOPERO

mercoledì, ottobre 15, 2008

VIGNETTINA



Dal sito di coq baroque (http://coqbaroque.blogspot.com/).
E' necessario un commento? No, vero?



GIOCHINO AMERICANO

Vi propongo un giochino da ridere. O da piangere, dipende da come lo si guarda. Immaginate di essere Silvio Berlusconi e di trovarvi a Washington ad una visita ufficiale. Di fronte a George W. Bush, il vostro cuore scoppia di servile felicità. Gli date pacche sulle spalle per sancire fisicamente la vostra amicizia e per poco non gli ruzzolate addosso col leggio appresso. Cose di questo genere, insomma, che definiscono il nostro provincialismo e la nostra sudditanza. La vostra lingua, pertanto, si lascia andare, oltre che a un osceno slinguazzamento del deretano a stelle e strisce, anche a frasi in libertà. L’americano, mai così in basso in quanto a indice di popolarità, gradisce molto i vostri atti di ruffianeria molesta e anzi si mostra molto contento arrivando persino a dire che parlate un ottimo inglese. È un giochino a scelta multipla, chi di noi non ne ha mai fatto uno? Riporto le frasi di Silvio virgolettate e voi potete scegliere una delle tre opzioni date o scrivere casomai la vostra. Potete sbizzarrirvi, ok? Buon divertimento.

1. “La storia dirà che George W. Bush è stato un grande, grandissimo…”
a. stronzo
b. presidente degli Stati uniti
c. birichino
d. ________________________

2. “In lui non ho mai visto il calcolo del politico ma la spontaneità e la sincerità di colui che…”
a. te la sta buttando nel culo
b. crede in quello che fa
c. si inventerebbe le peggiori porcate pur di raggiungere uno scopo
d. ____________________________

3. “Sono stato onorato di cooperare con te, …”
a. vecchia spugna
b. uomo di grandi ideali e principi
c. brutto fijo de ‘na mignotta
d. _____________________________

4. “Il presidente Bush è un uomo di grandi principi, grandi ideali, grande visione, ma soprattutto uno che ha… “
a. avuto il grande culo di nascere figlio di Bush senior
b. il coraggio di perseguire questa visione
c. fatto affari con i Bin Laden
d. __________________________

5. “La nostra amicizia affonda nella…”
a. merda
b. comunanza dei valori
c. paraculaggine
d. _______________________

lunedì, ottobre 13, 2008

Que pasò hoy?

Stoccolma: Premio Nobel per l’economia all’americano Paul Krugman (nella foto è quello con la camicia azzurra), economista neo-keynesiano, teorico cioè dell'intervento dello Stato per regolare il mercato, e storico oppositore della politica economica ed estera di Bush. Non ho idea di chi possa essere questo personaggio ma dicono sia molto in gamba. E' diventato popolare (scopiazzo liberamente da Repubblica) soprattutto per i suoi attacchi a Bush, in particolare in occasione del taglio delle tasse (inutilmente gravoso per il bilancio pubblico, a detta di Krugman) e della guerra in Iraq. “Credo molto nel proseguimento del mio lavoro. Spero che questo non cambi troppo le cose”, è stato il commento a caldo di Krugman all'assegnazione del premio. Credo bisognasse avvisare il professore che se non lo voleva, il premio poteva anche rifiutarlo, eh? Ma soprattutto, vista la sua avversione rispetto a certe politiche del governo Bush, invece di dargli il premio adesso, non lo si poteva ascoltare prima? Niente niente ci risparmiavamo quella milionata di morti in Iraq.

Sofia: Cori fascisti e atti di violenza a Sofia durante la partita Italia-Bulgaria. I fascistelli hanno sparato la solita salva di cazzate su duce, italianità, fascismo. Stronzate di questo tenore, per intenderci. Il ministro La Russa condanna i fatti. Sul fascismo vuole essere l’unico a sparare minchiate. Possibile che quando qualche italiano va a Sofia, deve sempre combinare qualche cazzata?

domenica, ottobre 12, 2008

Que pasò hoy?



Congo: Totò Cuffaro si è recato nel paese africano per… cazzi suoi. Mi chiedo solo: Chi è che l’ha mandato a quel Paese?

Madrid: I giornali spagnoli hanno reso noto che il leader dell’opposizione, Mariano Rajoy, pizzicato in uno di quei fuorionda che ogni tanto fregano chi non sta attento, ha dichiarato che la parata militare alla quale avrebbe dovuto partecipare era una rottura di coglioni. ‘Mbé, dove sta la notizia?

Italia: Il governo Berlusconi raccoglie consensi unanimi. Gli italiani, dopo averlo consacrato re, si rendono conto che stanno per essere fregati. Non passa giorno che non vi sia una protesta, un corteo, una manifestazione contro questo allegro pugno di amici. In particolare il mondo della scuola è in fibrillazione. Insegnanti ma soprattutto – e per fortuna – studenti manifestano contro quella schifezza che è la riforma di quella ragazzina incompetente della ministra Gelmini che nel giro di pochi anni porterebbe alla chiusura di qualche migliaio di scuole e alla messa sulla strada di qualche decina di migliaia fra insegnanti e ATA. E del resto, come ha detto in questi giorni il ministro Brunetta, gli insegnanti italiani guadagnano troppo. “Bisognerebbe mandarli tutti a Montecitorio, lì sì che si lavora per un tozzo di pane” – ha aggiunto il ministro, passeggiando nervosamente sotto il letto.

sabato, ottobre 11, 2008

SERGIO COFFERATI


Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, decide di non ricandidarsi alla guida del capoluogo emiliano e di abbandonare la politica. Dopo quattro anni passati alla guida di Bologna, il “cinese” dice che vuol tornare a casa, a Genova, dove un figlioletto di pochi mesi, oltre che la sua giovane compagna, lo attende per essere spupazzato. Ogni tanto una bella notizia. Anzi, una notizia bella. Che un politico di successo – marpione anche lui, per carità – decida di allontanarsi dal troiaio nel quale è invischiato, ahò, datemi del pazzo, ma per me è qualcosa davanti alla quale bisogna togliersi tanto di cappello. E perché poi? Per fare il papà.
Niente più consigli comunali, quindi, ma pappe e biberon; basta delibere di giunta, da adesso pannolini scacazzati; stop alle visite ufficiali, da ora in poi a spasso col passeggino. Lo si vedrà al lungomare di Genova col suo fantolino piuttosto che in piazza San Petronio con le sua guardie del corpo. A me pare meglio assai.
A Bologna, come sempre capita in questi casi, ci sarà chi lo rimpiangerà, chi no e chi stapperà bottiglie di champagne. Il primo tappo a saltare probabilmente sarà nella sede di Rifondazione Comunista, per la quale Cofferati è stato il sindaco “sceriffo” e del quale non ha mai condiviso certe prese di posizione. I comunisti inviteranno certo nella loro sede anche i lavavetri, vero problema per la legalità nella città di Bologna. Il cinese condusse una vera e propria crociata contro di loro, rei di “dar fastidio agli automobilisti”. Decise pertanto di sguinzagliare contro di loro i vigili urbani, allo scopo di ristabilire la legalità. Come se quattro straccioni al semaforo possano metterla minimamente in crisi, la legalità. Nel solito vizio di guardare al dito quando questo indica la luna ci cadde anche il buon Cofferati, nonostante le buone intenzioni iniziali.
Ma tant’è! Auguro una bella nuova vita a Sergio Cofferati. All’uomo che all’epoca dei girotondi, per qualche tempo fu indicato come il possibile nuovo leader della sinistra italiana. Fu la promessa, mai mantenuta, di un riscatto della sinistra contro lo strapotere berlusconiano, prima che D’Alema gli facesse le scarpette e lo relegasse al ruolo di sindaco. Gli auguro di imparare tante belle cose dal suo figlioletto, tutte le cose che solo i bambini sanno insegnare. Magari potrà imparare ad avere più fiducia nelle persone; a guardare agli altri, chiunque essi siano, come delle persone; che impari ad abbracciare gli altri, come fanno i piccoli, piuttosto che a respingerli. E lo auguro a tutta la politica italiana, agli uomini e alle donne che per tornaconto personale o per autentica passione, sono impegnati – quando sono impegnati – per il bene comune. Che imparino dai bambini ad accontentarsi di una pallina. E a giocarci insieme agli altri.
Ho detto una stronzata?

venerdì, ottobre 10, 2008

Que pasò hoy?



Palermo: Un uomo è stato sorpreso a rubare un’automobile. Chi conosce Palermo sa che non c’è nulla di strano, accade ogni giorno. La stranezza sta nel fatto che il ladro, nella sella del suo scooter, conservava una copia della Divina Commedia. Dice che da quando ha visto Benigni leggerla in tv, non ne può fare a meno, la deve portare sempre con sé e leggerla nei ritagli di tempo. Cioè, fatemi capire, mentre ruba, tra un furto e un altro, lui legge Dante? Che bello, però. Non ci sono più i ladri di una volta. Prima rubava chi non aveva studiato, oggi rubano e nel frattempo studiano. Niente niente questo palermitano qua mi diventa ministro nel giro di due annetti.

Roma: Tremonti s’è incazzato. Me l’hanno fatto incazzare. Dice che qualcuno, a sua insaputa, ha infilato il decreto salvabancarottieri che dovrebbe parare il culo a fior di delinquenti, fai conto Geronzi, Tanzi, Cragnotti. Begli arnesi del capitalismo italiano, gente che ha ridotto sul lastrico diverse decine di migliaia di risparmiatori. Il buon Giulio, perciò, ha deciso: o il decreto o me; o se ne va il salvabancarottieri o me ne vado io. Verrebbe voglia di farlo passare, quel decreto lì. Berlusconi pure, dice che lui non ne sapeva niente. Mi sembra come quando da ragazzi andavamo alla Standa, che allora aveva anche il reparto alimentari, e mentre ‘sta massaia qua era girata dall’altra parte, uno di noi le infilava qualcosa dentro il carrello. Per cui la povera donnetta arrivava alla cassa e si ritrovava una marmellata o un dentifricio che lei non aveva mai preso. E magari si chiedeva come ci fosse finito, dentro al suo carrello.
E comunque mi pare che in questo periodo si parla tanto, forse troppo di etica. Nella finanza, nelle banche, nell’economia. Come se queste cose fossero davvero compatibili con l’etica. Si parla addirittura di etica nel governo. Sì, proprio il governo, quello italiano. E lo so, già vi sento ridere. Berlusconi che parla di etica; magari con Tremonti, Brunetta e, che ne so, Fitto o la Carfagna. È come se un gruppo di ayatollah si facesse i giri di rum e pera. O di tequila bum bum.

Palermo: Ancora Palermo, sì. Repubblica sta scoperchiando un merdaio nella politica siciliana, che di suo non aveva mai brillato per pulizia. Chi può, ossia assessori e consiglieri regionali, “imposta” qualcuno della sua famiglia, o qualche amico, alla Regione o in enti di vario genere. Il recordman in questo campo è un certo Scoma, assessore indovinate un po’ a che cosa? Alla famiglia. Anzi, alla famigghia. Questo con buona pace della campagna di moralizzazione sbandierata da Raffaele Lombardo. Anche in Sicilia è la stessa cosa che nel resto del Paese: la moralizzazione viene portata avanti dai peggiori zozzoni della politica e riguarda solo i cittadini. Schifio.

giovedì, ottobre 09, 2008

OPERA D'ARTE IN CANADA


Ho letto in questi giorni sul quotidiano on line agrigentonotizie.it, che il Canada chiede al Presidente della Provincia di Girgenti, un’opera d’arte siciliana da esporre al centro culturale Leonardo da Vinci, orgoglio degli italiani a Montreal e anche sede degli uffici di Casa Sicilia, punto di riferimento per la comunità di emigrati siciliani. Io non ho dubbi al riguardo: l’opera che meglio esprime il genio siciliano, ma soprattutto agrigentino, lasciatemelo dire, è il plastico dell’aeroporto di Racalmuto.
Pregevole opera plastica, di rara fattura, venne commissionata nel 2003, dall’allora Presidente uscente della Provincia Enzo Fontana, che lo presentò come spot elettorale all’opinione pubblica a pochi giorni dalle elezioni e dalla sua rielezione a presidente. Si sa, l’aeroporto non è stato fatto neanche nei successivi cinque anni di presidenza Fontana ma quel plastico è rimasto, appeso in verticale su una parete della sede dell’Amministrazione provinciale a testimonianza della faticosa progettualità messa in campo da quell’amministratore. E si sa ancora – è storia di questi giorni – che l’aeroporto non si farà MAI PIU’.
A questo punto cosa fare della pregevole opera? Io ne vorrei un pezzetto da appendere nel salotto di casa mia, proprio ad essere sinceri, però capisco che ci sono delle priorità. Quindi pensavo che si potrebbe vendere a pezzi su E-bay, magari per finanziare le trasferte del dott. Fontana, che nel frattempo è divenuto Deputato al Parlamento italiano e addirittura pare non ci rientri con le spese.
Ho sentito in giro delle altre proposte, tutte più o meno interessanti. Ad esempio un mio amico agronomo sostiene che per le caratteristiche che ha, il plastico potrebbe essere piantato sul sito di Racalmuto e, se regolarmente annaffiato, potrebbe far nascere, entro tre-quattro anni, un vero aeroporto di seconda classe, con tutti i servizi e tutti i comfort.
Poi arriva questa richiesta dal Canada e allora non ci sono dubbi. Il Canada dovrà avere il plastico. I nostri conterranei, che sono stati costretti ad emigrare e si sono fatti strada in una terra lontana e inospitale – so di qualcuno che addirittura è diventato ministro – dovranno avere un ricordo da parte di chi, sicuramente più fortunato di loro, è rimasto in questa terra a godere del sole, del mare e… basta.
Allora, Presidente D’Orsi, bando agli indugi, mandiamo il plastico oltremare e con esso anche la creduloneria e la dignità ancora una volta offesa degli agrigentini.


mercoledì, ottobre 08, 2008

EDIZIONE STRAORDINARIA

La mala mangiata! Stavamo cenando, io e Roberta, ed eravamo su Carràmba che sorpresa. Voi conoscete il mio debole per Raffaella e comunque c’era ‘sto tizio qua che non vedeva la sorella da trentadue anni. Manco entra questa cristiana, che veniva dall’Argentina, che attacca la musica del tg1 e la dicitura Edizione straordinaria. Mi sono cacato un sacco. Mi ricordo negli anni ’70, ogni tanto c’era un’edizione straordinaria del telegiornale e certamente c’era scappato il morto. A volte più di uno. Faccio un cenno a mia moglie e ci prepariamo al peggio.
È finito il Consiglio dei Ministri e c’è la conferenza stampa di Berlusconi, sulle banche, i mutui e la stabilità economica. Beh, veramente non so molto altro perché mentre io urlo parole indicibili, Roberta cambia canale. Troviamo una bella pubblicità, addirittura su Rete4, e ce la sorbiamo in santa pace. Siamo veramente incazzati, credo si sia toccato il fondo. Fanno l’edizione straordinario del telegiornale, quella che si fa in casi estremi, per dire che hanno fatto la riunione dei ministri e hanno deciso per il tuo futuro. Come sempre.
È un problema culturale, non politico. Stanno cercando di cambiarci la testa, ti fanno capire che il problema è talmente grosso – ed è grosso davvero ma è stato prodotto da loro e dal loro capitalismo di merda – che l’unico che ci può salvare è lui. Che schifo. Il fatto è che comandano loro. Hanno tutto in mano. Anche Raffaella.

martedì, ottobre 07, 2008

CONTRO LA PENA DI MORTE



Il 10 ottobre, quindi giovedì prossimo, anche ad Agrigento Amnesty International organizza la Giornata contro la pena di morte. L’appuntamento è alle ore 20,00 al Teatro della Posta Vecchia, in via Giambertoni, nel centro storico di Girgenti. È prevista una raccolta di firme per fermare la strage continua di esseri umani in tutte le parti del mondo. In seguito ci sarà la proiezione del film “La lettera”, di Luciano Canniro, con Vittoria Belvedere. (Se qualcuno poi vuol anche contribuire alle spese, noi non ci incazziamo affatto!)

lunedì, ottobre 06, 2008

Que pasò hoy?


Casal di Principe: Seriamente preoccupata per l’arrivo dei soldatini di Maroni, la camorra, come se nulla fosse, ha fatto altre vittime. L’offensiva dello Stato va che è una vera meraviglia. I giornalisti, non potendo andare dal Maroni a chiedergli come mai questi sbandierati provvedimenti contro la criminalità organizzata sono la solita bufala per i gonzi, vanno per le strade delle cittadine campane a chiedere alla popolazione notizie sulla camorra e robe di questo genere. Avendo come risposta il nulla: chi scappa davanti alla telecamera, chi dice di non saperne nulla, chi dice di non avere mai sentito nominare la parola camorra, etc…

Catania: Arrestato un anziano spacciatore di marijuana. L’uomo, un 67enne, ha dichiarato di aver iniziato questa attività per far fronte alle cure della moglie malata. “Con la pensione minima non ce la faccio”, ha dichiarato l’uomo. Ma come, non usufruisce del bonus da 400 euro annui per i pensionati? E non gli basta?

Roma: Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha accusato Veltroni e il PD di essere “sfascisti”. “Avete una esse in più”, ha tuonato il premier.

domenica, ottobre 05, 2008

Datti all'etica


Voglio (vorrei) che leggiate (che leggeste) questo articolo di Alessandro Robecchi, un grande del giornalismo ironico, pubblicato sul manifesto di oggi. Buon divertimento.

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Sono veramente dispiaciuto di essermi perso il convegno sull’etica dell’impresa organizzato da Barbara Berlusconi, presente Veronica Berlusconi: a quell’ora stavo colpevolmente andando a lavorare. Ho letto cronache e resoconti con apprensione, perché temevo che sui giornali l’accostamento di due parole come “etica” e “Berlusconi” provocasse la combustione delle pagine e forse, un domani, la fine del mondo. Mi sono fatto forza: i leoni che tengono alle gazzelle un seminario sulla corretta alimentazione è sempre uno spettacolo interessante. Organizzatrice: Barbara Berlusconi, così giovane e priva di mezzi che dev’essere stato per lei un vero eroismo organizzare un convegno. Relatori: il professore dell’Università San Raffaele che discuterà la tesi proprio con la studentessa Barbara, un dipendente del gruppo di famiglia (vicepresidente della Mondatori, il presidente è la sorella di Barbara) e il titolare della cattedra Lehman Brothers di finanza aziendale della Bocconi (mette i brividi solo a dirlo). Seduto al tavolo della presidenza, il giovane La Russa, figlio del ministro della difesa, in platea un Ligresti Junior, figlio del padrone di mezza città. L’etica non lo so, ma il quadretto sudamericano non è per niente male. Al centro della scena e della curiosità mediatica, Barbara e Veronica Berlusconi, rapite ed estasiate dal vento filosofico che spirava dal palco. Due eleganti signore sedute su una montagna di miliardi fatti con un’etica che i tribunali non possono discutere grazie al lodo Alfano, o magari caduta in prescrizione. A un potere conquistato con l’etica giornalistica di certi titoli de Il Giornale o con i telegiornali di famiglia. A un disegno culturale tracciato a forma di tette con l’etica di Lucignolo e consimili eticissime porcate. La prestigiosa Università Bocconi ospita e benedice. Il Corriere della Sera fa da cinegiornale stile anni Trenta. E l’etica? Ah, sì: Barbara Berlusconi ha fatto sapere di essere contraria al falso in bilancio. Wow! Non so se riuscirò a sopravvivere a così tanta etica!

sabato, ottobre 04, 2008

venerdì, ottobre 03, 2008

Que pasò hoy?



Roma: Un uomo, un cinese di 36 anni è stato aggredito da una cosiddetta baby gang. È sicuro che non c’è razzismo alla base del gesto. I ragazzi infatti mentre colpivano l’uomo continuavano a dargli dello sporco cinese. Possibile che in questo Paese ci laviamo solo noi? Possibile che siano tutti sporchi tranne noi? Duro intervento del sindaco Alemanno che, chiamato a commentare l’evento, ha detto: “Ragazzi, non disperdiamo le energie, concentriamoci sui negri”.

Barberino del Mugello (e resto d’Italia): Ieri tre operai sono morti in un cantiere dell’autostrada A1, nei pressi della località toscana, e tre in altre parti. Altri incidenti sul lavoro sono avvenuti in settimana in giro per l’Italia. È una vera emergenza. Silvio Berlusconi si è mostrato molto colpito dall’accaduto. Infatti, interrogato sull’argomento, il Premier ha detto, nell’ordine: “Abbiamo tolto i rifiuti a Napoli”; “Il lodo Alfano non è incostituzionale” e “In Italia non c’è nessun pericolo per la democrazia”.

Da qualche parte: Umberto Bossi ha detto che Berlusconi andrebbe bene per il Quirinale. La scelta, nella mente del capo della Lega, è stata molto sofferta. C’erano in lizza, infatti, anche Mimmo ‘o fetecchione, proprietario di un furgone bar, della provincia di Caserta ma da tempo residente a Caronno Pertusella; Sandrino Viganò da Cernusco sul Naviglio, buttafuori in una discoteca della Bassa, la signora Carolina Bo da Voghera, ovviamente casalinga e lo stesso Berlusconi. Dopo aver scritto i pro e i contro di ogni candidato sulla carta del culatello, il leader della Lega ha emesso il suo verdetto: Silvio Berlusconi dovrà essere il prossimo Capo dello Stato. Se lo dice lui...

giovedì, ottobre 02, 2008

La Carovana della Pace a Girgenti



Stamattina la Carovana Missionaria della Pace ha fatto tappa a Girgenti. Alle 10,30 un corteo è partito da Piazza Municipio e ha percorso tutta via Atenea per arrivare a Porta di Ponte. Lì qualcuno ha preso la parola e ha illustrato il significato della Carovana e i motivi per cui ogni anno si organizza questa manifestazione. Quest’anno si è voluto focalizzare l’attenzione della Marcia su tre aspetti principali. La Pace, ovviamente, che non è solo assenza di conflitti ma sforzo comune e quotidiano per tessere relazioni di amore e solidarietà. Poi l’acqua pubblica, da non privatizzare mai in quanto bene comune. Terzo, gli immigrati, che non sono un problema di ordine pubblico ma persone in carne e ossa che arrivano qui spinti dalla speranza di una vita migliore. Dopo, il corteo ha imboccato la via Gioeni sino alla piazzetta di fronte alla Mensa della Solidarietà. Dopo qualche altro intervento, la manifestazione ha visto il suo epilogo. Alla marcia hanno partecipato anche l’Arcivescovo e il Prefetto, oltre a un discreto dispiegamento del meglio della politica agrigentina – sindaco in testa – e c’è stata anche la presenza di padre Alex Zanotelli (foto), prete comboniano. Tante scolaresche e gruppi di immigrati hanno allietato l’evento, oltre al fatto che l’hanno anche reso abbastanza partecipato. Se aspettavamo gli agrigentini… C’erano anche diverse associazioni: Arci, Amnesty International, etc…
Ma quello che mi è molto piaciuto, si fa per dire ovviamente, è stata la presenza, come dicevo, di parecchi politici agrigentini, devo dire perfettamente in linea con i temi della manifestazione: Pace, acqua pubblica e immigrati. Stiamo parlando di gente che ha sempre sostenuto tutte le guerre e le peggiori porcate contro la Pace; gente che ha privatizzato l’acqua e che, infine, sostiene leggi schifose come la Bossi-Fini e che adesso plaude al nuovo pacchetto sicurezza, di stampo squisitamente xenofobo, del governo Berlusconi.
Epperò, diciamocelo chiaramente, caro sindaco Zambuto, una bella passerella in via Atenea, con inquadrature di telecamere in primo piano e interviste; tanto di vigili urbani e poliziotti a fare da corona; con tanta gente che ti affianca e ti fa sembrare più bello di quello che sei; caro sindaco Zambuto, una bella passerella così, chi se la perde?

mercoledì, ottobre 01, 2008

PIETRO MILAZZO

Pietro Milazzo. Chi è Pietro Milazzo? È un attivista sociale palermitano, esponente dei movimenti politici e dirigente sindacale della CGIL, che qualche giorno fa ha ricevuto un Avviso Orale da parte della Questura di Palermo. Di fatto si tratta di un avvertimento che potrebbe precedere l'attuazione di misure cautelari applicate di norma ai criminali pericolosi.
Senza voler aggiungere né togliere niente, riporto il comunicato dello stesso Milazzo.
“Oggi, venerdì 26 settembre 2008, mi è stato notificato un avviso orale del Questore di Palermo ai sensi dell'articolo 1 della legge 1423 del 27/12/56. Si tratta della legge che regolamenta le misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e sulla base della quale si riscontra una condotta socialmente pericolosa.
Nel provvedimento si fa riferimento ai miei precedenti penali risalenti all'attività politica e sociale svolta negli anni '70 e per la quale ho subito due sole condanne passate in giudicato circa 30 anni fa. A quei fatti vengono associati anche i più recenti eventi e si cita, tra l'altro, il reato di violazione delle disposizioni su riunioni in luogo pubblico, relativo alla protesta durante il Festino a Luglio e per il quale sono ancora in corso le fasi preliminari del procedimento giudiziario.
L'avviso orale precede l'emissione di un provvedimento di prevenzione ai sensi dell'art.3 della predetta legge, che è la sorveglianza speciale della pubblica sicurezza... insomma, il provvedimento che si applica ai mafiosi!
Agli ufficiali di ps che mi hanno notificato l'atto ho fatto presente di rivendicare in pieno e di essere orgoglioso di quanto ho fatto in questi anni, e di essere intenzionato a proseguire sulla mia strada anche facendo opposizione a quest'atto repressivo ed intimidatorio (non tanto e non solo nei miei confronti).
Nessuna misura repressiva può fermare la mia scelta di vita, razionale e viscerale. Non sono e non voglio essere né un eroe, né un martire, sono solo un attivista sociale che, come tanti altri qui ed altrove, crede nelle battaglie che conduce e se ne assume tutte le responsabilità e conseguenze. Credo che denunciare queste porcherie sia parte di una battaglia collettiva, non tanto per difendere me e la mia libertà, ma i diritti, la dignità, la libertà di tutte/i.”
Io conosco Pietro Milazzo e gli esprimo la mia massima, fraterna solidarietà. Nel periodo in cui a Girgenti esisteva un movimento che si occupava dei migranti, chiedendo la chiusura del CPT di Contrada San Benedetto (cosa poi avvenuta), o all’epoca della Cap Anamur, Pietro Milazzo era una di quelle presenze immancabili. Negli ultimi tempi è stato al fianco di quanti a Palermo lottano per il diritto alla casa.

IO STO CON PIETRO MILAZZO.

Chi vuole, può esprimere la sua solidarietà, lasciando (o no) un commento, inviando una e-mail a redazione@kom-pa.net

Que pasò hoy?


Parma: Siamo alle solite! Un ragazzo ghanese, residente in una civile e cristiana città italiana – Parma – viene picchiato brutalmente da sei o sette vigili urbani che lo avevano scambiato per un pusher. Poi, alla fine, quando lo hanno rilasciato, gli hanno dato una busta con scritto Emanuel negro.
Primo: cos’è? Non è forse un negro?
Secondo: dice che gli hanno fatto un occhio nero. Come un occhio nero? Perché tutto il resto com’è? L’occhio era già nero da prima, l’hanno visto tutti.
Terzo: i vigili sostengono che non sia vero e che il giovane abbia inventato tutto.
Ora, tra un ragazzo negro e sei vigili bianchi, voi a chi credete? Siamo alle solite! Non siamo razzisti noi, sono loro che sono negri.

India: Un uomo, travestito da scimmia, si aggira per la stazione ferroviaria di una città indiana dello stato di Uttar Pradesh. L’uomo è mandato dal comune della città per cercare di tenere le scimmie, quelle vere, lontane dalle persone che affollano la linea ferroviaria e che spaventano e disturbano i passeggeri. Siccome io penso che da dovunque possono arrivare delle buone idee, credo che per un bel numero di maestre che stanno per essere licenziate dalla ministra Gelmini che vuol rendere più moderna la scuola italiana, si aprano tante possibilità di lavoro. Per esempio, la donna canarino potrebbe esser messa in una gabbietta per
allietare i presenti; la donna cammello potrebbe attraversare i deserti per delle simpatiche escursioni; la donna mulo potrebbe portare i pezzi di mortaio per gli alpini. Eccetera. Certo, la donna pesce rischierebbe di essere pescata e venduta a tranci – come Fantozzi. E poi ci sarebbe la donna cane, da tenere in casa per compagnia; potrebbe accompagnare i ciechi o essere portata a caccia. Verrebbe nutrita coi resti del cibo del giorno o casomai con i croccantini tanto buoni che si vendono a sacco. Infine la donna cane potrebbe essere abbandonata in autostrada qualora non servisse più. Del resto il reato verrebbe certamente depenalizzato.