sabato, novembre 29, 2008

DIO


Conobbi Dio quand’ero molto piccolo, un po’ come tutti. Con noi viveva la nostra nonna materna, nonna Maria, una donna mitica. Stava sempre seduta su una poltrona a causa di una semiparalisi o emiparesi, o non so cosa, che l’aveva colpita molto tempo prima e c’ha lasciati tanti anni fa, nel ‘74, per cui ne abbiamo dei ricordi piuttosto vaghi. Aveva capelli bianchissimi e per me è sempre stata il prototipo della donna anziana. Stava a casa nostra, aveva un grande letto con le trabbacche di legno e ci raccontava sempre delle storie tipo quelle di Giufà; oppure ci raccontava la filastrocca siciliana del re befé biscotto e miné.
La nonna però ci raccontava anche le storie della Bibbia, e fu così che seppi di Adamo ed Eva e di tutta la storia della mela e del serpente e dell’angelo con la spada di fuoco, di Caino che era una schifezza e Abele un galantuomo e sappiamo com’è andata a finire; di Sansone che aveva la forza nei capelli e per questo gli fecero un taglio tattico da marines e perse la forza ma quando la riacquistò, allora gliela fece vedere lui e abbatté il tempio gridando: muoia Sansone con tutti i Filistei! Mi piaceva la parola filistei di cui ovviamente sconoscevo il significato. E poi la storia di Davide e Golia, Giona nel ventre della balena, Daniele nella fossa dei leoni e qualche altra che non ricordo. E sullo sfondo di ognuna si stagliava la figura di questo Dio grande e potente ma ovviamente inafferrabile.
Poi fu la volta dell’asilo all’Istituto Granata dalle suore che si chiamavano Figlie di Sant’Anna. Ci andavamo col pulmino che passava sotto casa e una volta da ‘sto pulmino sono caduto a testa in giù sulla strada e sono vivo per miracolo. Di Sant’Anna, probabilmente. E allora dicevo che passava il pulmino e noi scendevamo giù col panierino arancione con dentro il panino con la frittata o con la cotoletta e il mattoncino di cotognata Elah. Le carissime (anche come prezzo) Figlie di Sant’Anna ci facevano giocare, disegnare, mangiare, andare in bagno, cantare, che fra parentesi in testa alla hit-parade delle canzoncine c’era “Buongiorno mamma, te lo voglio dire con un fiore” (che se poi qualcuno la vuole sentire sono sempre a disposizione). E ogni tanto ci portavano anche in cappella e lì, indicando il tabernacolo, ci dicevano: “Lì c’è Gesù”. E noi pensavamo, io almeno, che Gesù fosse una specie di contorsionista cinese per poter stare in uno spazio così piccolo e angusto dentro il tabernacolo. Tuttavia non potevamo dubitare di quello che ci dicevano le suore, soprattutto la mia suora, suor Anna Giuseppina che era una suorona grassa e buona. Allora, tutte le volte che ci portavano in cappella, quando scostavano la tendina e aprivano il tabernacolo cercavamo di vedere Gesù. Ovviamente non vedevamo nessuno ma ce lo chiedevamo a vicenda: “Tu l’hai visto?” E noi onestamente rispondevamo che no, non l’avevamo visto. Finché un giorno un nostro compagnetto piccolo bastardello (lo stesso che una volta in bagno mangiò del sapone, e ho detto tutto), proclamò a gran voce: “L’ho visto, guardate dov’è”, e indicando il tabernacolo ci spiegò la posizione in cui stava ecc… A quel punto la giovanissima assemblea di fedeli si spaccò in due, chi diceva di averlo visto e chi no: io ero tra quelli che l’avevano visto!
Poi dopo qualche annetto fu la volta della messa e del catechismo. La messa era piuttosto divertente, con tutti gli altri bambini, il parrino che faceva domande alle quali rispondevamo facendo una confusione totale, etc… Anzi, lui ogni domenica chiamava un bambino all’altare e gli faceva delle domande al microfono e una volta chiamò anche me e feci una gran bella figura di merda ignorante. C’era l’offertorio, che se avevamo culo ma soprattutto conoscenze tra i liturgisti ci facevano portare il calice o le ampolline all’altare. I canti mi piacevano assai soprattutto quello che diceva: “È la mia strada, Signor, che porta a te”; poi diceva “e mio fratello viene con me”, poi “e mia sorella viene con me” e alla fine del canto si era già raccolto un discreto numero di gente che veniva con me “lungo la strada, Signor, che porta a te”. Con un po’ di intraprendenza ma soprattutto a una certa età riuscivi anche a fare il chierichetto, a servire la messa con la tonaca rossa e la cotta bianca che alcune erano nuove e proprio belle col merletto o con la greca e tutto il resto mentre altre erano un po’ più malandate quando non sdrucite o rotte. Quindi toccava andarci per tempo a scegliersi i paramenti migliori. Poi si facevano della gran sciarre per chi dovesse suonare la campanella alla consacrazione e chi la suonava lo faceva con grinta non comune, e anche per un tempo non comune, suscitando le rimostranze del prete e quando ci inginocchiavamo dietro l’altare ci guardavamo e ci ammazzavamo di risate.
Quindi, dietro, al di sopra e al di là di tutto questo si ergeva inaccessibile la figura di Dio. Che in quella fase cominciava anche ad avere una fisionomia bella marcata: uomo non più giovanissimo, anzi diciamo piuttosto anziano, corpulento, con barba e capelli lunghi; in seguito ne avremmo evidenziato la somiglianza con Gesù Cristo, suo figlio e perciò a lui somigliante. Poi c’era il catechismo dove sciamando rumorosamente, correndo e spintonandoci (una volta, nella calca sono atterrato col ginocchio destro sui dei pezzi di vetro che… lasciamo perdere!), ci recavamo dopo la messa, muniti di libro, quaderno e penna e lì ci insegnavano un sacco di belle cose su Dio, molte delle quali false. Cose cioè che lo presentavano come il peggio di tutti, suscettibile e irascibile come nessuno; s’incavolava tipo se uno veniva con un due minuti di ritardo, se masticava chewing-gum, se parlava o peggio ancora scherzava col compagno, insomma qualunque cosa succedesse Dio si arrabbiava – almeno, così ci dicevano. La Madonna invece era piagnucolosissima; per ogni cosa, secondo quelli del catechismo, si offendeva e attaccava a piangere. “La Madonna piange!” Ti facevano sentire una merda, che ogni cosa che facevi la sbagliavi e causavi il pianto della Madonna. Di Gesù invece dicevano che era uomo serissimo, tristissimo, mai un sorriso, mai uno scherzo coi discepoli, mai una fesseria qualunque, che ne so, una barzelletta. Mai niente di niente: Gesù non rideva mai, e così dovevamo diventare anche noi. Però è anche vero che faceva un sacco di cose interessanti: moltiplicava la cibaria, camminava sull’acqua, guariva e risuscitava la gente, trasformava liquidi, ecc…, tutta roba affascinantissima. Lo Spirito Santo era totalmente sconosciuto, latitava da qualche parte del Paradiso, si sapeva che c’era ma nessuno lo nominava mai, nessuno ne sapeva parlare. Ora, con questa compagnia tutt’altro che piacevole non mi meraviglio che molti promettenti fedeli di allora abbiano in seguito abbandonato Dio & Co., e in generale non mi sembra che le chiese, almeno quelle cattoliche, siano posti dove spiri il vento della gioia.
Come se non bastasse, in questa fase storica, quella del catechismo voglio dire, ci fu la scoperta del peccato, o per meglio dire l’ossessione del peccato. Era già l’ora di fare la prima comunione e i parrini pertanto ci massacravano col discorso del peccato e l’atto di dolore era diventato più importante dello stesso Padre Nostro. Ora, qual era il peccato più grave? L’omicidio? No. Allora rubare. No. Allora mancare di carità verso il prossimo. Manco per niente. Il peccato più grave in assoluto e con gran distacco sugli altri era la masturbazione, per cui in confessione ci chiedevano se l’avevamo fatto, quante volte, da soli o in compagnia ecc… Ma in compagnia di chi se eravamo dei picciliddi? Questa della masturbazione era una vera ossessione, tanto che quando qualche anno fa uscì il nuovo catechismo della chiesa cattolica, questi qua dissero che la masturbazione non è un peccato ma un atto di debolezza o qualcosa del genere. Allora io m’incazzai come un tartaro, a pensare a quanto ci avevano rotto le scatole. Poi qualcuno mi disse che aveva effetto retroattivo per cui mi tranquillizzai e non ci pensai più. Però la verità è che non puoi intossicare la vita di giovanissime persone umane con una stronzata del genere. Ma in generale c’era la tendenza a considerare ogni cosa come peccato, e credo sia ancora così. Una volta una maestra di catechismo, signorina attempata, assolutamente magra e urlatrice, durante una lezione di catechismo ci disse che per ogni messa che si perdeva alla domenica si dovevano scontare sette – dico sette – anni di purgatorio. Che sette anni te li danno per rapina a mano armata, violenza sessuale, peculato, ammesso che esista ancora. Comunque sia, a quel punto mi distrassi completamente dalla lezione di catechismo intento a fare sforzi di memoria per ricordare quante messe avevo perduto (una volta eravamo andati in campagna da mio zio, un’altra volta ero malato, un’altra volta ancora il giorno prima eravamo stati a una gita e ci siamo svegliati tardi, ecc…) e contemporaneamente cercavo di calcolare quanti anni di purgatorio dovevo farmi. Ed erano bruscolini rispetto a un compagno che veniva a messa ogni morte di papa e quel giorno, presente alla lezione, stava per sentirsi male per quanti anni di purgatorio gli toccavano.

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