venerdì, ottobre 17, 2008

LA MIA AKRAGAS




Dario Spagnoli – La mia Akragas. Quando i pali erano quadrati – (Biografia curata da Alessandro Todaro - Prefazione di Carlo Petrini) – Edizioni Il Fiorino – Euro 10,00.

Dario Spagnoli è un nome che dice poco. Un classico nome italiano, come Paolo Bianchi o Stefano Colombo. Potrebbe essere chiunque, Dario Spagnoli, un maestro elementare o un manager, un salumiere o un fisico nucleare, un sacerdote o un calciatore. Un calciatore, appunto, Spagnoli è un calciatore. Anzi, un ex calciatore. Per la precisione dell’Akragas degli anni ’70 del ‘900. Un ragazzo che lasciò la sua città, Modena, per venire a giocare a Girgenti, in serie D. Veniva dalle giovanili della Reggiana, in serie B, e magari pensava che l’Akragas potesse essere il trampolino di lancio per una carriera luminosa, come sognano i tanti ragazzi che giocano a pallone. Invece si è ritrovato con una società che li faceva abitare in un appartamento “stanze in famiglia” di via Callicratide e giocare in uno stadio polveroso e con i muri in conci di tufo “a vista”. Eppure…
Spagnoli ha scritto un libro per ricordare quegli anni, quella stagione splendida e irripetibile della sua e della nostra vita. È un libro di ricordi, di memorie e di grande, profonda nostalgia. Dario non fa mistero del fatto che lui vive di nostalgia. E la sua nostalgia è Girgenti e l’Akragas, la sua e nostra squadra. Quella che faceva battere il cuore a ognuno di noi quando andavamo al campo e vedevamo entrare gli uomini in biancazzurro sul terreno sterrato dello stadio Esseneto.
Tante storie compongono il libro di Dario Spagnoli. Dagli inizi al campetto dell’oratorio di Modena (dove i pali erano quadrati), alla Real Sitam, al periodo di Girgenti, città che gli promise tanto ma che alla fin fine è stata avara con lui. Come con tutti. E forse è proprio questo che incuriosisce nel libro di Spagnoli: il perché di tanto amore per una città e una squadra che gli hanno dato davvero poco, anche se, probabilmente, per lui quel poco è tanto. Ho parlato con Dario Spagnoli, qualche sera fa, in un gradevole paio d’ore seduti a un bar, insieme a Gaetano. È stato piacevolissimo sentirlo parlare, raccontare di quell’epoca, narrare storie, presenti nel libro ma anche no. Potresti ascoltarlo per delle ore, quello lì. È un fiume in piena di ricordi e ti fa appassionare a quello che racconta. Poi quando ci mette dentro qualche parola in siciliano, lui modenese, diventa irresistibile. Dice che per lui questa città è il ricordo dei suoi vent’anni, di quando aveva tanti sogni. E non basta pensare al fatto che non ha poi avuto quello che sognava. “Io tengo solo i ricordi belli” – dice Dario – e come dargli torto. E i ricordi sono quelli dell’esordio coi colori biancazzurri, dei suoi compagni, dei suoi allenatori e dei suoi presidenti, delle ragazze agrigentine (era un belloccio, Spagnoli). E in questo ricordo così appassionato, anche i ricordi brutti assumono una colorazione diversa. La retrocessione, gli allenatori che lo mandavano in panchina, i tifosi che lo beccavano, il ritorno a casa e la conseguente fine del suo rapporto col calcio giocato. Anche queste cose alla fine vengono messe dentro l’unico calderone del ricordo e nobilitate. È l’amore, ragazzi, Dario Spagnoli ama questa città e questa squadra e davanti all’amore rimaniamo tutti senza parole. Come quando ci si innamora di una donna brutta. Lo vediamo che è brutta, lo sappiamo, ma la amiamo lo stesso e nessuno mai riuscirà a spiegare i meccanismi dell’amore. Per fortuna.
Spagnoli ha riempito il libro di foto. Ragazzi poco più che ventenni con baffi, basettoni e capelli afro; calzoncini attillati e borselli; camicie aperte, colletti col pizzo e scarpe col tacco. Era la vita e la città degli anni ’70, quando Girgenti era diversa da adesso – e forse non peggiore di adesso. E la sentita prefazione di Alessandro Todaro, curatore del libro e tifoso appassionato dell’Akragas, ne dà un’efficace seppur breve testimonianza.
Bello, il libro di Dario Spagnoli. Non presuntuoso come potrebbe sembrare, se si pensa al fatto che ha giocato “solo” in serie D. Carlo Petrini, ex “grande” calciatore, nella sua bella prefazione al libro, sostiene che i ricordi sono gli stessi, non importa se hai giocato in serie A o in serie D. “Anzi, scrivere di una squadra meno titolata, aiuta a conservare la memoria dei momenti sportivi positivi che quella città ha vissuto”. Mi ha fatto piacere leggere il libro di Dario Spagnoli, La mia Akragas.

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Chi volesse, può contattare Dario Spagnoli all'indirizzo mail: dariospagnoli@libero.it.

1 commento:

Anonimo ha detto...

www.conoscerelakragas.it