lunedì, ottobre 20, 2008

FITNESS

Io sono un tipo un tipo degli anni ’70. Lo dico normalmente per darmi un tono ma la verità è che sono pigro da fare spavento, l’accidia è la mia ragione di vita e ho una scandalosa propensione all’inattività! In più, vivo a Girgenti che, ammettiamolo, è sempre stata una città pigra. Il motto è, da sempre, ”lassa pèrdiri, compà”, un inno all’inerzia. Eppure anche Girgenti negli ultimi anni è diventata una città sportiva, atletica, in forma, dedita al jogging come al footing (credo siano la stessa cosa, tolto il fatto che la parola footing non esiste!), al fitness come al body-building, allo step come allo spinning e al fit-boxing. Tutto in inglese naturalmente. Larghe fasce di cittadini, non soltanto giovani, sono stati contagiati dalla febbre del benessere fisico al punto che dagli anni ’80 in poi c’è stato un proliferare di palestre anche molto belle e attrezzate.
OK, anch’io faccio parte in qualche maniera di questi neofiti della cultura del corpo. Dico in qualche maniera perché frequento una palestra ma con risultati men che mediocri. Perché in realtà non esiste al mondo persona più insensibile di me al richiamo della forma fisica: non sarò mai un bonazzo, ahimè, l’ho capito da tempo e mi sono messo il cuore in pace, per cui non vorrei perdere il mio tempo come se fossi lì lì per diventarlo. Preferirei restare a casa a leggere, guardare la TV, mangiare, vivaddio, o uscire, andare in Via Atenea, comprare qualcosa, al limite fare la spesa. Ma, no! Non è possibile. Mia sorella dice che devo mantenermi in forma, devo fare un po’ di movimento, perché fa bene ed è giusto così. E quindi mi costringe, lo ripeto, mi costringe ad andare in palestra.
Deve essere successo qualcosa in Italia a un certo punto della nostra storia, per cui abbiamo deciso che il nostro è un popolo oltre che di santi, poeti & navigatori anche di atleti. Deve essere la TV che ci rincretinisce con immagini di persone al 100% della forma.
Quindi mi sono avvicinato alle palestre, la qual cosa mi ha anche dato la possibilità di guardare dal di dentro questo mondo sicuramente divertente, colorato, musicale e oltremodo allegro. Ho iniziato con i pesi. Sì, perché se non si è mai stati in palestra, è con i pesi che bisogna iniziare. Io pensavo si facessero ancora quei begli esercizi a corpo libero che si facevano alle scuole medie ma mi sbagliavo. Quella è ormai preistoria! E così la prima volta che ho messo piede in una palestra sono stato accolto da una sorta di umanoide dalle spalle enormi rivelatosi poi giovanotto molto simpatico e amichevole, dal rassicurante nome: Totò. Nel giro di qualche mese ho preso confidenza con la pesistica e il body-building, non riuscendo tuttavia ad appassionarmi alla cosa. Cercavo di diventare bravo, guardavo gli altri e volevo imitarli ma rimanevo inesorabilmente indietro. Il fatto è che mi mancava totalmente la motivazione. Però in questa prima fase ho capito una cosa fondamentale e ho sbugiardato uno dei principali luoghi comuni che girano intorno alle palestre: in palestra si va per rilassarsi. “Io vengo perché mi scarico! Sto un paio d’ore e mi distendo!” Minchiate! Ho cercato, con la frequenza e l’applicazione, di dare un vero valore a queste frasi ma non ci sono riuscito. Non sono riuscito a vedere nulla di rilassante nello stare supino su una panca strettissima con un bilanciere tra le mani che ondeggia pericolosamente e fargli fare su e giù o nel sedermi su uno di quegli aggeggi infernali che servono a sviluppare i muscoli pettorali, col rischio di rimanervi incastrato. Non trovo distensivo massacrarsi con attrezzi sempre più pesanti, niente di divertente nello stare di fronte a uno specchio facendo sforzi sovrumani con dei pesantissimi manubri mentre l’istruttore Totò si avvicina, canticchiando canzoncine dei Camaleonti, per sibilarti in un orecchio “Carricàmu”. E certo, se non aumenti gradualmente il carico dei pesi non fai alcun progresso. Ma io non voglio fare progressi. No, no! Io voglio andare a casa e sdraiarmi sul divano, quello sì che mi distende!
Solo l’estate successiva ho capito però il perché di tanto successo del body-building. I ragazzi della mia e di altre palestre li vedevo a San Leone, passeggiando in spiaggia, coi loro muscoloni sodi, le braccia staccate dal corpo a causa della prepotenza dei bicipiti, costumini slip ridottissimi a mettere in rilievo i glutei e le cosce e magliettine, meglio se canottiere, di almeno due misure inferiori al giusto a sottolineare i muscoli del torace. Diciamo pure che più che il benessere del proprio corpo, probabilmente si cerca il benessere degli occhi. Altrui! Allora sì che mi fu chiaro il perché di tanto accanimento ai pesi.
Sennonché, dopo due anni di attività pesistica forzosa mi sono concesso due anni di sosta (mi pare equo, no?): sono andato fuori per lavoro e partendo ho giurato solennemente a mia sorella che non avrei messo piede in una palestra per tutto il periodo della mia lontananza da Girgenti. Tutto è andato secondo i programmi. La cosa che non avevo previsto è stato l’inconsulto ingrassamento subito dal mio corpo a causa di vigorosi, volontari tour de force gastronomici. Con conseguente, immediato ritorno in palestra. Me la sono voluta, sarebbe bastata un po’ di attenzione alle calorie in eccesso e forse me la sarei risparmiata. Si torna in palestra! E lì ho trovato una sorpresa inaspettata. Pare che l’epopea del body-building sia al tramonto; la nuova frontiera dello sforzo disumano (ma benefico e rilassante!) si chiama spinning. Mi dicono chiaramente che se non lo fai non sei nessuno. A Girgenti, ormai, non si parla d’altro, lo fanno tutti, per cui, chi sono io per oppormi all’ineluttabilità del destino? Non posso lasciarmi sfuggire quest’occasione, pertanto mi iscrivo, porca miseria, a spinning. Chiedo di che si tratta e mi spiegano con pazienza che è la simulazione di una passeggiata (hanno detto così, vi giuro) in bicicletta, per cui devo munirmi di calzoncini e possibilmente anche scarpette da ciclista. Ora, passi per i pantaloncini (che ho diligentemente comprato) ma, onestamente, le scarpe mi sembrano uno sproposito, per cui, vestito metà da ciclista e metà da scampagnata al Monte Cammarata inizio, di malavoglia, sia ben chiaro!, questa nuova avventura.
La lezione si svolge in una saletta occupata da dieci bike (no, non era la stessa cosa chiamarle biciclette o bici, si chiamano bike, va bene?), in fondo alla quale, su un piccolo podio, ma in posizione frontale, sta un’altra bike, quella dell’istruttore, e un’attrezzatura stereo. La bike: una via di mezzo tra la vecchia, cara cyclette e le nuove, ultramoderne bici da corsa, ha un manubrio a corna di bue maremmano e una rotella per regolare la resistenza alla pedalata. L’istruttore Alessandro è garbatissimo (per forza, sta per ammazzarci, almeno lo fa con gentilezza); vestito come Miguel Indurain detto el Navarro, indossa l’abbigliamento d’ordinanza dello spinner, una bandana glamour e un microfono da attore di musical visto che la lezione si svolge con sottofondo musicale e lui deve parlare e dare indicazioni per tutto il tempo. Sono quasi preoccupato, vi giuro. Si inizia con lo stretching che consiste nel preparare i muscoli allo spasimo al quale stanno per essere sottoposti e la musica è una di quelle soft, tipo new age, coi gabbiani e tutto il resto. In realtà mi mette un po’ d’ansia addosso; mi rilasso un po’ di più quando comincio a sentire un po’ di ritmo e la pedalata comincia ad andare in sincrono con la musica. “Si comincia a salire – esordisce il nostro uomo – mettete un po’ di resistenza”. Io, da absolute beginner, mi fido ciecamente dell’istruttore e metto un po’ di resistenza. Lo dice per diverse volte per cui alla fine i muscoli delle mie gambe cominciano a sentire la fatica. “Dovete cominciare a sentire la fatica” (perché, io che ho detto?), “facciamo un tratto di running”. Occorre innanzitutto familiarizzare con i termini: il running consiste nel fare dei tratti di strada (immaginaria) in piedi sui pedali mentre il jumping, di gran lunga la più temibile fra le posizioni dello spinning, è un andare ripetutamente su e giù dal sellino senza mai interrompere la pedalata, possibilmente a gran velocità e magari aumentando progressivamente la resistenza. Dopo tre quarti d’ora di running, jumping, salita a ritmo lento ma con resistenza da Cima Coppi, con la musica ormai a volume da luna-park e l’istruttore che ti urla di stringere la resistenza, arriva, inesorabile, la domanda: “Siete stanchi?”. “Ci puoi scommettere il culo” – mi verrebbe da rispondere se non fossi preceduto dagli altri compagni: “NOOO!” Come no? Cioè, voi non sareste stanchi? E perché? Io sono mezzo morto e voi non siete stanchi? Mi viene difficile pensare di essere l’unico che vuole andar via, che vuole smettere con ‘sta tortura. Mi sento male, basta!, voglio farmi la doccia e poi andare a casa a svaligiare il frigo. E quindi abbozzo un timido: “sssì”. Mi guardano tutti male; sono paonazzi, sudati come panettieri, sbuffano come locomotive, hanno il cuore a mille ma rispondono tutti no. Loro non sono stanchi! Ma ecco l’ultimo tratto; bisogna fare un’altra “salitina” con una bella resistenza e anzi ogni tanto, per soprammercato, anche un po’ di sprint, sennò che siamo venuti a fare, restavamo a casa a leggere il giornale, tanto vale (magari!). Raccolgo le mie ultime forze e salgo, sembro Chiappucci (il diablo, esatto), mi passano per la mente pensieri di ogni tipo, faccio l’ultimo tratto, riconosco tra me e me che comunque è uno sport molto elegante, un paio di sprint, sudato come un fabbro, fino a quando, risolutiva e attesa, arriva la voce di Alessandro che annuncia: “Togliete tutta quanta la resistenza, si inizia il tratto che ci porterà a casa”. “Io abito qui” mi verrebbe da dire, ma mi trattengo, il peggio è passato e stavolta è davvero finita. Facciamo solo un ultimo tratto defatigante (dice lui!) e un altro stretching finale prima di ricevere un battimani, che mi sa di leggera presa per il culo, da Alessandro. Mentre pulisco la bike (sì, anche i lavori domestici) penso per un momento alla doccia che mi aspetta da lì a qualche minuto e nella mia mente si affaccia un unico, irrisolto interrogativo: “Ma a me, chi cazzo me lo fa fare?”
Ora sono circa tre mesi che faccio spinning. Avrò perso, sì e no, un paio di etti, non di più. E quel ch’è peggio l’estate si avvicina. Rivedrò i “palestrati” che involontariamente si befferanno di me, del mio costume a pantaloncino e delle mie magliettine larghe. Passeggeranno altezzosi per il lido mentre io, pur non riuscendo a invidiarli, non avrò molto da mettere in mostra. Forse è vero: sono un tipo degli anni ’70.
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Questo pezzo l’ho scritto a febbraio del 2001, quindi ormai un bel po’ di tempo fa. No, è per rassicurare tutti e dire che ormai sono uscito dal tunnel del fitness. Grazie per la comprensione.


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