venerdì, maggio 29, 2009

ZAWADI


Zawadi in swahili vuol dire regalo. Normalmente si tratta di piccoli doni che portiamo nella nostra missione di Ismani, in Tanzania, ai bambini del programma delle adozioni a distanza. O che altri dall’Italia mandano ai bambini. Si tratta generalmente di magliettine, pantaloncini, scarpe sportive, felpe e robe così. L’accoglienza dei doni non sempre è calorosissima dai parte dei bambini ma la cosa è dovuta semplicemente a timidezza, non certo a ingratitudine. Anzi.
Una nostra amica, una volontaria, ha incontrato la sua bambina adottata, una bimba del villaggio di Mkungugu che vive con la bisnonna – giacché quelli delle generazioni intermedie sono tutti morti – e le fa un sacco di salamelecchi, la bacia, l’abbraccia, la stringe, le fa delle foto, etc… Alla fine dell’incontro scatta lo zawadi e le regala tre vestitini che le aveva portato dall’Italia. Il giorno dopo, era domenica, la bimba viene alla messa a Ismani – da Mkungugu è relativamente vicino – e ci accorgiamo che indossa i vestitini. Tutti e tre. Uno sopra l’altro.
Del resto anch’io ho incontrato il mio bambino adottato a distanza, Lazak, ed è stata una roba che mi ha molto commosso. Gli ho dato del materiale per la scuola. La sua bibi, la nonna, non la finiva di ringraziarmi. A un certo punto gli fa: “Sema asante, baba”, (“Di’ grazie, papà”). E il bambino, il piccolo Lazak, mi fa: “Asante, baba”. Mi sono squagliato. (Nella foto, il vecchio Lazak, sua nonna e il sottoscritto)
Ma la cosa più straordinaria ci è capitata due anni fa. Mentre ficcavamo il naso nel magazzino della missione per mettere un po’ di ordine, abbiamo trovato una scatola bella grande. Conteneva una bicicletta che una tizia di Girgenti aveva mandato a Joseph, un ragazzino adottato a distanza del villaggio di Uhominyi. Così, per regalo, zawadi. Quindi pensiamo di consegnargliela non appena quelli del villaggio, Joseph compreso, vengono in missione per le adozioni. Al momento della consegna eravamo tutti là, per vedere la reazione del ragazzo. Man mano che lo scatolone si apriva e lasciava intravedere qualcosa della bici, gli occhi di Joseph cominciavano a brillare sempre di più. Baiskeli baiskeli, diceva, bicicletta. Il ragazzo ha rischiato di morire per la felicità. Non sapeva come esprimere la sua gioia, stringeva i pugni come se avesse segnato un gol; non sapeva se piangere o ridere (perché, noi lo sapevamo se ridere o piangere?). I suoi occhi lucidi di contentezza sono stati un segno per tutti coloro che hanno assistito. In quel momento avrei potuto morire felice. All’uscita dall’ufficio della missione – Joseph in groppa alla sua bici nuova – tutto il villaggio ha cominciato a urlare e battere forte le mani. Partecipavano alla gioia di un ragazzo che aveva avuto in regalo una cosa che mai avrebbe potuto comprare. Le donne venivano a stringerci la mano ringraziandoci, gli asante sana si sprecavano, pensando che l’avessimo fatto noi, il regalo.
L’Africa mi farà impazzire, prima o poi.

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