martedì, settembre 23, 2008

IN MEMORIA DI ABID MOHAMED, DETTO MARADONA

A fine agosto, a Girgenti, c'è stata una manifestazione dedicata ad Abid Mohamed. Chi era Abid Mohamed? Se avete un po' di pazienza leggete questo pezzo che ho scritto qualche anno fa.

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Sarà stato l’inizio dell’estate 2003 quando a Girgenti accadde quell’episodio che tutti ancora ricordano. Un giovane uomo proveniente dalla Tunisia, Abid Mohamed detto Maradona, in uno slancio di generosità non ci pensò mica due volte e si buttò in mare per salvare due bambini che stavano per affogare. E come a volte accade in questi casi, perse la vita, sopraffatto dalle onde. Ci fu una grande eco in tutta la città, la notizia fu riportata anche su scala nazionale, e non vi fu chi non indicasse nel povero nordafricano un eroe. La retorica scorse a secchiate ma la commozione fu vera e giusta. Il comune di Favara in tempo record, dimostrando grande senso di civiltà, si prodigò per tributare i dovuti onori ad Abid, al punto da dedicargli un piccolo parco giochi, nel luogo vicino alla tragedia. Lo chiamarono “Il giardino di Abid”, affinché rimanesse nella memoria di tutti il nome dell’uomo che per salvare degli altri uomini sfidò il mare. E perse.
Il comune di Girgenti, invece, come al solito brillò per la sua assenza. Non organizzò alcun momento di commemorazione pubblica, nonostante Abid Mohamed detto Maradona vivesse nella nostra città da una ventina d’anni. Un consigliere comunale propose di intitolare una via al poveruomo ma fu subito ripreso e zittito con la motivazione che è necessario che passino almeno dieci anni dalla morte della persona perché gli si possa dedicare una via. E no, perché noi alle forme ci teniamo!
Che poi, in realtà è ingeneroso da parte mia dire che i nostri amministratori furono affatto assenti. Furono visti, eccome, alla cerimonia di intitolazione del giardino. E furono visti in televisione, ovviamente. Stavano tutti lì in prima fila, belli incravattati, in favore di telecamera, coi capelli pettinati e cotonati come sempre. Seduti accanto ai familiari di Abid, mostravano puro cordoglio mentre l’operatore faceva scorrere la macchina sui loro volti, compunti per la tragica occasione. Qualcuno, mi pare, fu pure intervistato e si condolse alquanto. C’erano tutti e rappresentavano tutti i partiti del centro-destra. C’era l’UDC, c’era Forza Italia, c’era persino Alleanza Nazionale. E c’erano anche alcuni del centro-sinistra. Mancava solo la Lega, mannaggia!, per ovvi motivi. Gli altri erano tutti presenti per commemorare il povero sfortunato Abid Mohamed detto Maradona.
E c’era pure un senatore, Calogero Sodano, già sindaco di Girgenti. Nomino lui solo, nessuno se ne abbia a male, perché tra tutti è l’unico che ha avuto il raro privilegio di votare la legge 189/02 sull’immigrazione: la Bossi-Fini. Che è una legge che si occupa di tutti i Mohamed. Quelli vivi, però, non quelli morti. E se ne occupa senza visi di circostanza, considerandoli solamente come un problema, da affrontare e sconfiggere, un problema di ordine pubblico, alla faccia della solidarietà e dei giardinetti pubblici. Del resto cosa ci si può aspettare da una legge sull’immigrazione fatta da Bossi e Fini: sarebbe come far fare una legge sulla nutella a due diabetici, no?
È una legge che nega agli extracomunitari, o bingo bongo, come li chiama un Ministro della Repubblica Italiana, la possibilità di venire liberamente qui in Italia, nel “nostro” paese, anche se sfuggono alla fame, alla miseria, alle persecuzioni politiche, ai disastri ambientali e alla guerra. E del resto non è che ci possiamo fare carico di tutti i problemi del mondo, no? Per cui diamo una bella chiavardata alle frontiere e non se parla più.
La Bossi-Fini è la bella legge di chi ammette che possano tranquillamente circolare i flussi economici e finanziari, le merci e i soldini, ma non gli uomini. Quelli no. Quelli, gli uomini cioè, ma anche le donne (a volte incinte), i vecchi e i bambini, devono sottoporsi a pietosi viaggi, organizzati da squallidi personaggi senza scrupoli. Attraversano il deserto a bordo di camion a pezzi e poi il Mediterraneo stipati a decine su barconi scassati col rischio di finire tra le onde. E molti di loro ci sono già finiti, e altri ancora ci finiranno, nel “nostro” mare. Oppure si mettono nelle mani di camionisti disinvolti, che li portano attraverso le frontiere e li lasciano in Italia. Ma non sempre va bene. Come non andò bene a quel sedicenne afghano trovato sepolto sotto una valanga di angurie. Accanto a lui un panino e una bottiglietta d’acqua. “Ma chi glielo fa fare, lo sanno che qui non si può venire, no? Lo sanno che rischiano la morte in mare”. Eh, sì, lo sanno (anche se non ne sarei sicurissimo), e intanto con la faccia di bronzo che si ritrovano continuano a venire qui. Da noi.
Eppure, nonostante tutto, nonostante i buoni propositi per fermare questo esodo, la bellissima Bossi-Fini da questo punto di vista si è rivelata decisamente un fallimento. E questo perché non basta una legge, quantunque ottima e abbondante come questa, a convincere le persone che sono nel bisogno a non tentare la fuga. Perché sanno che l’unica possibilità per riuscire a dare una speranza a se stessi e ai propri figli, l’unico modo per sfuggire alle persecuzioni di una guerra dimenticata da tutti, è saltare su una di quelle bagnarole e tentare il viaggio. Ci salterei anch’io sulla bagnarola, se ne fossi spinto dal bisogno estremo. E anche Bossi e Fini ci salterebbero. Forse.
È una legge che prende gli immigrati e li butta dentro i Centri di Permanenza Temporanea, i “nostri” CPT, quelli che qualcuno ogni tanto chiama “centri di accoglienza”. Si risentono tutti se li chiamiamo lager, anche quelli del centro-sinistra, che li hanno inventati. Fatto sta che si prendono ‘sti migranti, dicevo, si buttano dentro ‘sti bei posticini e li si costringe a stare due mesi lì dentro, dietro le sbarre, rinchiusi come se avessero commesso chissà quale reato e invece non hanno commesso nulla. Rinchiusi, tutti insieme appassionatamente, nordafricani ed esteuropei, sudamericani e orientali e africani neri. Gente con culture, religioni e stili di vita diversi, tutti costretti a convivere nel poco spazio ad essi concesso e dove spesso a causa della promiscuità scoppiano risse, rivolte e disordini vari, sedati gagliardamente dalla Polizia o misericordiosamente dagli operatori degli enti gestori, con manganelli o psicofarmaci. Ma sempre totalmente ignorati da giornali e televisioni.
Tempo fa il mitico Bossi, l’Umbertone a noi molto caro, disse che gli immigrati devono essere considerati più o meno come delle merci. E lì imbarazzo e indignazione come se piovesse, soprattutto nella sua parte politica. Come quando disse che per le carrette del mare ci vorrebbero i cannoni della Marina. Ci si sfidava nella gara del come-si-permette, e non ci si accorgeva che era tutta ipocrisia e della peggiore risma. Eh sì, perché la verità è che in Italia le merci sono trattate molto meglio. Esse viaggiano su comodissime navi cargo che non le butti giù neanche con le bombe. Le merci non sono costrette a raggiungere nessun porto della Libia o della Tunisia, a meno che non partano da lì, e non devono pagare alcun pedaggio o alcun biglietto per partire. Salpano senza problemi, attraversano i mari sin dai posti più lontani del mondo e arrivano in totale sicurezza nei nostri porti. Se sono deteriorabili viaggiano in ambienti refrigerati, o riscaldati, affinché rimangano intatte e non deperiscano. Al loro arrivo passano tutte, positivamente, i controlli di frontiera; tutt’al più vengono annusate da qualche cane antidroga ma non vengono maltrattate, anzi vengono accolte dai compratori e portate nei magazzini, non in luoghi squallidi e maleodoranti. Magari i migranti fossero trattati come merci!
La Bossi-Fini è la legge di uno stato, il “nostro”, che espelle ogni giorno decine di richiedenti-asilo, gente del Congo, del Sudan, della Liberia, in virtù di colloqui approssimativi di cinque-dieci minuti davanti a una commissione, con traduttori superficiali e imprecisi, negando loro un diritto sacrosanto, simpaticamente sancito dalla nostra Costituzione, e ricacciandoli nei loro paesi di provenienza, laddove saranno esposti alla prospettiva certa di fare la fame e di essere perseguitati e a quella probabile di essere uccisi.
È la legge per tutti i Mohamed, quelli vivi, però, quelli per cui né Calogero Sodano né i suoi compagnucci faranno mai dei musi lunghi. Anzi. Perché è la legge di uno stato democratico, civile e cristiano. Il “nostro” stato.
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Conobbi tanti anni fa Abid Mohamed detto Maradona. Lo conobbi in una maniera strana, nel giorno del battesimo del suo primo figlio. Allora a Girgenti non c’erano ancora molti stranieri, figurarsi se battezzavano i figli con rito cattolico. Ma la moglie di Abid era italiana e cattolica, per questo volle far battezzare il figlio. Io e altri amici eravamo nel gruppo giovanile della parrocchia dove si fece la cerimonia, e anzi ricordo che animammo la messa coi canti e le chitarre. E ricordo quest’uomo completamente spaesato che non rispondeva alle sollecitazioni della liturgia ma la seguiva compostamente pur non capendone un’acca. Abbozzava segni di croce involontariamente ridicoli e si alzava e sedeva solo perché tutti lo facevano. Ebbe un momento di sconcerto al segno della pace, quando tutti si dettero la mano. Non ne capì il perché ma si ritrovò a stringere mani sconosciute. All’inizio il prete chiese il nome del bambino e si sentì rispondere con un nome arabo, che non ricordo, la qual cosa lo indispettì parecchio. Infatti al momento della litania dei santi, dopo aver nominato tutti i “nostri” santi, tenne a precisare che non esisteva un santo col nome del bambino e anzi chiese ai genitori come mai non gli avessero imposto un nome italiano. Beati noi che abbiamo i santi!
Da allora in poi ogni volta che ci incontravamo ci salutavamo. Lui era basso, tarchiato, scuro di pelle e con un collo taurino. Aveva un testa piena di riccioli neri. Come un vero siciliano.
Abid Mohamed detto Maradona non leggeva il Vangelo. Certo, non posso escluderlo ma immagino non lo leggesse. Per cui probabilmente non conosceva quella frase che dice che non c’è Amore più grande di chi dà la propria vita per il suo prossimo. Non la poteva conoscere, era musulmano. Eppure l’ha messa in pratica ugualmente.

1 commento:

Marcella ha detto...

Bellissimo post! Rende omaggio ad un'anima integra forte e coraggiosa.