venerdì, settembre 12, 2008

MAESTRO UNICO


È questo un altro di quei momenti – capitano sempre quando cambiano i governi e ogni ministro vuol farsi ricordare per esser stato/a quello/a che l’ha sparata più grossa – in cui la scuola pubblica italiana si appresta ad essere massacrata per l’ennesima volta in tanti svariati modi. Uno di questi è la reintroduzione del maestro unico.
Epperò a me viene in mente che faccio parte di una generazione che ha avuto il maestro unico. E non posso non ricordare una delle persone che più hanno contato nella mia formazione. Sto parlando del maestro Sutera Sardo Antonino, rigorosamente prima cognome e poi nome.Il mio maestro era una gran brava persona, anzi è una gran brava persona visto che a quanto pare è ancora vivo e avrà una rispettabilissima età. Per noi era già vecchio allora ma si sa, i bambini vedono le cose in maniera distorta.
In realtà nell’intero ciclo delle elementari ho avuto due maestri, uno in prima e seconda, l’altro in terza, quarta e quinta. Del primo non parlerò molto se non per dire che ogni tanto ci scattiava in testa con le nocche e ci faceva un male assassino oppure ci sbatteva le teste fra di noi per farci capire che avevamo sbagliato. A me la sbatté solo una volta, col mio compagno Enzo, ma c’era gente ormai con la fronte concava per la troppa abitudine.
Invece il maestro che ho avuto in terza, quarta e quinta, come dicevo, era un galantuomo di rara fattura. Sai quelle persone che ti rimangono per sempre nella vita e non te le scordi mai più? Così era lui; ricordo che era proprio buono, paterno; oddio, qualche volta capitava che se la combinavamo grossa ci faceva mettere in ginocchio accanto al banco, vabbé. Aveva gli occhi chiari, acquosi; la voce decisa, da uomo. Lui era una presenza, aleggiava, avevamo piacere nel parlargli, nel sentirlo e anche solo nel vederlo. Una volta fu assente per un po’ di tempo e ci sembrò un secolo anche se la supplente non era affatto male. Quando la scuola elementare finì, ogni volta al pensiero di non rivedere più il mio maestro mi veniva quella cosa che tutti chiamano nodo in gola. Ricordo, per esempio, che un giorno, andando a scuola, io e mio fratello vedemmo una scena spettacolare. Un gruppo piuttosto nutrito di scolari sciamava vociando dietro a due ragazzoni neri altissimi, divertitissimi – almeno credo – per il fuori programma, e li seguiva urlando e battendo le mani. Ricordo che uno di loro addirittura toccava i rami più bassi degli alberi con la testa, tanto era alto. A quel tempo i neri – qualcuno – si vedevano solo in televisione (tipo Rocky Roberts o Lola Falana) o nelle figurine (c’erano Jair, Nenè, Canè e Amarildo), per cui a vederli dal vivo la cosa ci stupì parecchio. Ebbene, io e mio fratello ovviamente non esitammo: ci unimmo alla banda e per un po’ ci accodammo anche noi al corteo. In classe il maestro, che aveva assistito a tutta la scena, ci cazziò a sangue. E quello fu il primo discorso antirazzista che ho sentito in vita mia. E devo anche dire che mi convinse.
Un altro ricordo del maestro è quello di quando una volta stavamo facendo un compitino in classe e io non avevo il foglio. Sì, il foglio centrale del quaderno, quello che poi si piega, vi si scrive il nome sul retro e si consegna. Allora il maestro, vedendomi in difficoltà, prese un suo quaderno e con movimenti lenti lo aprì, ne allentò i punti della cucitura centrale, tirò via il paginone, me lo diede e richiuse i punti. Seguivo quei movimenti come se fossero una liturgia. E l’amore che mise nel fare questa cosa – forse esagero ma il mio ricordo mi fa vedere questo – fu una roba che non dimenticherò finché campo. Dopo un po’ sbagliai e gli chiesi se per caso poteva darmi un altro foglio e stavolta, come ogni persona normale, s’incazzò. Ma me lo ridiede.
Sono grato al mio maestro. Il mio maestro unico. Un giorno dovrei cercarlo e andarlo a trovare.
Sì, ma forse dovrei sbrigarmi.

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