And the winner is: BEPPINO ENGLARO.
Esatto, nella mia personalissima – e inutilissima – classifica dell’uomo più rappresentativo dell’anno, vince quel signore di Lecco che da diciassette anni assiste la figlia morta. Ha superato al rush finale il giovane iracheno Muntazer al-Zaidi – colui che ha lanciato le proprie scarpe a George W. Bush – ma solo a causa della sua pessima mira: se al-Zaidi avesse colpito Bush, è ovvio che Englaro non ce l’avrebbe fatta.
Perché vince Beppino Englaro? Perché come dicevo assiste da diciassette anni la figlia Eluana, una giovane donna che ne
l gennaio del 1992, in seguito a un incidente stradale, entra in coma e non ne esce più. Da allora la donna vive in stato vegetativo permanente, alimentata da un sondino e senza la minima speranza di poter riprendere conoscenza.
Ma questa è una storia che tutti conosciamo. Come tutti sappiamo la vicenda del padre Beppino, il vincitore del concorso Uomo dell’anno 2008, che da anni chiede, a chiunque ne abbia l’autorità, di staccare il sondino e permettere a sua figlia di andarsene in pace. Finalmente questo gli è stato accordato anche se adesso, operativamente, sembra molto difficile fare il passo finale. Non si trova nessuno che, nonostante la decisione dei giudici, “stacchi la spina”; o se si trova, questi viene ostacolato da altri impedimenti.
La faccio corta, perché premio Beppino Englaro? Perché la vita, quella vera, non è fatta di trasmissioni televisive né di prime pagine dei giornali; non di papi e vescovi contrari né di comitati di bioetica; non è fatta di bacchettoni di destra né di soloni di sinistra, né di dibattiti sulla necessità del testamento biologico. La vita, quella vera, è una persona che ogni giorno apre la porta di una stanzetta di ospedale, si siede accanto alla figlia intubata e la guarda. Le guarda il viso alterato da diciassette anni di coma, le guarda gli arti deformati e spera che muoia al più presto.
Questa persona, la vita, è Beppino Englaro.
Esatto, nella mia personalissima – e inutilissima – classifica dell’uomo più rappresentativo dell’anno, vince quel signore di Lecco che da diciassette anni assiste la figlia morta. Ha superato al rush finale il giovane iracheno Muntazer al-Zaidi – colui che ha lanciato le proprie scarpe a George W. Bush – ma solo a causa della sua pessima mira: se al-Zaidi avesse colpito Bush, è ovvio che Englaro non ce l’avrebbe fatta.
Perché vince Beppino Englaro? Perché come dicevo assiste da diciassette anni la figlia Eluana, una giovane donna che ne

Ma questa è una storia che tutti conosciamo. Come tutti sappiamo la vicenda del padre Beppino, il vincitore del concorso Uomo dell’anno 2008, che da anni chiede, a chiunque ne abbia l’autorità, di staccare il sondino e permettere a sua figlia di andarsene in pace. Finalmente questo gli è stato accordato anche se adesso, operativamente, sembra molto difficile fare il passo finale. Non si trova nessuno che, nonostante la decisione dei giudici, “stacchi la spina”; o se si trova, questi viene ostacolato da altri impedimenti.
La faccio corta, perché premio Beppino Englaro? Perché la vita, quella vera, non è fatta di trasmissioni televisive né di prime pagine dei giornali; non di papi e vescovi contrari né di comitati di bioetica; non è fatta di bacchettoni di destra né di soloni di sinistra, né di dibattiti sulla necessità del testamento biologico. La vita, quella vera, è una persona che ogni giorno apre la porta di una stanzetta di ospedale, si siede accanto alla figlia intubata e la guarda. Le guarda il viso alterato da diciassette anni di coma, le guarda gli arti deformati e spera che muoia al più presto.
Questa persona, la vita, è Beppino Englaro.
1 commento:
Mi hai fatto piangere.
La verità delle tue parole e l'immediato richiamo alla terribile realtà sottostante mi hanno fatto piangere.
Mi è sembrato di trovarmi lì.
Basterebbe un'ora soltanto a tutti noi in quella stanzetta di ospedale, per capire che cos'è la vita e, soprattutto, per capire che cos'è il silenzio.
Buon anno a tutti.
Impariamo ad avere rispetto della vita, della nostra e di quella altrui.
E impariamo a tacere ogni tanto.
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