sabato, novembre 08, 2008

HA VINTO BARACK. VIVA BARACK.



E meno male. Certo, non mi entusiasma più di tanto l’elezione di un presidente americano ma tra i due, non ho alcun dubbio, avrei scelto Barack Hussein Obama.
Primo, perché evidentemente il vecchio Martin Luther King jr ci aveva visto giusto. Aveva un sogno, il reverendo, e questo sogno continua. I neri – o come qualcuno li chiama qui da noi, i negri di merda – hanno evidentemente, oltre che la tendenza al crimine, anche delle ottime capacità. Di persuasione, innanzitutto. Barack è l’uomo che ha catalizzato su di sé l’attenzione, ed evidentemente anche la fiducia, di milioni di americani. I quali, oltre a promettergli un voto ai primi di novembre, lo hanno anche gratificato di una somma di denaro, piccola o grande che sia stata, per portare avanti la campagna elettorale. Perché hanno creduto in lui. Hanno anche la capacità di parlar chiaro, i neri, e di non aver difficoltà a mostrare i nervi scoperti. Obama promette il ritiro dall’Iraq entro sedici mesi, vale a dire un anno e mezzo. E questo ovviamente passa obbligatoriamente dalla presa d’atto che in Iraq si è perso. Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa né era alleato di Al Qaeda – cose confermate negli anni anche dal Congresso – per cui la guerra non è stata la risposta ad un atto preciso (l’11 settembre) ma un’operazione economica e neanche delle più fini. La storia su cui si è retta la guerra in Iraq si è rivelata un balla, i morti invece sono veri.
Mi pare interessante, da parte di Obama, anche l’idea che i ricchi debbano pagare più tasse dei meno ricchi. È un’idea di concezione talmente semplice che forse è per questo che non viene applicata quasi da nessuna parte.
L’altra buona, anzi ottima notizia è che George W. Bush finalmente se ne va. Stiamo parlando di uno dei più grandi malfattori dell’umanità, uno che andrebbe giudicato all’Aja, se non fosse presidente americano. Una persona dallo spessore umano, sociale e politico microscopico. Lodato solo da Silvio Berlusconi, a conferma dello spessore microscopico. L’altra sera La7 ha mandato in onda Farenheit 9/11, il documentario di Michael Moore sui rapporti tra i Bush e la famiglia Bin Laden e su molti altri complicati e intricati retroscena della vita politica americana. Sostengo da tempo che probabilmente bisognerà aspettare ancora degli anni ma quando alla fine verrà a galla la verità su quella terribile pagina di storia, la nausea sarà l’unica cosa che riusciremo a provare.
Via dall’Iraq, quindi, e al più presto. Alla faccia della guerra permanente anglo-americana, dell’esportazione della democrazia e delle missioni di pace europee. (Mi pare di sentirlo il dispiacere di La Russa nel non poter gracchiare “i nostri ragazzi, i nostri ragazzi”.) I signori della guerra e le potenti lobby delle armi stanno vivendo dei bruttissimi momenti. Otto anni di amministrazione Bush avevano visto moltiplicare i loro affari e adesso arriva il negretto e dice che si viene via dall’Iraq. E scommetto che salta anche la guerra con l’Iran. Brutta storia. Bisogna farlo fuori…
Torno un attimo, e concludo, al sogno del reverendo King, che era un filino più complesso. L’acme del discorso di Washington era l’auspicio che un giorno i giovinetti bianchi e le giovinette nere, vero anche al contrario, possano scendere dalle rosse colline della Georgia tenendosi per mano. Al confronto il fatto che un nero africano diventi presidente degli Stati uniti è una vera bazzecola. Il sogno di King sarà completo quando i neri avranno le stesse opportunità dei bianchi nell’istruzione o nelle politiche abitative, nella sanità o nella giustizia; quando non saranno prevalentemente i neri a finire sulla sedia elettrica ma ci sarà più… ops! ma non ci sarà più la sedia elettrica; quando i poliziotti bianchi la smetteranno di sentirsi autorizzati a picchiare gli automobilisti neri e soprattutto quando Michael Jackson la pianterà una buona volta di schiarirsi la pelle. Allora, solo allora, the dream sarà veramente, finalmente realizzato.

Un consiglio, Barack: a Dallas, casomai ti invitano, non ci andare. Che ne so, di’ che stai male, hai la diarrea, ti si è allagata casa, devi andare a trovare tua nonna (magari questo no), ti sei slogato un polso ma non ci andare a Dallas. Ok, bello mio?

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